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mercoledì 8 febbraio 2023

"Devil Times Two – Quando le tenebre escono dal bosco” - Ovvero una splendida lettera d'amore per i nostalgici di “Notte Horror” e “Lucio Fulci presenta"

Correva la fine del decennio degli anni '80 e l'inizio di quello dei '90 quando, accendendo la televisione un martedì estivo in seconda serata e sintonizzandola su Italia Uno, avreste sicuramente provato il brivido del ciclo “Notte Horror”, attesissimo da ogni appassionato di cultura e cinema horror. Il brivido però non sempre sarebbe stato dovuto all'eccessivo terrore di molti film trasmessi in quelle occasioni ma, a volte, capitava di trovare film di qualità abbastanza dubbie, spesso e volentieri con produzione italiana in grado di lasciar interdetti dopo la visione per i motivi più sbagliati. Tali pellicole non erano altro che veri e propri riempitivi realizzati solamente per essere mandati dopo film più celebri o con qualità certamente dubbia in modo da far durare di più il ciclo senza doverlo mozzare prima che l'estate fosse finita.

Chiunque abbia passato queste nottate davanti il vecchio televisore non può senz'altro dimenticarsi del ciclo “Lucio Fulci presenta”, ovvero un insieme di otto film supervisionati da Lucio Fulci in persona... o almeno secondo contratto viste le evidenti divergenze tra il prodotto ultimato e lo stile di Fulci. Ciclo che, dopo essere passato per emittenti televisive private e di minor fama proprio per la propria violenza e il proprio contenuto, ai tempi ritenuto fin troppo eccessivo per un emittente come Italia Uno, finì per raggiungere i propri simili sulla famosa emittente televisiva. Tali opere però, nonostante la qualità, erano piene di tanto amore e tanta passione per il genere che spesso e volentieri sfociavano in pellicole a fondo sperimentale, soprattutto dal punto di vista tecnico, indiscussamente unico.
Devil Times Two – Quando le tenebre escono dal bosco”, nuova opera horror sceneggiata e diretta da Paolo del Fiol che abbiamo avuto il piacere di visionare in anteprima, è un bellissimo e curatissimo omaggio a quelle notti e a quei cicli che tanto appassionavano gli spettatori, pur nella loro stranezza. La pellicola si apre con una scritta in scorrimento verso l'alto accompagnata da una voce narrante che racconta di come tante siano le opere cinematografiche e televisive provenienti dagli anni '60 e '70 ormai smarrite per via della mancata distribuzione, che ha portato alla perdita dei master originali in qualche vecchio magazzino dove ormai la polvere regna sovrana. “Devil Times Two” si piazza proprio tra queste opere, spacciandosi per una pellicola italo-giapponese trasmessa unicamente due volte in un'emittente televisiva veneta di nome “Telelaguna”, da cui fu registrata in una VHS ora ritrovata durante un trasloco. La pellicola, una lettera d'amore per gli appassionati di quelle notti, presenta un filtro VHS misto a uno televisivo abbastanza nostalgico e per nulla fastidioso (a differenza di tante altre pellicole che hanno tentato di raggiungere lo stesso effetto) con tanto di spot pubblicitari e logo televisivo in sovrimpressione, che non fanno altro che immergere sempre di più lo spettatore in quei bellissimi ambienti notturni, veri sovrani di quelle calde estati.

Il film narra le vicende che circondano due esorcisti (Paolo Salvadeo ed Enrico Luly) e la superiora Madre Dolores (Amira Lucrezia Lamour) nei pressi dei boschi confinanti un vecchio convento, ormai in rovina, dove si narra del più grande esorcismo della storia, collegato a una strage. Dopo il misterioso ritrovamento di vittime di omicidio nei boschi, iniziano delle indagini che vedono l'assoluta volontà dei tre protagonisti nello scoprire la verità dietro le voci che collegano questi luoghi oscuri alla porta dell’Inferno. A dar filo da torcere ai tre della chiesa saranno due anime dannate Jamine e Umeko (Erika Saccà e Reiko Nagoshi) con le sembianze di due stupende e attraenti ragazze che si aggirano per i boschi, fino all'atto finale in cui lo scontro deciderà la vittoria del bene o del male.
Il cast che, oltre agli interpreti prima nominati, vede pure la presenza di Denise Brambillasca, Alessandro Carnevale Pellino e Martina Vuotti, risulta essere completamente azzeccato e inerente al progetto, riuscendo ad immergere sempre di più lo spettatore nell'atmosfera, anche grazie a delle tecniche utilizzate che non fanno altro che ricordare il modo di interpretare (e ridoppiare) i personaggi in quei film dell'epoca. 

