giovedì 25 luglio 2019

Scontro tra titani (Focus on "Godzilla vs Gamera")

Gamera é un kaiju simile a Godzilla, anche per poteri, molto antico e alleato dell'umanità. É protagonista della sua longeva serie di film, iniziata nel 1965, e prodotta dalla Kadokawa (ex Daiei), rivale della Toho.

Il personaggio é da sempre servito come "rivale" di Godzilla per la casa di produzione ed esiste una rivalità dietro le quinte da oltre 50 anni oramai. Questa rivalità economica si é però raramente mostrata in uno scontro effettivo tra i due mostri che continua ad esser sognato dai fan che sperano, nel MonsterVerse, in un modo per vedere i due rettili giganti più amati del Giappone scontrarsi, finalmente.
A marzo 1970, per 10 notti, all'Expo di Osaka, in Giappone, venne presentato uno spettacolo live-action dove i due titanici rivali di botteghino, Godzilla e Gamera, si scontravano, finalmente, per la prima e, tristemente, ultima volta in via ufficiale.

A giugno 1979, invece, la rivista nipponica "TV Magazine" paragonò i due mostri in modo da decretarne un vincitore. Bob Eggleton disegnò inoltre uno scontro tra i due kaiju per la copertina del numero 262 di "Famous Monsters in Filmland".
Nonostante queste basi, quando nel 2002 la Kadokawa contattò la Toho per un crossover tra Godzilla e Gamera, quest'ultima declinò l'offerta e tutto finì lì.

Ora, la saga di Gamera ha avuto il suo ultimo capitolo nel 2016, per i 50 anni, sottoforma di un corto in quanto non abbastanza il budget per un lungometraggio come si sperava. Sono 3 anni che del personaggio non vi sono notizie.
Godzilla vs Gamera di Xia Taptara 
Eppure, in "Godzilla II - King of the Monsters" avviene qualcosa che potrebbe ricollegarsi a due delle versioni delle origini di Gamera, ma, badate bene, é solo una teoria e, badate bene, contiene potenziali spoiler per la pellicola sopraccitata:
Godzilla, dopo la bomba H, si rifugia in un'antica città sottomarina senza nome, confermando che miti come quello di Atlantide esistono davvero. Avvicinatosi ad un luogo dove nutrirsi di energia radioattiva, il mostro viene aiutato da Serizawa che, sacrificandosi, detona una testata nucleare per sfamarlo.

Nei film, Gamera é stato creato dagli atlantidei, secondo alcune versioni, e nel primo film si risveglia a seguito di una bomba nucleare lanciata in mare durante uno scontro tra americani e sovietici.
Magari, la città senza nome, non era rifugio solo di Godzilla, ma anche di un altro kaiju assopito, risvegliato dalle stesse radiazioni che hanno rinvigorito il Re dei Mostri.
Gamera MonsterVerse style di eatallot
Improbabile, ma certamente, assai entusiasmante da pensare.

Articolo di Robb P. Lestinci

L'uomo diventa macchina (Recensione "Sequence Break")

"Sequence Break" è un film body horror del 2017 diretto dal regista ed attore americano Graham Skipper (visto in "Almost Human" e "Beyond the Gates") al suo secondo approccio registico dopo "Space Clown" del 2016.
Oz (Chase Williamson, co-star di "Beyond the Gates" proprio al fianco Graham Skipper e attore molto attivo nel genere in film come "SIREN", "Bad Match" o "John Dies at the End") è un nerd videoludico che lavora in negozio di giochi arcade vicino alla chiusura. Un giorno conosce una ragazza dai gusti simili, Tess (Fabianne Therese, vista in "Starry Eyes", "Southbound" e, assieme allo stesso Willamson, in "John Dies at the End") per cui finirà rapidamente per innamorarsi, venendo ricambiato. I problemi iniziano quando un misterioso barbone (John Dinan) porta al negozio un gioco che causa allucinazioni e, apparentemente, alterazioni corporee. Oz, però, non rifiuta la sfida e cerca di farlo funzionare ad ogni costa, cadendo in una spirale quasi onirica di terrore.

Il film risulta criptico, esattamente come ci si aspetterebbe da un film che si riprende al maestro Cronenberg, nonostante lo risulti anche per la scrittura confusa, rifacendosi al classico "Videodrome" in maniera assolutamente non velata, quasi spudorata, traslando quel morboso attaccamento ai media che era presente nel film originale al mondo videoludico.

Altra chiara fonte d'ispirazione è la leggenda di Polybius, un gioco che si dice facesse il lavaggio del cervello a chi lo giocava e sviluppato, probabilmente, dall'Intelligence americana e posizionato in alcune sale giochi come test, prima che dei men in black venissero a riprenderlo una volta raccolti sufficienti dati.
Questo film, come il "Beyond the Gates" di Jackson Stewart, è anche un chiaro omaggio a quella decade degli anni '80 che ha influenzato in maniera radicale la nostra culturale popolare. I film ed i board games divengono però, in questa pellicola, videogiochi arcade.

La pellicola è accompagnata da una soundtrack (realizzata da Van Hughes) che sembra uscita proprio da un gioco di quell'epoca e luci al neon ed i flash dei cabinati illuminano, grazie alla pronta fotografia di Brian Sowell, disturbanti scene che imitano quell'erotismo "sbagliato" del body horror di Cronenberg, dove il corpo muta e diviene macchina in un tripudio di quell'orrore viscerale ed estraneo alle nostre menti di cui parlava Lovecraft e di quell'erotismo disgustoso e malato che ti entra sotto la pelle.

Appunto. Nel body horror di Cronenberg, non in quello di Skipper.

Se già la trama inizia a farsi ingarbugliata nonostante le ottime premesse iniziali, gli effetti e la resa in scena di essi non sono dei migliori e non si amalgamano alla pellicola, sempre più confusa e senza un filo saldo che la tenga assieme, nel modo che dovrebbero, suscitando sì facce confuse ed estraniate negli spettatori, ma non quel morboso orrore che avrebbero dovuto suscitare.
Le ambizioni di Skipper di prendere in mano un genere così complesso e di gestirlo come se ne fosse un maestro, dunque, sfumano in un film dal sapore dolceamaro che non convince fino in fondo.

