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mercoledì 25 ottobre 2023

Gli innumerevoli volti di Chrono Trigger

La nostalgia, nel bene e nel male, rischia di offuscare la mente, specialmente in quei momenti in cui l'analisi e il pensiero critico dovrebbero essere il motore dei nostri ragionamenti. Io, in primis, ammetto di essermi lasciato trasportare dalla nostalgia nei miei numerosi pomeriggi da post-liceale, in cui le memorie delle innumerevoli ore passate (con la consapevolezza odierna, oserei dire sprecate) su quei JRPG, che ora non riesco più ad amare, i quali distoglievano la mia attenzione dallo studio, viziando la tendenza a procrastinare qualsiasi compito, autoimposto o meno (compreso questo articolo).
Chrono Trigger è forse il videogioco che più di tutti soffre della nostalgia collettiva creatasi nel tempo, non tanto per il gioco in sé, quanto più per la ricostruzione del suo sviluppo. Niente di grave o irreparabile, sia chiaro, ma sentire sempre e solamente tre nomi ripetuti come un mantra quando si cerca di creare un discorso storico sul titolo, rischia di mettere irrimediabilmente in disparte il grande quantitativo di talento impiegato per lo sviluppo del videogioco in questione. Il discorso che sto per imbastire non ha ovviamente l’obiettivo di minimizzare l’apporto creativo di Hironobu Sakaguchi (creatore di Final Fantasy), Yuji Horii (creatore di Dragon Quest) o Akira Toriyama (che, credo, non abbia bisogno di presentazioni). Il fine di questo contributo è quello di ricordare che Chrono Trigger, come qualsiasi altro videogioco dal grande valore produttivo, sia soprattutto uno “sforzo di gruppo”.
Screenshot preso da Game Player, no. 76, Ottobre 1995

Capitolo I
Una genesi incerta
Prima di addentrarci nelle specifiche dello sviluppo, ritengo sia necessario ricostruire la linea temporale di Chrono Trigger, dal suo concepimento all’effettiva uscita sul mercato.

La materializzazione delle idee di Sakaguchi, Horii e Toriyama si può ricondurre a un momento imprecisato del 1993. Secondo il producer Kazuhiko Aoki, infatti, in un’intervista del 1995, quelle che inizialmente erano semplici chiacchiere disinvolte divennero realtà proprio nel ’93, anno di inizio della pre-produzione del progetto Chrono Triggerall’incirca 4 anni fa Sakaguchi, Horii e Toriyama cominciarono a discutere sulla creazione di un RPG. Allora non era qualcosa di totalmente serio, era più un "non sarebbe fantastico lavorare a qualcosa insieme?" La pre-produzione partì solamente 2 anni più tardi quando il nostro team (square soft) cominciò a lavorare insieme a Horii per delineare la base della storia.2

Queste parole troveranno conferma in una preview di V-Jump del '943 in cui Sakaguchi, Horii e Aoki verranno brevemente intervistati. In questo contesto si può notare l’importanza della figura di Aoki che, durante i momenti più fragili e incerti dell’ideazione del gioco, spronò Sakaguchi e tutto il team a non mollare la presa e portare a termine il progetto.

Lo staff era principalmente composto da veterani e nuovi arrivati di SquareSoft a cui si aggiunsero altre personalità fondamentali allincirca a metà dello sviluppo, tra cui uno dei principali sceneggiatori del gioco: Masato Kato. Oltre al già nominato Kato, i crediti di Chrono Trigger annoverano sia nomi già prestigiosi sia nomi che sapranno distinguersi in futuro: Yoshinori Kitase, director degli amatissimi Final Fantasy VI e VII; Takashi Tokita, già noto per lo sperimentale Live-a-LiveYasunori Mitsuda, compositore che saprà farsi notare in altri lavori come Chrono Cross, Xenogears e Shadow HeartsMasanori Hoshino, futuro Monster Designer di Mother 3; Tetsuya Takahashi, ideatore di giochi di culto come Xenogears e Xenosagae, per concludere, nientemeno che Tetsuya Nomura, le cui intuizioni narrative riguardanti la saga di Final Fantasy sapranno farsi odiare e amare.
Il resto poi è storia che conosciamo bene o male tutti: nel 1995 Chrono Trigger viene ufficialmente commercializzato, diventando uno dei videogiochi più amati e conosciuti di tutti i tempi.