Ovviamente con un materiale simile non possono mancare riferimenti a pellicole e B-movies amati dagli appassionati come “Il bosco 1”, con cui condivide molti dettagli della storia, pur rimanendo un film diverso rispetto all'ormai cult di Andrea Marfori. Il lato tecnico è caratterizzato da una regia molto buona che fa sentire la passione del regista verso questa tipologia di pellicole, da una colonna sonora composta principalmente da sintetizzatori abbastanza iconici per gli amanti di quelle nottate e da una fotografia molto curata e azzeccata.
Oltre a delle scene volutamente “trash” e a delle scene erotiche, quest'ultime però, a differenza di altre volte in cicli del genere in cui risultavano spesso essere piazzate lì casualmente, solo per far aumentare gli ascolti da parte del pubblico più adulto, sono abbastanza motivate dalla natura delle due anime dannate protagoniste; sono presenti anche delle inquadrature e delle scene molto inquietanti, forse proprio per la loro stranezza. Il film presenta numerosissime scene splatter realizzate con tanta passione e amore per l'arte che non fanno altro che migliorare il prodotto finale.

Per concludere, “Devil Times Two” è un'opera volutamente citazionista e a tratti intenzionalmente “trash”, girata con una passione non comune e con dei talenti abbastanza rilevanti, stra-consigliata ad ogni appassionato del genere e a chiunque debba molti dei propri “traumi” a quelle notti estive degli anni '80 (e non solo), passate davanti alla televisione a suon di film horror come “Il bosco 1” e “Bloody Psycho”.
Potete ottenere ulteriori informazioni corca "Devil Times Two" sulla sua pagina Facebook, mentre qui potete vederne il trailer.

ARTICOLO DI
FRANK BURTON

COPERTINA DI

REVISIONE DI
GIULIA ULIVUCCI E ROBB P. LESTINCI

venerdì 16 ottobre 2020

Un, due, tre... (Recensione "Emily Wants to Play")

Emily Wants to Play è un videogioco horror indie sviluppato da Shawn Hitchcock e pubblicato nel dicembre del 2015 dalla SKH Apps per piattaforme Windows, OS X, HTC Vive e Oculus Rift, ricevendo nei mesi successivi porting su iOS, Android, PlayStation 4 e Xbox One.

Il giocatore vestirà i panni di un fattorino delle pizze, il quale, giunto ad una casa per una consegna, la troverà vuota e, dopo che la porta gli si chiuderà alle spalle, si troverà intrappolato all’interno dell’abitazione. Ben presto il protagonista si renderà conto degli eventi sovrannaturali che hanno luogo nella casa, quali l’apparizione di tre bambole apparentemente possedute e la manifestazione del fantasma di una ragazzina, chiamata appunto “Emily”. 
I dettagli della trama verranno rivelati gradualmente al giocatore tramite indizi visivi, quali la posizione dei mobili e lo stato generale dell’abitazione, note disseminate per la casa e registrazioni vocali della madre di Emily, le quali fanno emergere un’inquietante storia di abusi e patologie mentali. Nonostante ciò il gioco lascerà ampio spazio di interpretazione di questi eventi passati, rispettando l’intelligenza del giocatore e creando un interessante mistero dalla dubbia soluzione, oggetto di moltissime lodi da parte della critica videoludica. Il tutto sarà ulteriormente arricchito da una grande quantità di easter egg e segreti, tra cui possiamo anche annoverare un finale nascosto.

L’obiettivo del gioco sarà quello di sopravvivere per sette ore (dalle 11 di sera alle 6 del mattino) all’interno della casa, venendo attaccati, inizialmente a turno e infine collettivamente, dalle bambole e dal fantasma di Emily. Il giocatore dovrà trovare il modo di contrastare queste entità grazie ad indizi disseminati per la casa e scritti su una lavagna, che spesso indicherà l’esatto opposto di ciò che si deve fare. I metodi per contrastare le bambole ed Emily ricalcano quelli che sono i classici giochi per bambini, quali il gioco del cucù o nascondino. Sebbene le prime volte le varie meccaniche risulteranno interessanti e intrattenenti, ben presto queste ultime diventeranno tediose e ripetitive, riducendo il gameplay a semplice routine e nuocendo alla rigiocabilità del titolo.

