mercoledì 1 febbraio 2023

L'ultima ricerca di un mondo perduto - Cosa ha rappresentato e cosa rappresenta ''King Kong'' (1933)

Pensare che oggi qualcuno possa non conoscere la figura del gigantesco primate che prima troneggiava tra le foreste dell’Isola del Teschio, e poi tra i grattacieli di New York City, è pressoché impossibile. Kong esiste da meno di un secolo eppure è diventato istantaneamente simbolo non solo del cinema, ma un'icona della cultura occidentale tutta. Uno di quegli oggetti culturali che si imprimono fortemente, in modo irreversibile, nella memoria collettiva.
Un personaggio ed un film così influenti da determinare un punto di rottura, un prima e un dopo. Cosa c’è stato prima di King Kong? Prima c’erano due persone, due tecnici dalle occupazioni diverse che si erano guadagnati con impegno e con fatica una certa fama nel proprio settore: da una parte Willis O’Brien pioniere della stop-motion che non solo aveva attirato con i suoi corti l’attenzione di Thomas Edison, ma era appena uscito dal successo de Il Mondo Perduto (1925) di cui aveva interamente curato quelli che allora erano tra gli effetti speciali più sorprendenti mai visti; dall’altra l’aviatore, cineasta ed esploratore dalla fervida immaginazione Merian C. Cooper che iniziò a concepire quello che diventerà il soggetto del film da quando andò a girare in Africa con Ernest B. Shoedsack, suo collaboratore storico, Le Quattro Piume (1929) e da quando l’amico W. Douglas Burden pubblicò un testo sui varani dell'isola di Komodo, allora appena esplorata, e ne portò due esemplari a New York.

Questi furono, fondamentalmente, i due uomini che diedero vita a Kong. È molto importante però pensare al contesto in cui entrambi erano calati: la grande depressione iniziata nel '29. Quando Cooper presentò la sua idea per un film con protagonista un gorilla (che in una scena avrebbe combattuto un drago di Komodo) al produttore della Paramount David O. Selznick, questi dovette declinare l’offerta dati i problemi finanziari dello studio. Più tardi nello stesso anno Selznick passò alla giovane casa di produzione e distribuzione RKO Radio Pictures e portò Cooper con sé.
O'Brien sul set
È tra quelle mura che avvenne l’incontro tra i due. O’Brien attirò l’attenzione di Cooper con il suo test footage Creation, progetto dell’animatore per una pellicola in cui avremmo visto l’uomo moderno entrare in contatto con dinosauri e altri animali preistorici su un’isola sperduta, scartato dai produttori a causa dell’elevato budget che avrebbe richiesto. Il regista avventuriero rimase estasiato dall’abilità che O’Brien dimostrò in quel corto, così convinse Selznick a commissionargli dei filmati di prova basati sul concept che aveva in cantiere dai tempi della Paramount. Una volta che O’Brien mostrò i risultati del proprio operato ai produttori RKO questi vennero accolti con grande entusiasmo, e venne dato il via libera alle lavorazioni. 
Cooper coinvolse, come al solito, il socio Shoedsack per aiutarlo nella regia e chiamò lo scrittore inglese Edgar Wallace per la prima stesura della sceneggiatura. Di lì a breve Wallace sarebbe scomparso, lasciando il copione nelle mani di James Ashmore Creelman e di Ruth Rose, moglie di Shoedsack, che creerà i personaggi di Carl Denham e di Jack Driscoll basandosi rispettivamente su Cooper e sul marito. Nel mentre O’Brien gestiva il lato artistico. Sotto le sue direttive Mario Larrinaga e Byron Crabbe realizzarono gli storyboard di diverse scene e dipinsero (sulla falsariga dei maestosi lavori di Gustav Dorè) i fondali su cui si sarebbero andati a muovere i modelli del gorilla e dei dinosauri da animare, che vennero ideati e costruiti da Marcel Delgado basandosi sulle iconiche rappresentazioni paleoartistiche di Charles R. Knight (fatta eccezione per alcuni direttamente riciclati dal precedente ‘’Creation’’). I modelli da animare di Kong erano alti poco più di mezzo metro e consistevano di uno scheletro metallico snodabile ricoperto di cotone, gomma, latex liquido e pelliccia di coniglio. Quanto è sopravvissuto al passare del tempo, cioè appunto un'armatura di metallo, è stato venduto in un'asta inglese nel 2009 per il valore di 200'000 dollari.