Oltre al ritmo incessante, allormai iconica colonna sonora e alla popolarità della meccanica del new game plus, la martellante campagna di marketing, sapientemente incentrata sui tre nomi di copertina, è stata vitale per lenorme successo del videogioco, dandogli inoltre quel senso di mastodonticità grazie a una collaborazione che, nella mente di molti, mai si sarebbe potuta realizzare.

Capitolo II
Dietro le quinte
e oro che non luccica
Come accennato in precedenza, lideatore del canovaccio di Chrono Trigger è, per lappunto, Yuji Horii, il cui ruolo si espanse anche alla revisione dei dialoghi:
"Kitase: [Horii] per esempio, controllava i dialoghi degli NPC presenti nelle città…riusciva a dare molta personalità ai dialoghi cambiando poche parole."4

D’altro canto Sakaguchi, oltre alla revisione di alcuni scenari di gioco, dedicava la maggior parte del suo tempo ad aiutare i director e i designer nelle loro mansioni:
"Kitase: è ufficialmente accreditato come ‘supervisore’, ma in realtà lavorava nel nostro stesso piano. Fece molte cose di testa sua, dalla scrittura dei codici degli eventi di gioco, alle modifiche di statistiche dei mostri."5

Akira Toriyama, esattamente come in Dragon Quest, prese come esempio gli sketch di Yuji Horii (e nel caso di Chrono Trigger anche gli sketch di Masato Kato) per disegnare e definire i character design e i design dei mostri, il cui adattamento su cartuccia venne affidato ai graphic directors Tetsuya Takahashi, Yasuhiko Kamata e Masanori Hoshino. Il design dei personaggi in alcuni casi non venne nemmeno trasposto 1:1 dai disegni di Toriyama, come sottolineato da Masanori Hoshino:
"Abbiamo fatto alcune richieste a Toriyama…per esempio i capelli di Ayla dovevano essere inizialmente lisci, ma pensavamo che un personaggio preistorico avrebbe dovuto avere i capelli ricci… come puoi vedere abbiamo voluto rendere le personalità dei personaggi ben definibili dai modi in cui si muovono..."6

Sempre in queste interviste, le parole di Yoshinori Kitase riescono a dare unidea dei ritmi lavorativi di SquareSoft in quegli anni:
"lo sviluppo è stato davvero lungo, siamo rimasti un anno intero a discutere, di solito in Square è una rarità… Per definire le fondamenta del gioco ci è voluto un anno, e poi successivamente un altro anno di sviluppo per completarlo."7

Uno sviluppo stremante quello di Chrono Trigger, basti pensare che tra il 1993 ed il 1995 fecero la loro comparsa sul mercato Live-A-Live e Final Fantasy VI, giochi in cui Kitase, Tokita e Sakaguchi rivestirono ruoli fondamentali.
La consapevolezza di questi ritmi lavorativi e dellambiente di sviluppo è fondamentale per interpretare le dichiarazioni di Masato Kato, forse le più interessanti che abbiamo.

Masato Kato, prima di entrare nel mondo dei videogiochi, dedicò inizialmente la sua carriera allanimazione, per poi approdare in Tecmo, dove fece parte del team di sviluppo dei primi tre Ninja Gaiden.

Una volta approdato in SquareSoft, venne assegnato al progetto Chrono Trigger solamente a metà dello sviluppo (come accennato in precedenza), questo tuttavia non intaccò l’importante contributo che diede alla trama del gioco. Oltre a modificare e a modellare le idee di trama di Yuji Horii, Kato scrisse interamente da solo tutti gli scenari dellepoca 12.000 B.C. , in cui si snodano gli intrecci di trama più importanti del gioco. Ciò che è davvero interessante è il modo in cui Kato descrive le sue giornate di lavoro dentro SquareSoft, durante lo sviluppo di Chrono Trigger:
"quella di ‘Trigger’ non fu una strada esattamente liscia ed un sacco di parti sono state cambiate alla fine. Ricordo ancora l'insopportabile pensiero di alzarmi la mattina e di andare a lavorare, mi venivano dei mal di stomaco infernali. Nonostante ciò mi assicurai di finire gli eventi presenti in 12.000 B.C. assicurandomi che nessuno li toccasse. Ricordo inoltre come nei momenti in cui si cominciò a decidere chi mettere nei titoli di coda, ‘loro’ decisero di accreditare come sceneggiatori solamente le persone più importanti. A me sinceramente non fregava nulla ‘fate come volete’ ho detto. Alla fine però Tokita e Kitase protestarono questa decisione e mi venne accreditato lo strano titolo di ‘story-planner’... e quindi alla fine del progetto sentii solamente questa sensazione di rilievo per essermi tolto questo fardello."8