Articolo di Robb P. Lestinci

Spasmodici esercizi di stile (Recensione "Psychopaths")

"Psychopaths" è un film thriller horror americano del 2017 scritto e diretto da Mickey Keating.
Come vedremo più avanti, nuovamente, determinare una trama per questa pellicola é compito arduo, per ora mi limito a dire che il film vede tre storie parallele, di tre psicopatici che, pian piano, si collegano tra di loro. Ognuna di esse ha la sua fotografia particolare ed il suo stile di regia distintiva dimostrando le doti mutevoli di Keating, capace di adattarsi ai personaggi ed alle situazioni. Questo film sembra, infatti quasi un portfolio del regista per mostrare le sue doti con moltissima sperimentazione.

Il lungometraggio si apre con Doll Face (Sam Zimmerman), uno dei tre killer principali mentre seppellisce un uomo subito dopo le ultime parole di uno psicopatico, Starkweather (Larry Fassenden, veterano del genere). Il film continua con movimenti e rotazioni veloci e d'effetto della videocamera e con un jokeresco serial killer noto come The Strangler (James Landry Héber, l'Axel della seconda stagione di "Stranger Things") prima di mostrare la vera protagonista, la sadica Blondie (Angela Trimbur, vista anche in "Trash Fire", "XX" e "The Final Girls", per dirne alcuni, e definibile, come Noah Segan, di cui abbiamo parlato per "Follow", una della attrici più attive nel settore, considerabile una moderna scream queen).
L'episodio (che si propaga in parallelo agli altri) è molto scuro, con scene quasi completamente nere, alcune in bianco e nero, con un senso d'inquietudine e sensualità costante. Un montaggio ferreo e repentino con alcuni fermo immagine ed elementi quasi onirici, quasi lynchiani, accompagnati dal viso angelico dell'attrice che si trasforma in una torturatrice mascherata, vestita di pelle e sensuale e provocante più che mai. La parte di Alice (Ashley Bell) è caratterizzata da primi piani statici della sua faccia mentre parla con la sua seconda personalità, molto d'effetto ed inquietante (unsettling), con una fotografia luminosa, quasi teatrale, così come lei. L'episodio di Doll Face invece ha atmosfere in parte quasi refniane con luci al neon, piani sequenza molto interessanti come quello della stanza con varie donne nude, spezzate all'improvviso da un buio freddo, distaccato, non assoluto, naturale.

Una pellicola strana, con sequenze quasi sconnesse anche se d'effetto.
Ed è proprio questo il problema, le trame non si ricollegano come si pensa e non vi è effettivamente una vera e propria trama in generale, riavvalorando la tesi di un mero portfolio del regista che dimostra sì le sue doti, sì discrete, ma non abbastanza per sorreggere un film che non parla di nulla ma che è fatto di personaggi, sì, sulla carta interessanti, ma trattati come buste della spazzatura e delle volte rindondanti ed addirittura fastidiosi (specialmente quello di Bell).
Se questi personaggi fossero stati meglio esplorati e posti in un contesto più studiato, probabilmente il film sarebbe stato più che discreto, ma così non è stato.
Un'occasione sprecata? Sì.
Il film infatti nonostante la buona regia soffre, per giunta, di un montaggio alcune volte fastidioso e di una presenza costante di dialoghi che, come già sottolineato, sono de facto fini a se stessi, vuoti, e che caratterizzano personaggi che non arriveranno da nessuna parte.

Anche il miglior personaggio del mondo senza uno sfondo ed avvenimenti all'altezza non funziona.

Articolo di Robb P. Lestinci

Che venga il nostro male (Recensione "Our Evil")

"Mal Nosso" ("Our Evil") è un film horror soprannaturale brasiliano del 2017 scritto e diretto dall'esordiente Samuel Galli presentato in anteprima al London FrightFest dello stesso anno.
Il film inizia in maniera inaspettata con un uomo (il nostro protagonista, interpretato da Ademir Esteves) che visualizza un video di tortura sul deepweb. Successivamente Arthur, questo il suo nome, contatta il perverso killer (Ricardo Casella) e gli affida un lavoro in un locale, dove tratteranno gli affari e, l'assassino, riceverà una chiavetta usb contente i dati dell'acconto, i dettagli dell'esecuzione e soprattutto un video che darà i codici per i dati. Questo video, però, rivelerà anche qualcos'altro di estremamente oscuro e legato al passato di Arthur.

Il regista Galli dimostra fin da subito le sue doti registiche con uno stile personale, caratterizzato da una spiccata predilezione nel mostrare gli occhi degli attori in primo piano, come se fossero uno specchio della loro anima. Tutti gli attori, inoltre, provenienti dal teatro e quindi praticamente esordienti sul grande schermo, fanno il loro lavoro egregiamente risultando non teatrali ed esagerati come ci si sarebbe potuto aspettare, bensì molto professionali e asciutti.
Le scene sono accompagnate da un ottimo comparto sonoro e in particolare da una soundtrack composta specificamente per il film, la quale, letteralmente, si fonde con la parte visiva, a volte anche in contrapposizione con essa: abbiamo infatti musiche allegre in scene gore, sempre ben fatte, con un ottimo uso di effetti pratici.

Scelta, quella di non usare la CGI, inoltre, mantenuta per tutta la pellicola e anche nella realizzazione del demone (con un look classico, quasi "innocente", rispetto al mostro umano) e dei vari mostri che compaiono, come l'inquietante entità della scena del bagno.
Gli jumpscares sono congegnati a fini della trama e sono spesso posti in parallelo con i twist della trama, rendendo uno stratagemma odiato come quello degli jumpscares non scontato. Essi, infatti, non fanno solo saltare dalla sedia, ma restano nella mente e inquietano, cosa non facile e che si può trovare in davvero pochissimi horror, come "Martyrs".