Uno dei più grandi meriti del film fu proprio il notevole passo avanti che comportò nel campo degli effetti speciali. Linwood Dunn fu il responsabile di un sistema di lenti montate su livelli differenti, di cui Cooper e O’Brien seppero sfruttare la straordinaria profondità di campo con grande maestria per dare vita all'ambientazione e alle creature che la popolano. Infatti ben prima che Ray Harryhausen perfezionasse l’integrazione di stop-motion e live action quasi ai limiti dell’impossibile con la Dynamation, già O’Brien e la sua equipe seppero inventare delle tecniche che permisero all’animazione e al girato di amalgamarsi con risultati che lasciarono gli spettatori a bocca aperta. I modellini venivano animati a passo uno di fronte a dei fondali in cui era lasciato, con ingegnosi stratagemmi, uno spazio aperto su cui proiettare da dietro le immagini degli attori frame per frame. Così facendo insieme alle maquette venivano rifotografate anche le sequenze live action. Altra trovata di successo fu quella di sfruttare delle transizioni fantasma nei campi lunghi o nei totali per passare dagli attori in carne e ossa a dei modellini con le loro fattezze; così come l’idea di utilizzare un enorme avambraccio meccanico che tenesse la protagonista (non a caso la stessa tecnica sarà reimpiegata da Carlo Rambaldi, ben quarantatre anni dopo, per il primo remake del 1976). La sequenza che ha luogo nella caverna in cui il gorilla titolare dimora, e in cui lo vediamo battersi con un mostruoso animale serpentiforme, è generalmente ritenuta la più grande conquista che potesse essere fatta a quel tempo dagli effetti speciali analogici.
Quanto rimane del modello del mostruoso brontosauro presente nel film, oggi conservato in un museo dello Utah
Terminate le riprese, nel corso della post-produzione  il direttore degli effetti sonori Murray Spivack si occupò del campionamento dei versi degli animali di uno zoo per poter creare i ruggiti degli abitanti dell’Isola del Teschio. L'attrice protagonista Fay Wray dovette passare una giornata in uno studio insonorizzato della RKO a registrare le grida che sentiremo spesso nel corso del film, non a caso è considerata una delle prime ''scream queen'' della storia del cinema (ricordiamo che il sonoro era stato introdotto da poco, e andava affermandosi su larga scala proprio in quegli anni). Infine il compositore Max Steiner realizzò in sole otto settimane l’intera colonna sonora, pagato direttamente dal regista, poiché la RKO aveva previsto che al posto di spendere per nuove tracce si sarebbe risparmiato utilizzando quelle di altri loro film.