La dichiarazione iniziale, inoltre, va in contrasto con quanto detto da Kazuhiko Aoki in una precedente intervista del ’95 in cui viene esplicitato che: "nonostante lo sviluppo sia passato dal CD-Rom alla cartuccia Rom siamo riusciti ad infilarci comunque la maggior parte delle nostre idee".9

Al di là delle parole poco lusinghiere di Kato, qualcosa di positivo emerse dalla sua esperienza in SquareSoft: il rapporto lavorativo che intraprese con il compositore Yasunori Mitsuda.

Mitsuda iniziò a lavorare per SquareSoft già a partire dal 1992, rimanendo tuttavia relegato al reparto degli effetti sonori (come ad esempio in Final Fantasy V) e il ruolo di compositore gli venne assegnato solamente a partire proprio da Chrono Trigger, dopo aver espresso le sue frustrazioni ad Hironobu Sakaguchi.
A sinistra Yasunori Mitsuda, a destra Masato Kato
Come nel caso di Kato, anche per Mitsuda lo sviluppo di Chrono Trigger è stato per certi versi sofferto. A causa della sua salute cagionevole, e in parte per le estenuanti sessioni di lavoro (probabilmente autoimposte10) cominciò a soffrire i dolori di un'ulcera gastrica, che gli impedì di completare alcune tracce. Questo è il motivo per cui Nobuo Uematsu è annoverato come compositore nei crediti di gioco. Quest’ultimo, infatti, completò la colonna sonora componendo 9 tracce sulle 64 totali. L’apporto fondamentale di Mitsuda non viene fatto notare mai abbastanza e nonostante un continuo di carriera davvero notevole (XenogearsChrono CrossShadow HeartsXenosagaXenoblade Chronicles) difficilmente lo si trova nominato tra i più grandi compositori viventi nel mondo dei videogiochi.11

Queste storie, aneddoti e interviste dimostrano come la realtà di Chrono Trigger (e del mondo video-ludico in generale) non può essere circoscritta a un piccolo manipolodi persone o addirittura a una persona sola, che dall’alto della sua sapienza orchestra un manipolo di automi, pronti a soddisfare ogni sua richiesta. Certo, è altrettanto vera la difficoltà di accreditare propriamente gli sviluppatori in un ambiente così tanto liquido come la creazione di un videogioco, come è altrettanto inevitabile perdere tanti dettagli per strada.

Ma la potenza di uno strumento come la curiosità, specie se scevro di preconcetti, può portare a un approfondimento sano e virtuoso.
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NOTE