Un horror forte sia visivamente che emotivamente, di quelli rari, che prende i suoi tempi per la narrazione, passando da thriller ad horror spirituale, di quelli non fatti di cliché e che osano davvero.

Di quelli che mancano nel panorama horror attuale, in sostanza.

Articolo di Robb P. Lestinci

Zombie, sexy maid e pongo (Focus on "Chainsaw Maid")

Abbiamo già parlato di animazione e, per qualche strano motivo, sempre in relazione al Giappone, dove sembra che questo media sia uno dei favoriti per prodotti disturbanti.

Oggi torniamo a parlarne con "Chainsaw Maid", un breve corto in claymation del 2007 scritto e diretto dall'animatore nipponico Takena Nagao.
La trama é delle più semplici: in una normalissima casa abitata da un uomo, sua figlia e la loro avvenente cameriera, si scaglia un'orda di zombie. Sarà proprio la cameriera (maid) a dover difendere la famiglia dai non morti in un tripudio splatter.

Il cortometraggio, reso splendidamente ed in maniera fluida, divenuto rapidamente virale, ha avuto anche il privilegio di esser rilasciato in DVD assieme ad un prequel "Chainsaw Massacre: Episode Zero" nel 2010.

Quest'ultimo vede la solita maid, resa in maniera più complessa rendendola simile ad un'action figure e con animazioni ancora più fluide, dover difendere la bambina del primo corto quando era più piccola da degli zombie. Non é chiaro se sia un sequel, un remake/reboot o un prequel, ma il titolo lascerebbe intendere che l'ultimo sia l'appellativo corretto.
Ispirato da questo piccolo capolavoro, il regista Lee Hardcastle, indiscusso re della claymation horror che ha lavorato, per dire, anche con Cartoon Network e Adult Swim per dei corti horror pubblicitari di "Rick & Morty", ed a vari videoclip musicali, ha girato due sequel non ufficiali dove, nell'ultimo, vediamo la bambina oramai adulta dover affrontare nuovamente un'orda di zombie.

Nel 2018, infine, a pagamento online, é stato rilasciato il terzo capitolo ufficiale della saga, "Chainsaw Bunny", sempre di Nagao, dove la cameriera del primo corto dovrà affrontare nuovamente creature orrende assieme ad una sua amica.

In questo caso gli antagonisti non saranno zombie, bensì uno strano essere senza espressione capace di moltiplicarsi e riprodursi nonostante gli ingenti danni subiti e capace di cacciare tentacoli dal suo corpo, resi perfettamente in claymation. Probabilmente, in qualsiasi altro media, l'effetto non sarebbe lo stesso, riconfermando la claymation come un ottimo media per il gore (di cui potete leggere le origini cliccando qui, per la prima parte, e qui, per la seconda).
Scena da "Chainsaw Bunny"

Se volete un altro cortometraggio in claymation horror potete provare a leggere anche questa recensione.

Articolo di Robb P. Lestinci

Mostro da concerto (Focus on Murph)

Sabato vi è stato il concerto Muse a Roma e, tutto il pubblico, è rimasto esterefatto all'apparizione sul palco di un'inquietante splendore: un gigantesco mostro. Quando Murph, un enorme scheletro con un visore futuristico ed una mano artigliata, appare nel palco, il cielo si tinge di nuvole verdastre e l'atmosfera si fa inquietante, dando via al "Metal Medley" della band britannica, ossia la parte più "violenta" della scaletta che culmina con "New Born".
La creatura é un gonfiabile ispirato al mostro "Creator" che appare nel video "The Dark Side" della band ed é stato creato dall'azienda tedesca Airworks Inflatables e nato dalle menti ubriache della band e dal filmmaker ed attore Lance Drake.

Il mostro, nello psichedelico video a tinte anni '80, appare come un'inquietante creature che rincorre Matthew Bellamy, frontman dei Muse, cercando di distruggere la sua auto con l'ausilio di catene che fuoriescono dal suolo.
Matthew riuscirà apparentemente a debellarlo entrando al suo interno dalla bocca, ma ben presto si scoprirà che quello che avevamo visto era solo uno di un'intera razza di ibridi scheletro/robotici giganti, che però sembrano sopiti, per l'eccezione di uno che, nuovamente, attaccherà il cantante lanciando laser del visore/elmo. Le creature riappaiono, all'apparenza morte questa volta, anche nel video per "Algorithm".

Il suo significato é probabilmente quello che la tecnologia (il visore) ci ha reso alla stregua di non morti digitali che danno la caccia, vanno contro, a chiunque si distacchi dalla massa e cerchi una via di fuga dalla monotonia piatta e sterile (intesa come un riposo simile alla morte per questi giganteschi mostri), come cerca di fare Matthew.
La gigantesca e decisamente cupa creatura ricreata dal vivo per l'ultimo tour dei Muse, può muoversi nel palco grazie a dei meccanismi interni, girandosi a destra e sinistra, muovendo la sua enorme mano artigliata e spalancando o chiudendo la sua imponente bocca.

Un'impetuosa presenza scenica che conferisce un sapore decisamente più epico ad un concerto di già grandi ed amati artisti, così ben accolta da aver ricevuto una maglietta ufficiale della band a lei dedicata.

Profilo instagram ufficiale di Murph (sì, ha un profilo instagram)

Articolo di Robb P. Lestinci

Caccia al gorilla (Focus on "Go and Get It"/Recensione "The Monster and the Girl")

"Go and Get It" è una commedia horror muta americana del 1920, diretta da Marshall Neilan (marito della star Blanche Sweet, una delle prime dive di Hollywood).
La pellicola gira attorno a Helen Allen (Agnes Ayres), giovane ereditiera giornale del padre, ed al reporter Kirk Connelly (Pat O'Malley), stufo della sua scarsa fama, alle prese con dei misteriosi omicidi perpetrati da un gorilla con il cervello di un serial killer, Ferry (l'ex boxer italoamericano Bull Montana, pseudonimo di Luigi Montagna, noto per il suo ruolo, sempre scimmiesco, in "Il mondo perduto" del 1925).