Il 2 Marzo del 1933 King Kong fu presentato alla Radio City Music Hall e all’RKO Roxy Theater di New York. Nonostante quello sarebbe stato l’anno più buio della Depressione, con il 25% della forza lavoro di tutti gli Stati Uniti disoccupata e la crisi del settore cinematografico che aveva visto soccombere numerose compagnie e teatri in tutto il paese, si rivelò il film evento della stagione con più proiezioni nello stesso giorno e quasi sempre il tutto esaurito. Guadagnò nel suo primo fine settimana in patria ben 90’000$, cifre spropositate per l’epoca. Spesso si parla impropriamente di come King Kong salvò la RKO dalla bancarotta, in realtà questa finì comunque nel regime di amministrazione controllata come molte altre società del settore, ma è indubbio che le sia stato possibile sopravvivere alla crisi soprattutto grazie al colpaccio della squadra Cooper, Selznick, O’Brien.
Manifesto pubblicitario del tempo
Fu anche un film discretamente scandaloso per l’epoca. Determinate sequenze dal gusto più orrorifico terrorizzarono l'ingenuo pubblico statunitense tanto che, quando entrò in vigore il cosiddetto Production Code, subì numerose censure per le ridistribuzioni degli anni successivi. [Il Production Code, o Hays Code, fu proposto nel 1930 presso la Motion Pictures Association of America e divenne pienamente operativo nel 1934. Tale codice indicava quali contenuti fossero ritenuti moralmente accettabili o meno da mostrare nelle pellicole, e lo faceva in base a una serie di parametri. Tra i vari dogmi che imponeva ai produttori vietava categoricamente: profanità, nudità mostrata o suggerita, uso di droghe, schiavitù dei bianchi o scene di parto; richiedeva che fossero trattati con estrema cautela e nel rispetto del buon gusto temi quali la bandiera, l’utilizzo di armi da fuoco, furti, violenza, stupro, i
l matrimonio e l’attitudine nei confronti delle istituzioni e dei personaggi pubblici. Queste linee guida avrebbero tenuto sotto scacco l’industria hollywoodiana per decenni, e si sarebbero particolarmente inasprite tra gli anni ‘40 e ‘50, costringendo i creativi più arditi ad aggirarle fino al limite estremo. Dopodiché sarebbero entrate in declino e abolite nel 1968, a seguito di anni senza aggiornamenti, per poi essere sostituite dal più noto MPAA Film Rating System.] Una notoria leggenda metropolitana voleva che in un momento del film Kong, rapito dalla bellezza della bionda, la spogliasse fino a denudarla. Quindi, a quanto pare, la scena sarebbe stata tagliata a partire dalla seconda messa in sala per la raffigurazione della nudità. In realtà questa scena esiste ed è effettivamente stata rimossa per anni però, come ha confermato la stessa attrice, le sue grazie non venivano mai mostrate (nonostante fosse previsto nei primi concept art). In ogni caso ci possiamo godere il film nella sua integrità, o quasi, perché come anticipato i momenti particolarmente grotteschi furono tagliati in tronco e risultano perduti. Un esempio è la famosa sequenza del fosso, ricreata nel 2005 da Peter Jackson e dalla compagnia di effetti speciali Weta Digital come omaggio in vista del secondo remake a cui stavano lavorando, che sarebbe uscito nel dicembre di quell'anno.
Non solo campione d’incassi, la fatica di Cooper/Shoedsack fu molto amata dal pubblico mentre suscitò pareri contrastanti da parte della critica tra chi lo ha da subito elogiato e chi lo ha smontato, come il noto critico italiano Mario Gromo che lo definì all’epoca su La Stampa: <<Un film per miopi>>, criticando perfino i tanto amati effetti speciali. [Piccola nota curiosa è che nel suo articolo il giornalista fa riferimento a un presunto costume indossato da un attore per portare in vita il mostro; questa è una vecchia diceria che è andata avanti ben aldilà dell'uscita in sala, e in cui sono incappati in molti, secondo la quale in determinate sequenze si fece ricorso alla suit animation. Questa voce fu ulteriormente fomentata negli anni '60 da una serie di interviste rilasciate dallo chef Carmen Nigro, che dichiarò di aver impersonato Kong come stuntman non accreditato in alcune riprese. Il fatto è stato contestato e smentito da diversi storici cinematografici, e dai registi per primi.]
 
Quali sono le ragioni che hanno reso King Kong un'opera così importante e riconoscibile? Tanto per cominciare la contemporaneità in cui è (era) calato. Facendosi portatore della più grande delle qualità della settima arte divenne testimonianza di un mondo, di una New York anni ‘30 che non c’è più e di cui rimane ben poco. Un attestato degli States travolti dalla nera crisi economica che ha avuto profonde ripercussioni sociali, che possiamo vedere riassunte nella Women Home Mission in cui si aggira Carl Denham o nel disperato tentativo di Ann Darrow di rubare una mela al mercato pur di mangiare. 
 