2 Chrono Trigger – 1995 Interview Collection, Shmuplations

3 Chrono Trigger - V-jump 94 Presentation (now w/subtitles), Carnivol, su YouTube

4 Cit., Chrono Trigger – 1995 Interview Collection

5 Ibidem.

6 Ibidem.

7 Ibidem.

8 Procyon Studio, November 1999 Masato Kato e November 1999 Yasunori Mitsuda, Chrono Compendium

9 Cit. Chrono Trigger – 1995 Interview Collection, Shmupulations

10 Yasunori Mitsuda – 2000 Developer Interview, Shmupulations

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venerdì 22 settembre 2023

BABBDI - un manifesto sociale


Premessa
Camminando per le strade delle nostra città subiamo passivamente un continuo condizionamento percettivo. L'ambiente che viviamo rispecchia quelli che sono i nostri valori sociali e culturali, una dinamica in cui la nostra identità è affermata in funzione del contesto, il quale ci restituisce un'immagine speculare di quello che si può definire "il nostro posto nel mondo". Questa forma dialettica è così profondamente assestata nella concezione comune da risultare scontata, eppure mai abbastanza elaborata. C'è un motivo se gli anonimi sobborghi francesi vengono tuttora ristrutturati andando a implementare quella che è, da ormai trecento anni, la caratteristica architettura haussmanniana.
Colombes, Paris
Così come il maestoso progetto di rinnovo del centro storico di Francoforte (chiamato "ritorno alla gloria" dalle fonti ufficiali) ristabiliva, da planimetria originale, gli antichi edifici gotici andati distrutti in seguito ai bombardamenti del quaranta.
Neue Altstadt, Frankfurt
La presenza (o assenza) fisica di monumenti identificativi influenza direttamente l'individuo e, per estensione, la comunità, sviluppando un'identità sociale che si costruisce prima di tutto dall'esterno e che, risuonando dall'interno di ciascuno, va a sintonizzare e definire gli ideali dominanti di un popolo.

Un biglietto per Babbdi
Sviluppato dai fratelli Sirius e Léonard Lemaitre, Babbdi appare su Steam il 22 Dicembre 2022 (dov’è tuttora disponibile gratuitamente) presentandosi come un semplice gioco esplorativo in prima persona. Una volta avviato, però, ci si rende immediatamente conto che qualcosa non va: il menù principale presenta, oltre a un accompagnamento musicale minimo (composto per lo più da rumori spiacevoli) una serie di errori ortografici quali “OIPPTION” per regolare le impostazioni o “QUUTI” per chiudere il gioco. Se a primo impatto questi titoli possono sembrarci quantomeno curiosi, capiremo presto che si tratta di un qualcosa di molto più serio.
Dopo aver cliccato su “PLAME” ha inizio la nostra partita. La transizione al gameplay è istantanea, ci ritroviamo subito in un lungo corridoio semi-illuminato da rumorose lampade a soffitto (alcune delle quali difettose o completamente guaste). Sulla sinistra ci accorgiamo di una fila di finestre che seguono tutto il muro, una rapida occhiata ci rivela di essere abbastanza in alto e alzando lo sguardo possiamo contemplare la nostra prima vista del paesaggio urbano (fatto di spigolosi blocchi di cemento coperti da un cielo grigio).
Avanzando sul pianerottolo passiamo davanti a diverse stanze abitate da strani esseri umanoidi, con cui sarà possibile interagire tramite dialogo. I loro occhi, completamente bianchi, cominceranno a fissarci non appena entreremo nel loro spazio percettivo.
Basteranno poche parole a farci capire che questa città, Babbdi, è un luogo indesiderabile, e tutti sembrano volerla abbandonare al più presto. Chiusa tra un’enorme diga e un’insormontabile muraglia, l’unico modo di lasciare la città è via treno. Scendiamo dunque dall’edificio, attraversando le vie desolate in cerca di una stazione. Lo spazio claustrofobico della metropoli ci stringe nella sua morsa industriale, l’aria filtra faticosamente tra i palazzi insopportabilmente stretti che ci fanno da contorno, passo dopo passo il nostro rumore sembra riempire le strade ed entrare nelle case e nelle stanze fino alle orecchie di chiunque possa essere in ascolto.
Babbdi è una città vuota, morente, ma non del tutto abbandonata. Le insensate costruzioni s’intersecano e si dividono violentemente, andando a creare spazi liminali che sembrerebbero usciti dalla penna di Tsutomu Nihei. Ampie aree aperte contrastano con stretti cunicoli capillari, torrioni cementifici emergono dalle profondità della terra sovrastando l’orizzonte. Se nell’universo di “BLAME!” la follia architettonica era giustificata da un’IA difettosa, la quale costruiva e demoliva compulsivamente l’ambiente a seconda di alterazioni magnetiche, a Babbdi non ci sono chiari suggerimenti sulla sua effettiva progettazione topografica (che si direbbe altrettanto caotica).
Le forme non sono però le sole ad essere convolute, sporadicamente ci capiterà d’incontrare cartelli e insegne varie che a prima vista potrebbero passare inosservate ma che, se analizzate, riveleranno un significato contorto: le lettere, invertite o del tutto assenti, formano parole storpiate e vagamente intuibili. La loro sistemazione raffazzonata le pone nei posti più improbabili, piegate e consumate, a indicare, in questo caso, un’ipotetica stazione (“ttaiston”).
Seguendo confusamente le indicazioni arriviamo finalmente alla stazione di Babbdi. L’ingresso è sbarrato da diverse assi di legno affiancate da un curioso individuo, il quale ci riferirà che “senza biglietto i treni non si fermano nemmeno”, rimarcando che continuerebbero anche se ci dovessimo piazzare noi stessi sui binari.
Smantellata la barricata ci facciamo strada per la lunga scalinata sotterranea arrivando finalmente alla fine: ci sono due corsie ai lati della banchina, quest’ultima presenta un’unica convalidatrice elettronica. Sentiamo in lontananza rumori di rotaia mentre intravediamo una luce avvicinarsi sempre più. I vagoni ci scorrono davanti a velocità preoccupante, portando con loro l’assordante rumore che li ha accompagnati, insieme a ogni nostra speranza di fuga.
Inizia così la nostra avventura in questo labirinto di calce, tra arrampicate e salti nel vuoto, alla ricerca disperata di un biglietto per abbandonare una volta e per tutte quest’opprimente città fantasma.