Nonostante le ottime recensioni che ricevette all'epoca, principalmente per la performance di Bull Montana come l'intimidatorio assassino gorilla, il film venne perduto e non fu mai più visto.
Ora, sia chiaro, ciò era quasi una prassi nei primi anni del cinema: le pellicole erano conservate in condizioni precarie, destinate a deteriorarsi, e spesso venivano gettate via con facilità se serviva spazio. Non esistevano ancora mezzi per vedere film in casa ed i collezionisti erano ancora interessati ad altro. Insomma, é un miracolo se non tutti i film siano andati persi o distrutti, ad esser schietti.

Ci si é potuti fare un'idea di come fosse la pellicola solo grazie ad articoli, recensioni e testimonianze, ed al remake, in realtà assai differente, "The Monster and the Girl" di Stuart Heisler del 1941.

Quest'ultimo parla infatti di Susan Webster (Ellen Drew), un'aspirante attrice presa sotto il mirino del gangster Bruhl (Paul Lukas), soccorsa dal fratello Scot (Phillip Terry), ucciso, però, dagli uomini del malvivente. Il cervello del ragazzo verrà sorprendentemente salvato dal folle dottor Perry (George Zucco) che, piazzandolo nel corpo di un gorilla, darà vita ad una perfetta macchina vendicativa.
Insomma, la sola similitudine sta nel concetto di un cervello umano in un corpo di gorilla per mano di un folle scienziato. Anche la qualità che si dice contraddistingua l'originale qua viene a mancare, con una lentezza palpabile ed il mostro che, nonostante la maschera ben realizzata e le inquadrature ben studiate per darle parvenza di espressività, compare solo e nell'atto finale del film, lasciando al lato horror davvero poco spazio di emergere.

Ma torniamo al "creature feature" (film di mostri, di solito trasmessi nei drive-in) originale, quello muto degli anni '20. Era davvero perso?

La risposta è, ovviamente, no: una copia é stata di recente trovata nell'Archivio Italiano a Milano, seconda cineteca più grande d'Italia dopo quella di Bologna, nonostante non sia stata ancora rilasciata al pubblico.
Alcuni nastri alla Cineteca Italiana di Milano
Insomma, aspettatevi una seconda recensione di questo film non appena sarà disponibile.
Sperando lo sarà mai.

Articolo di Robb P. Lestinci

Come un bellissimo poema di morte (Recensione "Doki Doki Literature Club")

Doki Doki Literature Club! è una visual novel pubblicata il 22 settembre 2017 dal Team Salvato per Microsoft Windows, macOS e Linux, scaricabile gratuitamente dal sito ufficiale del gioco (https://ddlc.moe/) e, a partire dal 6 ottobre 2017, da Steam.
Nonostante gli avvertimenti mostrati sul sito ufficiale, sulla pagina steam e ad ogni avvio del gioco, Doki Doki Literature Club! si presenta come una normale visual novel (ossia una sorta di preventivo romanzo grafico, spesso in stile anime, interattivo) di genere dating sim (simulatore d'incontri), presentando tutti i cliché tipici di questo tipo di giochi.

Il gioco si apre con l'incontro del protagonista con Sayori, la sua maldestra amica di infanzia, sulla strada che porta verso la scuola da loro frequentata. Di li a poco la ragazza convincerà il protagonista ad entrare nel club di letteratura, i cui membri sono (se escludiamo Sayori stessa) Yuri, una matura appassionata di libri e horror, Natsuki, un'immatura e minuta lettrice di manga, e Monika, la presidentessa del club.
Il protagonista dovrà cercare di fare colpo su Yuri, Natsuki o Sayori attraverso le sue scelte e i poemi scritti dopo le giornate scolastiche, meccaniche inserite in quel pattern ripetitivo rappresentato dal gameplay, che, insieme ai sopracitati cliché, rende le prime ore di gioco (intenzionalmente) tediose.

È infatti nel cosiddetto "Atto 2" che il gioco mostra la sua vera faccia, motivando il tag "horror psicologico" su Steam e i vari avvertimenti sui siti e all'avvio, in un'esperienza che, se non "spaventosa", può essere almeno definita "interessante".
E voi? Avete giocato questo particolare titolo?

ARTICOLO DI

Ciò che brutto appare (Recensione "The Cleaning Lady")

"The Cleaning Lady" è un film horror del 2018 canadese diretto da Jon Knautz e scritto da Alexis Kendra e basato sull'omonimo cortometraggio dello stesso regista.
Alice (Alexis Kendra) è stanca della situazione complicata con il suo amante Michael (Stelio Savante) e trova una possibile amica nella curiosa nuova domestica, Shelly (Rachel Alig), una ragazza dal volto deturpato. La loro amicizia diventerà ben presto, però, qualcosa di oscuro e morboso bloccando Alice e chi le sta attorno in un vortice di follia e morte.

Partiamo dal presupposto che questo film, visto al London FrightFest 2018, è praticamente stato del tutto rimosso dalla mia memoria in quanto parecchio noioso.
Una sola scena mi è rimasta impressa a causa dell'atroce dolore che ha fatto percepire anche a me, ossia quando viene versata una goccia di acido assai forte sui genitali di un uomo che vede i suoi "gioielli di famiglia" disciogliersi dinanzi ai suoi occhi tra atroci sofferenze. Probabilmente unica scena visivamente forte della pellicola, nonostante, anche in questo caso, non viene mostrato molto.
É proprio questo forse il problema del film, non si osa troppo o, se lo si fa, si nasconde. E delle volte funziona, certo, ma in questo caso la violenza psicologica appare inutile in quanto quei personaggi a malapena li conosciamo o non riusciamo ad empatizzare a causa di una scrittura debole. La sceneggiatura perde acqua ovunque, non cerca di dare più di troppo spessore all'antagonista del film, inventandosi una storia vecchia e già rivista così assurda nella recitazione del perosnaggio chiave di queste vicende da sembrare parecchio inverosimile.