I personaggi che ci vengono presentati sono figli di una cultura americana molto cambiata. Quando Denham si vede costretto a trovare una protagonista femminile il primo ufficiale della nave su cui si imbarca tutta la troupe, Driscoll, è decisamente infastidito dalla presenza di una donna a bordo. Infatti visto adesso potrebbe far accapponare la pelle per delle rappresentazioni culturali ambigue (vedasi il cuoco cinese Charlie o il ricorso alla blackface per ritrarre in maniera caricaturale gli indigeni dell’isola), ma sarebbe un grave errore perché non è un film realmente razzista come molti lo hanno accusato, forse in maniera ben più maliziosa dello stesso, ma semplicemente lo specchio datato di una forma mentis ormai obsoleta. [Contrariamente il precedente Le Quattro Piume, ambientato in Sudan, è stato ritenuto da molti studiosi un film profondamente razzista e schierato a favore dell'uomo bianco espansionista contro l'inferiore uomo nero.] Lo stesso Cooper disse, in un’intervista pubblicata postuma, che non ci fosse alcun significato razzista bensì l’ispirazione per tutta la storia derivasse semplicemente dal conflitto romantico fra il primitivo e la civilizzazione, e da La bella e la bestia. Non è però di secondaria importanza il sottotesto del film, molto poco indulgente verso i personaggi. Se Kong è un animale violento e feroce al contempo viene caratterizzato da una certa misura di umanità, soprattutto nei primi piani realizzati con un gigantesco busto meccanico che vi metteranno il sorriso sul volto, Carl Denham è invece un vero e proprio antieroe disposto a correre i più grandi rischi e mettere in pericolo tutto il suo equipaggio pur di rincorrere il successo. Soldi, Avventura, Gloria è il motto del regista, una massima che però all'interno del racconto convince solamente lui, mentre gli studios per cui lavora non vedono più di buon occhio il suo modo di fare eccentrico e dispendioso.

Il film può anche essere letto come l'oggettivazione di una mentalità affascinante ma estremamente naif per uno spettatore moderno: la convinzione, la speranza di trovare quei leggendari paradisi perduti disseminati in giro per il mondo di cui si parla solo nelle leggende. Viene sottolineato quello spirito colonialista tipicamente europeo-occidentale dell'uomo bianco, che lo ha più volte spinto nel corso della storia ad appropiarsi e a violentare meravigliose oasi del nostro mondo. La stessa sorte, purtroppo, toccherà all'Isola del Teschio e al suo re. 
 