Un ventre morto
L’architettura di Babbdi, per quanto inverosimile, è basata sulla corrente del “brutalismo” sviluppatasi in Europa negli anni '50 del dopoguerra. L’accentuazione delle forme geometriche unite alla rudezza del “cemento a vista” (cioè volutamente scoperto) dovevano trasmettere una sorta di vigore edilizio, spoglio di ogni intonaco.
UK National Theatre
In verità questo stile sfruttava la crescente richiesta di spazi residenziali, proponendo un sistema essenziale ma soprattutto economico per costruire velocemente densi centri abitativi. Una soluzione che ignorava completamente il senso estetico e identitario del luogo, ricoprendo il panorama di un grigiume indifferente, completamente disinteressato alla vita che avrebbe dovuto ospitare.

La sterile melma incolore, unita a una particolare predisposizione all’usura, ha reso questi monumenti simbolo di un decadimento societario che minacciava di straripare sul resto del mondo.

Solo negli ultimi anni ci sono state serie manifestazioni contro questo tipo di costruzioni, portando talvolta anche alla demolizione di alcune di esse. Le torri e i palazzi si ergono come presagi di un nostro possibile futuro, virtualizzato e reso esplorabile in Babbdi.
Il gioco diventa tramite di una riflessione filosofica: una finestra distopica sull’avvenire di una realtà già presumibile, incentivandoci all’azione così da evitarne l’effettiva realizzazione. 

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mercoledì 9 agosto 2023

Shadow Hearts: storia di una saga dimenticata [Pt. 2]

Le leggi del mercato, per quanto spietate, non potranno mai essere ignorate. Nel mondo dei videogiochi l’ombra del fallimento segue e spaventa chiunque, senza alcun tipo di distinzione e difficilmente lascia scampo. Per SNK quest’ombra nel 2000 divenne sempre più grande ed opprimente, tra fallimenti sia a livello hardware che software la casa sviluppatrice attraversò gli anni più bui della sua storia. Fu allora che la nota produttrice di pachinko Aruze, notando le difficoltà finanziarie di SNK, decise di cogliere l’opportunità e di effettuare l’acquisto dell’amata casa videoludica. Nel gennaio del 2000, SNK assieme a tutte le sue proprietà intellettuali divenne parte di Aruze, con il conseguente abbandono di alcune delle personalità più influenti della ormai defunta casa produttrice. Nell’acquisto era ovviamente presente anche Sacnoth che durante la produzione del seguito di Shadow Hearts venne rinominata Nautilus, mantenendo però fortunatamente quasi tutto lo staff precedente all’acquisto.