Knautz regala inquadrature disturbanti, certo, ma che nel disegno d'insieme non aiutano a rendere più coesa una storia incocludente e per nulla interessante. Vi è di peggio, certo, ma non vedo perché andrebbe cercata la visione di questo film.
È triste, in conclusione, come la sola cosa che faccia paura siano le ustioni di una ragazza é davvero parecchio triste.
Che poi, facevano più impressione nel corto, se vogliamo dirla tutta.

Articolo di Robb P. Lestinci

Corpi dilaniati in prima persona (Recensione "Hotel Inferno")

Quando uscì "Hardcore" nelle sale venne velocemente definito il primo film action girato in prima persona (POV), nonostante sia stato battuto sul tempo da una folle produzione Italiana nel 2013.

"Hotel Inferno" è un film splatter in POV italiano del 2013 scritto e diretto da Giulio De Santi e prodotto dalla Necrostorm, una casa italiana indipendente di film horror che conobbi qualche anno fa grazie allo youtuber DanteLucifero.
Noi spettatori vedremo il film dagli occhi di Frank Zimosa (Rayner Bourton), un sicario professionista ingaggiato dal misterioso Jorge Mistrandia (Michael Howe) per un lavoretto all'apparenza semplice. Ben presto, però, Frank si renderà conto di essersi ritrovato rinchiuso in un hotel abitato da folli psicopatici e da succubi di una qualche forza oscura che vuole ben più del suo corpo: la sua anima.

Il film è letteralmente un bagno di sangue continuo, ogni personaggio che appare su schermo viene usato solo ai fini di essere brutalmente ucciso dopo un rapido scontro con Frank tra budella, crani e sangue che volano sulla scena. La visuale in prima persona aiuta molto questo tripudio dello splatter rendendolo più simile a un videogame che a un film.
Non bisogna aspettarsi recitazioni di alto livello (ma nemmeno di medio) o colpi di scena degni di nota, il film, dopotutto, promette solo frattaglie in prima persona ed è esattamente ciò che porta, rendendo lo spettatore ansioso per le sorti di Frank e facendogli quasi sentire ogni ferita che subisce, pur non andando mai a caratterizzare il personaggio. E ciò potrebbe esser voluto.

Se il personaggio non fosse andato a genio, vedere in prima persona dalla sua prospettiva sarebbe stato fastidioso, con un personaggio "bianco" ci risulta più facile immedesimarsi, basti pensare al Doomguy, non ha caratterizzazione, eppure, sin dai primi minuti di "Doom", simpatizziamo per la sua faccia pixellata da duro perché, in mancanza di caratterizzazione grazie alla prospettiva, c'immedesimiamo rapidamente in lui.
"Doomguy", il protagonista di "Doom"
Il solo personaggio che effettivamente parla, e dio mio se parla, è Mistrandia e, nonostante sia logorroico, risulta un personaggio carismatico e interessante, che genera timore con le sue sole parole. Un Handsome Jack senza volto noto con doppiaggio peggiore, insomma.

Nonostante sia il primo horror completamente in prospettiva (se escludiamo i vari found footage), non è di certo il primo a utilizzare questa particolare scelta stilistica: il primo fu infatti "La fuga" ("Dark Passage") del 1947, diretto da Delmer Daves, altra pellicola di cui parleremo in futuro in pagina, un noir che, per circa un'ora di film, ci mostra il mondo dagli occhi del protagonista Vincent (Humphrey Bogart), nonostante, il secondo tempo, sia girato in maniera tradizionale.

Il primo film interamente in prospettiva fu, invece, "Una donna nel lago" ("Lady in the Lake"), altra pellicola di cui parleremo, sempre del 1947, diretto da Robert Montgomery, ispirato proprio dall'amico regista Daves che gli spiegò le sue perplessità riguardo l'uso della prima persona per un film.
In ogni caso, se amate lo splatter estremo e volete vedere qualcosa di dinamico e nuovo, completamente folle, con esplosioni di sangue e risate malvage dritte nelle vostre orecchie, "Hotel Inferno" e i suoi due sequel sono quello che stavate cercando.


Articolo di Robb P. Lestinci

La morte che risveglia l'amore (Recensione "Follow")

"Follow" è un film horror americano del 2015 scritto e diretto da Owen Egerton al suo debutto come regista.

Questa particolare pellicola vede Quinn (Noah Segan, uno dei volti più noti dell'horror indipendente degli anni 2010, con decine di film del genere sulle spalle come "Some Kind of Hate", "The Mind's Eye", "Deadgirl", "Tales of Halloween", "Mohawk" o "Camera Obscura", giusto per citarne davvero pochi rispetto a tutti quelli della sua filmografia) ricevere un inaspettato regalo dalla sua fidanzata, Thana (Olivia Grace Applegate), leggermente in anticipo per Natale: il suicidio di quest'ultima. Con il suo cadavere in camera da letto e tutto che lasci intendere che sia stato lui ad ucciderla, l'uomo dovrà trovare una soluzione, ma finirà per cadere in un vortice di follia che gli farà ritrovare l'amore perduto per la sua ragazza, oramai poco più di un gelido corpo senza vita alcuna.
Come già detto, non è la prima volta che vediamo Noah Segan alle prese con una ragazza cadavere, aveva già trattato la necrofilia, anche se con elementi sovrannaturali, in "Deadgirl" del 2008, ma questa volta il clima è completamente diverso, il tutto è più realistico, drammatico e inquietante, sotto alcuni punti di vista. Dopotutto, a questo giro, vi è un vero legame che collega la donna morta e l'uomo e non solo una spasmodica voglia di sesso, una perversione sessuale amplificata dalle strane vibrazioni di un cadavere dalle misteriosi origini, questo corpo che vediamo in scena lo abbiamo effettivamente visto vivere, respirare, sappiamo perfettamente di chi si tratta e di cosa significava per Quinn.