I design delle bambole sono di qualità accettabile e molto diversi tra di loro: Mr. Tatters è un semplice clown pupazzo, Kiki è una bambola di porcellana e infine Chester è un pupazzo da ventriloquo. Ironicamente il design più generico e meno accattivante è da attribuirsi alla stessa Emily, che non presenta nessun tratto particolare che la contraddistingue.

Purtroppo i modelli 3D di Emily e delle bambole si trovano in netta antitesi con l’ambiente di gioco, che presenta un design simil-realistico che non si sposa con l’eccentrico aspetto delle bambole e di Emily, che tende molto di più verso il cartoonesco.

Altra critica che ci si trova costretti a muovere nei confronti del gioco è quella relativa ai jumpscares, un cliché fin troppo comune negli indie horror, che risulta presente anche in questo titolo: purtroppo oltre a non risultare spaventoso finiscono per suscitare l’effetto opposto, ovvero l’ilarità, a causa delle animazioni di qualità discutibile e delle espressioni poco curate degli antagonisti del gioco.

Uno dei grandi punti forti del titolo sono le atmosfere: fin da quando metteremo piede nella casa dove il gioco è ambientato risulterà chiaro, tra luci lasciate accese, mobili sottosopra e scatoloni da trasloco mezzi pieni, che qualcosa non va. Il tutto è arricchito da un ottimo sound design, relativo non solo alle entità che incontreremo durante il gioco, ma anche all’ambiente intorno al protagonista, che trasmettono un senso di ansia ed urgenza; tra i suoni più efficaci possiamo annoverare: la pioggia e i tuoni dell’esterno, il forte rumore di apertura delle porte e gli assordanti rintocchi dell’orologio a pendolo, che ci ricorderanno continuamente del passaggio del tempo.

La colonna sonora è alquanto generica e di per sé non presenta nulla di interessante e innovativo, ma il titolo riesce a compensare ampiamente per queste mancanze grazie ad un uso sporadico ma efficace di quest’ultima, che permette al gioco di enfatizzare i momenti più salienti di cui il giocatore sarà testimone, creando così un continuo senso di suspence che arricchisce l’esperienza di gioco.

In conclusione, Emily Wants to Play è un buon gioco, con meccaniche interessanti, sebbene alla lunga ripetitive, e un’ottima atmosfera; si tratta di un titolo che mi sento di consigliare a tutti gli appassionati del genere e a coloro che hanno un po’ di tempo da investirci.

ARTICOLO DI

COPERTINA DI

giovedì 25 luglio 2019

Che venga il nostro male (Recensione "Our Evil")

"Mal Nosso" ("Our Evil") è un film horror soprannaturale brasiliano del 2017 scritto e diretto dall'esordiente Samuel Galli presentato in anteprima al London FrightFest dello stesso anno.
Il film inizia in maniera inaspettata con un uomo (il nostro protagonista, interpretato da Ademir Esteves) che visualizza un video di tortura sul deepweb. Successivamente Arthur, questo il suo nome, contatta il perverso killer (Ricardo Casella) e gli affida un lavoro in un locale, dove tratteranno gli affari e, l'assassino, riceverà una chiavetta usb contente i dati dell'acconto, i dettagli dell'esecuzione e soprattutto un video che darà i codici per i dati. Questo video, però, rivelerà anche qualcos'altro di estremamente oscuro e legato al passato di Arthur.

Il regista Galli dimostra fin da subito le sue doti registiche con uno stile personale, caratterizzato da una spiccata predilezione nel mostrare gli occhi degli attori in primo piano, come se fossero uno specchio della loro anima. Tutti gli attori, inoltre, provenienti dal teatro e quindi praticamente esordienti sul grande schermo, fanno il loro lavoro egregiamente risultando non teatrali ed esagerati come ci si sarebbe potuto aspettare, bensì molto professionali e asciutti.
Le scene sono accompagnate da un ottimo comparto sonoro e in particolare da una soundtrack composta specificamente per il film, la quale, letteralmente, si fonde con la parte visiva, a volte anche in contrapposizione con essa: abbiamo infatti musiche allegre in scene gore, sempre ben fatte, con un ottimo uso di effetti pratici.