Shadow Hearts II, che in occidente venne rinominato Shadow Hearts Covenant, uscì sugli scaffali nel 2004 ricevendo un’accoglienza ben diversa rispetto al capitolo precedente.
Il gioco viene ancora oggi considerato come il miglior capitolo della saga e generalmente come uno dei punti di arrivo più alti del genere per quanto riguarda la sesta generazione videoludica. Matsuzo Machida prende nuovamente le vesti di director e scrittore, portando il protagonista Yuri negli anni della Prima Guerra Mondiale ed espandendo ancor di più la sua visione bizzarra e mostruosa del mondo di Shadow Hearts. La veste grafica fa ben più di un salto in avanti, aumentando esponenzialmente la conta poligonale e dotando i personaggi di animazioni facciali quasi del tutto assenti nel primo capitolo. Il sistema di combattimento, pur rimanendo ancorato ai dogmi del genere, rende il Judgment Ring l’assoluto protagonista del gameplay sotto tutti i punti di vista. Rispetto al primo capitolo il Ring è ora personalizzabile sotto ogni aspetto: dal renderlo più semplice, per permettere una maggiore percentuale di riuscita delle proprie azioni, al renderlo più difficile per aumentare l’output del danno, ad aumentare il quantitativo di colpi disponibili durante gli attacchi, al poter cambiare la posizione delle aree da colpire ed a questo si aggiunge anche un sistema di combo che permette, attraverso la pianificazione dei propri turni, di poter sconfiggere i nemici più ostici anche in pochi secondi.
D’altro canto però, Shadow Hearts II abbandona in parte le atmosfere cupe e marce del capitolo precedente, lasciando molto più spazio a segmenti comici e demenziali, che seppur caratterizzanti anche del primo capitolo, occupano in modo soffocante le ore di gioco. Questa decisione creativa è stata in parte presa a seguito dei feedback negativi dei giocatori giapponesi che poco hanno apprezzato gli elementi cupi e psicotici del primo Shadow Hearts ed in parte dal piano esecutivo di Aruze, che volendo inseguire un pubblico quanto più mainstream, ‘obbligarono’ Machida ed il suo team a rispettare le probabili esigenze della loro fetta di mercato. Anche la durata del titolo è stata estesa, si passa dalle 20 ore del capitolo precedente alle 40 ore circa, portando inevitabilmente ad un gonfiore delle fasi intermedie del gioco e ad una sensazione di allungamento assente nel capitolo precedente. Paradossalmente inoltre la veste grafica rinnovata va a sfavore del design dei nemici che, imbevuti di una indiretta estetica ‘low poly’ nel capitolo precedente, ora perdono di efficacia e rende l’ispirazione lovecraftiana meno pungente. Nonostante questo, Shadow Hearts II riesce comunque, anche da un punto di vista puramente meccanico, a dimostrare le potenzialità del gioco di ruolo giapponese, genere che tutt’oggi rimane ottusamente schiavo di dogmi e strutture create da più di trent’anni, complice anche un pubblico che difficilmente premia dal punto di vista economico la sperimentazione e l’uscita dai canoni.

Destino scontato
La produzione di un seguito è spesso un’operazione azzardata, specie se si tratta del seguito di un’opera per lo più sconosciuta e in parte controversa. Le 204.000 copie vendute di Shadow Hearts II, per quanto siano state dichiarate ‘soddisfacenti’ dal piano esecutivo di Aruze, non sono comunque bastate a rilanciare il nome di una saga già da tempo particolarmente sfortunata. Diventa ancora più bizzarra dunque la decisione di produrre un ulteriore capitolo, decisione che si rivelerà fatale per la suddetta saga. Poco dopo l’uscita del secondo capitolo, Shadow Hearts: From the New World venne dichiarato in fase di produzione, con la sua conseguente uscita in Giappone nel 2005. Ambientato in America durante l’era del proibizionismo, From the New World abbandona definitivamente gli elementi horror che hanno contraddistinto la saga sino a quel momento e narrativamente si allontana del tutto dai capitoli precedenti, puntando probabilmente alla ricerca di un nuovo pubblico.
Nuovo pubblico che non arrivò, in quanto i dati di vendita si attestarono più o meno sugli stessi numeri a cui Aruze era ormai abituata, segnando definitivamente lo stallo della saga e la sua inevitabile fine. Dopo diversi anni di assordante silenzio, Nautilus cessò di esistere nel 2009 in seguito a varie ristrutturazioni aziendali di Aruze, che portarono alla chiusura definitiva della sezione dedicata ai videogiochi. Come se non bastasse poi, l’IP di Shadow Hearts si trova tuttora in un nodo burocratico che probabilmente non verrà mai sciolto. Di fatto il marchio registrato ‘Shadow Hearts’ è nelle mani di Aruze che dal 2009 ha cambiato nome in Universal Entertainment (che nulla ha a che vedere con Universal Pictures), la cui struttura interna è radicalmente diversa rispetto agli anni precedenti.