Pur non trovandoci tra cunicoli bui e sporcizia, ma nelle accoglienti mura di casa in periodo natalizio tutto risulta sporco, fuori posto, perturbante, anche l'amore, un amore ritrovato a causa della perdita, come un bambino che rivuole il giocattolo perso che non aveva mai degnato di uno sguardo.
Nonostante la pellicola parta con premesse intriganti, non siamo mai davvero degnati di sapere cosa abbia portato al suicidio della ragazza, dovendoci accontentare di noiosi flashback che non danno alcuno spessore ai personaggi e che risultano pesanti al punto da far sperare finiscano al più presto, come nelle peggiori stagioni di "Arrow", per tornare all'evoluzione della follia di Quinn. Segan fornisce un'interpretazione assai solida, passando da eclettico artista a inquietante sociopatico incapace di vedere la morte, non solo di Thana. Infatti, oramai sempre più irrazionale, Quinn commetterà varie scelte orribili che macchieranno le sue decorazioni natalizie di sangue. Un vero e proprio viaggio nella mente di una persona sana resa pazza. Tristemente, però, non viene mai esplorato più di tanto il suo lato stabile, cosa che avrebbe aiutato ad immedesimarsi ancora di più, magari mostrando di più il suo quotidiano, le sue passioni, le sue inclinazioni.

Lo spettatore, proprio per questo, non riesce mai ad entrare in piena sintonia col protagonista e, probabilmente, ne criticherà le azioni, ma la follia degli occhi dell'artista, le scene sinistre e alcune inquadrature con le luci azzeccate in un continuo gioco di sfondi neri divoranti spezzati da flebili luci riusciranno comunque a catturare l'attenzione e rendere la visione una godibile dimostrazione di come il Joker di Alan Moore in "The Killing Joke" avesse ragione: basta un solo brutto giorno per rendere il più sano dei sani pazzo.
Poi, sempre detto, Noah Segan, capace di reggere intere produzioni del genere sulle sue sole doti recitative, farebbe paura come Joker.

Articolo di Robb P. Lestinci

Un ospite perenne del set (Focus on il fantasma di "Tre scapoli e un bebè")

Nel mondo del cinema vi sono numerose leggende, alcune delle quali hanno a che fare anche con il paranormale, ma non tutte c'entrano coi film horror.

"Tre scapoli e un bebè" ("Three Men and a Baby") è una commedia del 1987 diretta da Leonard Nimoy (proprio lo Spock della serie originale di "Star Trek" e regista di "She'll Be Company for You", parte della serie antologica horror "Night Gallery", di cui avremo luogo di parlare largamente in futuro) e nasconde uno dei miti più longevi della storia di Hollywood.

In una delle scene, quella in cui Jack Holden (Ted Danson) parla con sua madre (Celeste Holm) camminando per casa, del tutto fuori luogo appare quello che sembrerebbe un bambino seminascosto dietro le tende di una finestra.
L'apparizione, inquietante e senza contestualizzazione alcuna, ha generato una serie di voci attorno al film, che sono andate avanti nel corso dei decenni, venendo trattate ancora nel 2017 nella trasmissione di Jimmy Kimmel.

Secondo la leggenda, nell'appartamento in cui è stata girata la scena, un bambino di 9 anni si è suicidato, o comunque è morto per incidente, con un fucile, suggerito da come, nella scena subito dopo, al posto del bambino, si vede la forma di un fucile. Altre versioni non specificano le cause della sua prematura morte, invece. A quanto si dice, la madre avrebbe riconosciuto il figlio e avrebbe tentato invano di contattare gli studios per la rimozione della scena mentre, sempre secondo altri, riconoscendo non solo la casa, abbandonata dopo l'evento e quindi affittata a bassissimo costo alla casa di produzione a causa dell'impossibilità di venderla per la sua tragica storia, ma anche il vestito con il quale era stato sepolto il bambino, la donna sarebbe impazzita essendo tutt'ora in una casa di ricovero non essendosi mai ripresa dallo shock.

Inutile dire che tutto ciò è falso.
Dietro le tende c'è in realtà un cartonato di Ted Danson con uno smoking e un cappello a cilindro, apparso precedentemente nella pellicola, dimenticato probabilmente lì senza che se ne accorgessero. Sembra più piccolo a causa della prospettiva e i tratti sono sfocati in quanto la camera non si focalizza su di esso, ma basta affiancare le due scene per rendersi conto che il presunto fantasma sia in realtà lo stesso standee pubblicitario che utilizzava il personaggio nel film.
Per distruggere ancor di più la storia, nel film non venne usata alcuna vera abitazione, ma venne girato internamente all'interno di alcuni studios a Toronto. Insomma, nessun bimbo fantasma e nessuna madre in alcun vortice di follia.

E così, per una svista sul set ed una mancata messa a fuoco, una commedia innocente diviene un horror e un luogo nemmeno davvero esistente luogo di tragedia, qualcosa di cui parlare nelle notti buie per generare sconforto e far scorrere un brivido lungo la schiena.

Dopotutto, come si suol dire, l'orrore è negli occhi di chi guarda.

Articolo di Robb P. Lestinci

Le streghe di Zugarramurdi (Recensione "Le streghe son tornate")

"Le streghe son tornate" ("Las brujas de Zugarramurdi") è una commedia horror spagnola del 2013, vincitrice di ben 8 premi Goya, del regista e sceneggiatore vincitore di un Leone d'Oro Alex de la Iglesìa, di cui parleremo nuovamente in futuro per il suo "El Bar" del 2017.
José (Hugo Silva), protagonista del film, organizza assieme all'amico Antonio (Mario Casas), una rapina, vestiti da Gesù e da soldatino giocattolo, per scappare dalla loro vita rovinate da pessime storie d'amore. Assieme al figlio di José, Sergio (Gabriel Delgrado) ed a due ostaggi (un tassista ed il suo molesto passeggero), si dirigeranno verso al Francia, ma finiranno per perdersi nel paese di Zagurramurdi, dove finiranno tra le grinfie di alcune streghe mangiauomini, in particolar modo della sensuale Eva (Carolina Bang, che tornerà a lavorare col regista anche in "El Bar") per cui, presto, José finirà per infatuarsi.