Scelta, quella di non usare la CGI, inoltre, mantenuta per tutta la pellicola e anche nella realizzazione del demone (con un look classico, quasi "innocente", rispetto al mostro umano) e dei vari mostri che compaiono, come l'inquietante entità della scena del bagno.
Gli jumpscares sono congegnati a fini della trama e sono spesso posti in parallelo con i twist della trama, rendendo uno stratagemma odiato come quello degli jumpscares non scontato. Essi, infatti, non fanno solo saltare dalla sedia, ma restano nella mente e inquietano, cosa non facile e che si può trovare in davvero pochissimi horror, come "Martyrs".

Un horror forte sia visivamente che emotivamente, di quelli rari, che prende i suoi tempi per la narrazione, passando da thriller ad horror spirituale, di quelli non fatti di cliché e che osano davvero.

Di quelli che mancano nel panorama horror attuale, in sostanza.

Articolo di Robb P. Lestinci

Mostruosità rampante (Recensione "The Lakeside Killer")

Ed ora parliamo di qualcosa di davvero di nicchia, così di nicchia da esser stata vista in totale da sole 14mila persone circa, nonostante anche questa cifra potrebbe essere esagerata. Un mediometraggio quasi del tutto sconosciuto con una premessa davvero interessante, nonostante l'esecuzione mediocre.

"The Lakeside Killer" è un breve film horror found footage del 2012 diretto da Bret Thomas che narra di Ty (Jarod Anderson), un film maker, che segue la ricerca dell'omicida della ragazza di Eddie (Johnny Ortiz) assieme quest'ultimo.
Il regista riuscì a creare falsi manifesti di persone scomparse, creando anche falsi siti e riuscendo a far parlare di sé, brevemente, in alcuni telegiornali locali, riuscendo a divenire virale nella zona delle riprese e mettendo su, in maniera del tutto indipendente e senza grossi fondi, una campagna marketing che, su larga scala, potrebbe davvero far parlare del film in uscita, che guadagnò quindi di credibilità, similmente a come successe a "The Blair Witch Project" all'epoca della sua uscita. Quest'ultima pellicola, infatti, per chi non lo sapesse, si vendette come un vero documentario ritrovato nel fantomatico bosco di Blair e, grazie anche ad una rete internet non così radicata, funzionale e conosciuta come adesso, molti credettero davvero alla sua veridicità, restandone shockati e permettendo il suo successo su larga scala, più che meritato in quel caso.

Il film in sé non è un grande capolavoro, che sia chiaro, si vede che il budget era praticamente inesistente e gli attori sono quasi tutti dei cani monoespressivi, senza alcuna esperienza passata alle spalle, probabilmente non si trattava nemmeno di attori che avevano studiato o fatto corsi, ma l'idea di base è geniale e il modo indiretto nella quale viene costruita lo rende notevole: una rinarrazione moderna della storia di Frankenstein, infatti, fa da sfondo alle vicende, fino alla comparsa della creatura nel finale. 
Gli effetti speciali e i prostetici, nonostante siano visti solo brevemente e al buio, sono funzionali e il mostro ha un aspetto inquietante e massivo, un vero abominio ben distante da quello che siamo abituati a vedere nei film classici, insomma, ben lontano da quella creatura che si é imposta nell'immaginario collettivo a causa dell'Universal e più vicina a quello che fu originariamente inteso da Mary Shelley nel suo romanzo, ossia un vero e proprio mostro dalla statura enorme, con lunghi capelli, composto da brandelli di pelle messi assieme, aspetto interpretato fedelmente solo nel primo film ispirato al libro del 1910 e poi sempre e comunque associato al design più familiare datogli sul grande schermo, design oramai ben troppo iconico per esser cambiato a favore di qualcosa di più fedele alla fonte originale.

Un piccolo film (letteralmente piccolo, dura poco più di mezz'ora), che però ha le sue particolarità e che fa trasparire l'impegno presente alle sue spalle, come questo non poteva non meritare almeno una citazione su questo sito.

Potete vederlo a questo link dal canale ufficiale del regista, ricordando che non esistono rilasci home video o televisivi.

Articolo di Robb P. Lestinci