Le ceneri di Nautilus nel corso degli anni non si sono mai disperse fortunatamente del tutto. Molti sviluppatori della ormai defunta casa videoludica trovarono una nuova dimora in Feelplus, software house messa in piedi da Microsoft con l’obiettivo di aiutare lo sviluppo del nuovo progetto di Mistwalker (casa sviluppatrice fondata da Hironobu Sakaguchi, il creatore di Final FantasyLost Odyssey, uscito ufficialmente nel 2008. Ironicamente il videogioco in questione fu vittima di un destino commerciale molto simile a quello di Shadow Hearts.
Matsuzo Machida dal suo canto, ha rivelato in una recente registrazione radio di come nel corso degli anni diverse case di sviluppo lo abbiano contattato per rianimare la saga di Shadow Hearts, tentativi che purtroppo non si sono mai compiuti concretamente. Il riscatto effettivo di Machida è arrivato nel 2022, anno in cui annuncia la campagna Kickstarter del suo nuovo progetto: Penny Blood, un vero e proprio seguito spirituale sia estetico che meccanico della sua vecchia saga. L’inaspettato calore e lo stupore generale all’annuncio del progetto mostra in definitiva quanto il mercato e i giocatori necessitino produzioni di questo tipo, e sono il testamento di come la sfortuna finanziaria non debba necessariamente essere la carnefice della creatività.
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mercoledì 5 luglio 2023

Alla ricerca di pace nella steppa (Recensione "Swelter")

Una misura dell’influenza culturale, della fama e della qualità generale di un’opera, qualsiasi sia il suo medium, è senza ombra di dubbio il seguito che quest’ultima è riuscita ad ottenere, nonché la sua continua attività ad anni dall’uscita della suddetta opera. Nello specifico caso dei videogiochi, tale dedizione si può manifestare con un consistente output di mod per il videogioco attorno al quale si è formata la community; in questo contesto, non esiste esempio migliore di Half-Life 2. Il motore grafico del gioco, il leggendario Source Engine, discendente del GoldSrc del primo Half-Life, a sua volta derivato dal Quake Engine[1], era un vero e proprio prodigio dello sviluppo di software e tutt’oggi conserva un suo charme unico e indescrivibile: tali sono le caratteristiche che, insieme alle incredibili rivoluzioni apportate da Half-Life 2 in ambito videoludico, hanno spinto i fan della serie a creare i propri giochi con questo motore grafico.

Non sorprende, dunque, la comparsa di Swelter nel negozio di Steam: il titolo è una mod gratuita per Half-Life 2, sviluppata dallo SnowDropEscape developer team e pubblicata da Eduard Rostovtsev e dallo stesso gruppo il 26 giugno di quest’anno. I medesimi sviluppatori avevano precedentemente sviluppato e pubblicato un’altra mod per Half-Life 2, denominata, appunto, Snowdrop Escape, e ad una mod per Portal 2, Mind Escape, erede di Conversion e Afterword[2].https://cdn.akamai.steamstatic.com/steam/apps/1815330/ss_21e39fab8e33d5bcbfa0306c78d9b1230a8a4b83.jpg?t=1687775156Ambientato dodici anni prima gli eventi di Half-Life 2, Swelter vede il giocatore vestire i panni di un anonimo membro della Resistenza, il gruppo ribelle intenzionato a liberare l’umanità dal giogo dei Combine, conquistatori provenienti da un’altra dimensione che ricoprono il ruolo di antagonista principale di Half-Life 2, dei relativi episodi e di Half-Life Alyx. Giunto nei pressi di City-545, città collocata nell’Asia centrale, il protagonista viene incaricato di infiltrarsi nel Black Battalion, un gruppo di anarchici precedentemente alleato con la Resistenza, guadagnarsi la fiducia del leader del gruppo, Roki, e “fare ammenda”.https://cdn.akamai.steamstatic.com/steam/apps/1815330/ss_6532b234fb75f10efe45f71f3786eb6d76d2a29c.jpg?t=1687775156Emerge fin da subito l’interessante prospettiva proposta in questo gioco: piuttosto che il conflitto tra umani e Combine, il punto focale è spostato sulle differenze ideologiche tra i ranghi degli umani stessi; laddove la Resistenza desidera combattere attivamente contro gli invasori della Terra, il Black Battalion ha un approccio più passivo e non desidera altro che ritagliare ai suoi membri un angolo di terra abitabile in cui vivere, lontani dal conflitto.