Il film, largamente premiato nei festival di tutta Europa, è una di quelle commedie che ti fanno affezionare ai personaggi e ti divertono dall'inizio alla fine, riuscendo a farti entrare nella pellicola, a farti chiedere "Cosa farei io fossi in loro?", dimenticandosi che son tutti bravi a parlare da dietro uno schermo.

Nonostante la forte vena comica della pellicola, vi sono vari elementi splatter e gore, tra dita mozzate e bambini cucinati e fatti a pezzo, nonostante la vena orrorifica non prende mai davvero il sopravvento e resti quasi solo una cornice per la storia della ribalta dei due protagonisti, pronti anche ad affrontare streghe ancestrali e la loro divinità per una vita senza le donne che le avevano rovinate precedentemente.
Le donne in questo film sono il deus ex machina assoluto, gli uomini sono in balia delle loro azioni e non possono far altro che agire in base alle loro azioni, dirette e non. Sono coloro che istigano la rapina, che li accolgono, che decidono di condannarli per i propri fini e che li salvano, dando loro nuove speranze. Le donne sono portatrici, manipolatrici, di vita e boia allo stesso tempo.

Direi che questo film risolva il dibattito riguardo il sesso predominante, insomma.
La location, inoltre, non é assolutamente casuale. Zugarramurdi si vide protagonista della condanna di 56 persone nel 1610, 31 per stregoneria, le restanti per stregoneria, di cui 16 condannate a morte sul rogo. Tristemente, ovviamente, nessuna di questa era una strega ed addirittura uno dei inquisitori lo affermò in un documento ufficiale, nonostante ciò non fermò l'Inquisizione dall'ucciderle.

Tutt'ora nel paesino si ricordano feste-sabba commemorative ed esiste un museo dedicato alle streghe, El Museo de la Brujas, dove viene anche proiettato il film di de la Iglesias.
Interno del Museo de la Brujas
Come ultimo appunto vorrei ricordare un dettaglio che mi ha fatto assai sorridere: nell'introduzione sono presentate varie foto di streghe nella storia, tra cui spicca una foto di Angela Merkel, cancelliera federale tedesca.

Articolo di Robb P. Lestinci

Kaiju dallo spazio profondo (Focus on "A Space Godzilla")

Bene o male tutti siamo familiari con Godzilla e con le diverse interpretazioni del personaggio, lo abbiamo visto anche solo di recente in ben due incarnazioni: quella filo-horror in ambiente realistico di "Shin Godzilla" e quello visivamente enorme americano di "Godzilla" e "Godzilla II: King of the Monsters", ma oggi non voglio parlarvi di queste versioni, né di quelle dei film precedenti con le quali alcuni di voi potrebbevero aver dimestichezza.
Oggi parliamo di un racconto breve del 1979, scritto Sakio Hirata, basato su una storia di Nobuhiko Obayashi e Mitsutoshi Ishigami, ed illustrato da Katsuhiro Otomo e Nobuyuki Shiroyama, "A Space Godzilla", il racconto che sarebbe dovuto diventare il sedicesimo film di Godzilla che mai vide luce.

La storia ruota attorno ad una razza aliena che vive nel Pianeta Godzilla attaccata da una razza rivale, i Suneriani, alieni giganti dalle gambe di capra, corpo e faccia di donne e collo di serpente, che ne distrugge gran parte degli individui.

Tra i pochi più di 10 mila abitanti spicca Rozan, madre di un bambino non ancora nato e moglie di Kunin. Quest'ultima, dovuta allontanarsi a causa della razza malvagia, finisce sulla Terra. Dissezionata dagli umani, si rigenera e comunica telepaticamente con loro, spiegando di star morendo di diabete e di necessitare aiuto per tornare al suo pianeta natale.
Trasformata in una navicella spaziale dagli umani, ritorna nel Pianeta Godzilla, dopo uno scontro con i Manto, creature incappucciate di nero, dove può finalmente dare alla luce Lilin, suo figlio, un Godzilla bianco. Nonostante ciò, la pace é breve ed anni dopo Gamoni, leader dei Suneriani, rapisce Lilin per rievocare i ricordi dei genitori della Terra, intenzionato ad attaccarla utilizzando le stesse onde radio che avevano ammassato i Godzilla permettendone il massacro.

Iniziata una nuova guerra tra Godzilla e Suneriani, Rozan viene distrutta al punto di non potersi più rigenerare, ma è vendicata da Lilin e Kunin che decapitano Gamoni gettandone la testa nell'acido solforico. Oramai vincitori e padroni del proprio mondo, i Godzilla superstiti possono riprendere le proprie vite in tranquillità senza più alcuna minaccia da debellare, ma Lilin, a fine racconto, afferma di voler tornare a visitare il pianeta che lo aveva salvato: la Terra.

L'idea di un'origine aliena di Godzilla era una delle due in lizza negli anni '70, con l'altra di origine divina che sarebbe dovuta essere trattata in un romanzo ("Godzilla: God's Angry Messenger") mai pubblicato, ma alla fine si é preferito per dare origine terrena alla creatura senza interventi esterni o divini di alcun tipo.

A quanto pare il film era già in lavorazione quando venne cancellato, al punto che nel racconto pubblicato sulle pagine dello Starlog Magazine si parlava dell'intera crew della pellicola rivelandone i nomi e annunciando che venne creato un costume per Kukin.
Costume di Kukin creato per il film mai girato
Un vero peccato, insomma, che non vedremo mai sul grande schermo questa versione di Godzilla molto diversa da quella che siamo abituati a pensare ed, ironicamente, anche la più forte grazie le sue capacità rigenerative e letteralmente di muoversi nello spazio-tempo, con una storia prettamente fantascientifica dove la storia umana è marginale, qualcosa di davvero nuovo.

