giovedì 25 luglio 2019

L'uomo diventa macchina (Recensione "Sequence Break")

"Sequence Break" è un film body horror del 2017 diretto dal regista ed attore americano Graham Skipper (visto in "Almost Human" e "Beyond the Gates") al suo secondo approccio registico dopo "Space Clown" del 2016.
Oz (Chase Williamson, co-star di "Beyond the Gates" proprio al fianco Graham Skipper e attore molto attivo nel genere in film come "SIREN", "Bad Match" o "John Dies at the End") è un nerd videoludico che lavora in negozio di giochi arcade vicino alla chiusura. Un giorno conosce una ragazza dai gusti simili, Tess (Fabianne Therese, vista in "Starry Eyes", "Southbound" e, assieme allo stesso Willamson, in "John Dies at the End") per cui finirà rapidamente per innamorarsi, venendo ricambiato. I problemi iniziano quando un misterioso barbone (John Dinan) porta al negozio un gioco che causa allucinazioni e, apparentemente, alterazioni corporee. Oz, però, non rifiuta la sfida e cerca di farlo funzionare ad ogni costa, cadendo in una spirale quasi onirica di terrore.

Il film risulta criptico, esattamente come ci si aspetterebbe da un film che si riprende al maestro Cronenberg, nonostante lo risulti anche per la scrittura confusa, rifacendosi al classico "Videodrome" in maniera assolutamente non velata, quasi spudorata, traslando quel morboso attaccamento ai media che era presente nel film originale al mondo videoludico.

Altra chiara fonte d'ispirazione è la leggenda di Polybius, un gioco che si dice facesse il lavaggio del cervello a chi lo giocava e sviluppato, probabilmente, dall'Intelligence americana e posizionato in alcune sale giochi come test, prima che dei men in black venissero a riprenderlo una volta raccolti sufficienti dati.
Questo film, come il "Beyond the Gates" di Jackson Stewart, è anche un chiaro omaggio a quella decade degli anni '80 che ha influenzato in maniera radicale la nostra culturale popolare. I film ed i board games divengono però, in questa pellicola, videogiochi arcade.

La pellicola è accompagnata da una soundtrack (realizzata da Van Hughes) che sembra uscita proprio da un gioco di quell'epoca e luci al neon ed i flash dei cabinati illuminano, grazie alla pronta fotografia di Brian Sowell, disturbanti scene che imitano quell'erotismo "sbagliato" del body horror di Cronenberg, dove il corpo muta e diviene macchina in un tripudio di quell'orrore viscerale ed estraneo alle nostre menti di cui parlava Lovecraft e di quell'erotismo disgustoso e malato che ti entra sotto la pelle.

Appunto. Nel body horror di Cronenberg, non in quello di Skipper.

Se già la trama inizia a farsi ingarbugliata nonostante le ottime premesse iniziali, gli effetti e la resa in scena di essi non sono dei migliori e non si amalgamano alla pellicola, sempre più confusa e senza un filo saldo che la tenga assieme, nel modo che dovrebbero, suscitando sì facce confuse ed estraniate negli spettatori, ma non quel morboso orrore che avrebbero dovuto suscitare.
Le ambizioni di Skipper di prendere in mano un genere così complesso e di gestirlo come se ne fosse un maestro, dunque, sfumano in un film dal sapore dolceamaro che non convince fino in fondo.

Articolo di Robb P. Lestinci

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