È a questo punto che King Kong passa dall'essere un bellissimo film di orrore e avventura (dal ritmo al cardiopalma dal momento in cui il gorilla rapisce Ann, con spargimenti di sangue e scontri con bestie preistoriche a destra e manca) ad essere il paradigma di tutti i monster movie con la creazione della tipica componente erotica tra il mostro e la fanciulla, ma soprattutto una vera e propria tragedia contemporanea. Kong è l'incarnazione della natura manipolata dal genere umano, una natura violenta e caotica che gli si ritorcerà contro per punirlo della sua tracotanza. Nel finale, la parte più celebre, lo scimmione si arrampica sull'Empire State Building [riprendendo, concettualmente, tanto il finale de Il Mondo Perduto quanto quello de Il gabinetto del dottor Caligari (1920)], simbolo dell'avanguardia tecnologica umana, ma viene comunque piegato dalla sua potenza terribile e innaturale. Un messaggio non solo triste e malinconico, ma anche spaventosamente attuale.
Uno dei concept art originali, ad opera di Mario Larrinaga e Byron Crabbe
[In un'intervista rilasciata nel 1989 la Wray dirà: <<King Kong è un film duraturo e molto apprezzato, per me è un piacere esserne stata parte (...) Penso sia un bellissimo pezzo di storia del cinema (...) L’ultima volta che l’ho visto mi sono resa conto di quanto sia un lavoro eccezionalmente affascinante. Nel finale, quando Kong è sulla cima dell’Empire State Building mentre viene abbattuto, anche se sono sfuggita alle sue grinfie durante il corso di tutto il film, mi sono sentita affranta (...) se ti affezioni a qualcuno in un film vuol dire che ha raggiunto il suo scopo (...) Apprezzavo molto il regista, avevo già lavorato con lui e ammiravo la sua intelligenza e la sua immaginazione (Riferendosi alla mano meccanica) Era fastidioso, difficile e stancante (rimanere lì a lungo) ma anche emozionante perché dovevo immaginare come fosse il resto dell’animale (...) stavo in piedi sul palco del set e loro stringevano le dita intorno alla mia vita (...) e sollevavano il braccio per circa tre metri (...) e dovevo recitare, comportarmi come se fossi spaventata, mentre cercavo di non scivolare e cadere nel vuoto (...) forse è grazie a questo che si ha l’impressione che volessi fuggire (...) ma è stato molto stimolante farlo e simulare senza nient’altro che l’immaginazione (...) Per me era un mistero come riuscissero a combinare la mano, me, i pupazzi e farlo sembrare tutt'uno, e li rispetto molto per questo (...) l’uomo che si è occupato degli effetti speciali era un vero artista, conosceva l’anatomia e sapeva come rendere i movimenti credibili (...) La parte più bella è stata vedere il film una volta completato, la prima volta che l’ho guardato ho pensato che urlassi troppo (...) poi ho compreso la particolare maestosità che aveva, nel modo in cui si concludeva e te ne andavi con quell’immagine indimenticabile>>.]
 
In risposta al successo straripante la RKO mise subito in cantiere un sequel, Son of Kong, che sarebbe uscito appena otto mesi dopo. L'effetto King Kong ormai era travolgente, e non poteva essere arrestato. Avrebbe dato il via a uno dei più prolifici filoni di simili (e di spudorate imitazioni) mai visti. Il succitato Ray Harryhausen lo vide da bambino in sala, e ne rimase talmente colpito che da quel momento decise di dedicare la sua vita alla stop-motion. Anni dopo sarebbe diventato l'erede del suo idolo Willis O'Brien e, insieme a lui, avrebbe lavorato a Mighty Joe Young (1949) [per cui O'Brien vinse il premio oscar ai migliori effetti speciali] diretto da Shoedsack. Come già detto due sono stati i remake dedicati [senza contare King Kong vs Godzilla (1962), King Kong - il Gigante della Foresta (1967) -entrambi firmati Ishiro Honda- e King Kong 2 (1986), sequel diretto del precedente rifacimento], e possiamo ammirarne le gesta sul grande schermo ancora oggi nel MonsterVerse della Legendary Pictures. Non si può ignorare nemmeno la lista infinita di rimandi e parodie che la cultura pop gli ha dedicato (non basterebbe un articolo per citarli tutti) tra cui King Homer nello speciale di halloween de I Simpson del 1992, il personaggio Nintendo di Donkey Kong [per il quale, negli anni '80, MCA/Universal tentò di portare in tribunale il colosso videoludico giapponese], o il suo cameo in Ready Player One (2018). Insomma quella scommessa visionaria del 1933 è diventata un caposaldo, forse proprio perché rappresenta uno degli ultimi baluardi di quel desiderio tipicamente romanticista di andare alla scoperta di fantasiosi luoghi inesplorati, ormai tramontato definitivamente con l'avvento della contemporaneità. 

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BIBLIOGRAFIA e VISIONI CONSIGLIATE
ARTICOLO DI
ILLUSTRAZIONE DI COPERTINA DI
REVISIONE DI
ROBB P. LESTINCI e GIULIA ULIVUCCI

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