Ma non pensate che con "A Space Godzilla" abbiamo finito, anzi, questo post va considerato solo come un'introduzione, ho in mente un progetto bello corposo legato a questo particolare pezzo di media del re dei mostri, nel frattempo, ditemi: Sapevate della sua esistenza? Avreste visto un film del genere? Fatemelo sapere con un commento e mi raccomando, Lunga vita al Re.

Articolo di Robb P. Lestinci

Dagli occhi di una bambola (Recensione "Dolls")

"Dolls" è un film horror statunitense del 1987 diretto da Stuart Gordon (regista di classici del genere come "Castle Freak" o l'acclamato "Re-Animator", pellicole che tratteremo in futuro), scritto da Ed Naha e prodotto da Brian Yuzna (lo stesso di "The Dentist", "Necronomicon" e "Re-Animator 2").
Le vicende trattate si aprono con una famiglia composta dai due genitori e dalla figlioletta Judy (Carrie Lorraine, la stessa bimba che aveva sostituito la defunta prematuramente Heather O'Rourke nel suo ruolo in "Poltergeist II") che trovano riparo da una tempesta in una misteriosa casa dove arriveranno altri tre ospiti, due autostoppiste e Ralph (Stephen Lee), un bamboccione non troppo dissimile dall'Ozzie di "Leprechaun" di qualche anno dopo. Ben presto gli ospiti si accorgeranno che c'é qualcosa di strano nelle bambole che popolano la casa e dovranno tutti pagare il prezzo della loro scarsa rettitudine morale.

Quando si pensa a film di bambole assassine subito si fa presto ad additare a plagi di "La bambola assassina", ma in questo caso il classico dello slasher non ha nulla a che fare, specialmente se consideriamo sia uscito un anno dopo questa pellicola. Addirittura sembrerebbe che l'altro classico horror sulle bambole, "Puppet Master", possa essersi ispirato a questo, avendo un incipit iniziale più o meno simile. La differenza sta in come le bambole di quest'ultimo siano singolarmente caratterizzate mentre quelle di "Dolls" restano tutte più o meno anonime.

Il film, dal sapore quasi fiabesco, ma allo stesso tempo cupo, donato da ambientazione e crew Italiane che miscelano l'horror classico a quell'atmosfera quasi onirica dei gialli di quell'epoca, é una perla sperduta tra quintali d'immondizia, un film quasi all'avanguardia che sperimenta e precede di anni l'horror contemporaneo in un'epoca dove rischiare era divenuta una pratica inusuale.
Ad avvicinarlo ad una fiaba è anche la presenza di una morale, in questo film la punizione dei peccati e dell'immoralità non é solo ipotizzata come negli slasher (sesso=morte), ma viene esplicata e resa chiara come parte integrante della trama, se non fulcro stesso del film. E non sempre i bambini sono completamente innocenti come si pensa, altro elemento trattato sempre nella pellicola.

Gli effetti speciali erano notevoli, specialmente se consideriamo che erano effetti pratici e non digitali, e introducono un elemento perso per diversi anni e poi ritrovato e reso mainstream: l'uso dello jumpscare come lo intendiamo noi oggi. Certo, non era reso nei migliori dei modi, era un'idea acerba che andava sviluppata e che per noi oggi pare scontata, ma all'epoca non erano abituati ed era una novità. Stuart Gordon ci aveva visto lungo, forse troppo lungo.

Come ipotizzato anche dal critico Luca Pincelli di Horror World & Reviews, infatti, forse é stato proprio quel discostamento dai canoni dell'epoca e quell'essere troppo avanti coi tempi ad aver segnato la disgrazia del film, dimenticato nel tempo e passato sott'occhio.
Chissà se anche uno di quei film che oggi consideriamo mediocri o dimentichiamo esistano in futuro si riveleranno precursori come questo.

Articolo di Robb P. Lestinci

Sangue lussurioso (Recensione "Excision")

Come già anticipato quando abbiamo parlato di John Waters, oggi parliamo di "Excision", un film horror psicologico del 2012 scritto e diretto da Richard Bates Jr. che ruota attorno al personaggio di Pauline (AnnaLynne McCord), un'inquietante ragazza con scarsa cura di sé stessa e con una disturbante attrazione sessuale per il sangue e gli organi interni.
La sorella di quest'ultima, Grace (Ariel Winter), è una tranquilla ragazza solare che soffre però di fibrosi cistica e che necessita di un'operazione il prima possibile. La malattia della sorella e la sua ossessione per il sangue saranno proprio ciò che porteranno la già mentalmente fragile Pauline ad impazzire portandola a un macabro gesto estremo.

La fotografia della pellicola, a cura di  Itay Gross, così come le inquadrature e il montaggio sono di alto calibro e assolutamente pulite. Proprio questa estrema pulizia e questa neutralità nelle luci, con un predominanza di luci fredde, aiuta a dare un senso di sconforto allo spettatore, oltre che a richiamare un ambiente ospedaliero e a mettere in risalto il sangue.
L'attrice protagonista, AnnaLynne McCord, ci regala un'ottima performance caratteriale riuscendo anche, con eleganza, ad interpretare la "regina splatter' delle visioni della ragazza con un'eleganza e una postura degne di una modella. L'evoluzione del suo personaggio, sia fisica che psicologica, segnerà un cambio di mood nel film, progressivamente sempre più inquietante e angosciante. Da citare anche la presenza di Malcolm McDowell (Alex DeLaege di "Arancia Meccanica" di Stanley Kubrick) in un piccolo ruolo e del già citato John Waters.

Il punto di forza del film è però il terribile finale, fortissimo emotivamente che risulterà in un vero e proprio pugno nello stomaco allo spettatore, capace di smuoverne gli organi interni.

Articolo di Robb P. Lestinci