Tuttavia, sebbene tale chiave di lettura risulti interessante e originale per la serie di Half-Life, quest’ultima è anche annacquata da un pacing non ottimale e da dialoghi fin troppo banali e al limite del comico (almeno nel doppiaggio inglese).https://cdn.akamai.steamstatic.com/steam/apps/1815330/ss_35951d93720696680cbea2e8e07ef698e958f2f7.jpg?t=1687775156Il gameplay della mod presenta numerose novità rispetto al gioco base: oltre all’aggiunta di nuove armi, quali un fucile da cecchino o il bastone stordente utilizzato dalla protezione civile (in realtà derivati entrambi da armi tagliate di Half-Life 2), quelle già presenti nel gioco di base sono state modificate, aggiungendo in primis la possibilità di prendere la mira; tale abilità si rivelerà fondamentale, in quanto Swelter non si farà problemi a schierare decine di nemici contemporaneamente contro il giocatore e, come se non bastasse, questi saranno anche più difficili da abbattere rispetto alle loro controparti in Half-Life 2. Piccole innovazioni riguardano anche i nemici: le più evidenti sono la presenza del Bullsquid, un nemico del primo Half-Life assente nel secondo capitolo (sebbene sia presente nella beta di Half-Life 2 e, stando alle parole dello sceneggiatore della serie Marc Laidlaw, anche nel mondo di gioco del prodotto finale, sebbene non sia stato presentato nel titolo stesso[3]), e l’utilizzo di texture tagliate per le Formiche Leone.https://cdn.akamai.steamstatic.com/steam/apps/1815330/ss_cf67e7decd15815964f09fb2e0daa8557951c49b.jpg?t=1687775156Altra aggiunta interessante è l’interfaccia utilizzata per i puzzle: laddove il giocatore dovrà svolgere specifiche azioni sarà infatti presente un’icona dedicata; tale sistema, sebbene permetta soluzioni più complesse ai puzzle presentati (come ad esempio portare una tanica di benzina a un veicolo senza più carburante o sostituire un fusibile in un quadro elettrico), può però essere anche percepito come un tentativo degli sviluppatori di guidare i giocatori laddove il contesto in-game non risulti sufficientemente efficace e intuitivo, cosa che denota un game design non eccellente. Sintomo di tale problema è anche la presenza di un taccuino consultabile dal giocatore che contiene informazioni sull’obiettivo della missione in corso.

L’ambientazione di Swelter è senza dubbio uno dei punti forti del gioco. Oltre ad avere un ruolo funzionale (la separazione spaziale dagli eventi di Half-Life 2, così come quella temporale, permettono infatti di ridurre eventuali conflitti della trama della mod con il canone della serie), la qualità delle mappe esplorate è notevole e la loro varietà risulta sufficiente; colpisce in particolare la vastità di alcune delle mappe ambientate all’esterno, il che palesa una notevole abilità degli sviluppatori nell’utilizzo del motore grafico del gioco, che difficilmente si presta ad ambienti molto estesi.https://cdn.akamai.steamstatic.com/steam/apps/1815330/ss_26cdd4f972a045d05bc77c27379c6e63d22f34ee.jpg?t=1687775156Altro punto forte è la colonna sonora, composta da Paweł Perepelica, che si sposa perfettamente con le ambientazioni e situazioni presentate e, più in generale, al mondo di Half-Life, pur mantenendo uno stile originale e unico.

In conclusione, Swelter risulta essere una buona mod per Half-Life 2 con una trama e un’ambientazione affascinanti, ma con qualche difetto da tollerare. Se vi interessa una nuova prospettiva sull’universo di Half-Life o desiderate semplicemente un po’ di divertimento (intenzionale o meno che sia), questo gioco fa al caso vostro.https://cdn.akamai.steamstatic.com/steam/apps/1815330/ss_6b7f12f9edcfea08a74814be821c5aafd0af8bb5.jpg?t=1687775156

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NOTE

 ARTICOLO DI

mercoledì 1 marzo 2023

Non parlare dei Messaggeri (Recensione "Drakengard")

“Un patto! Non ci resta altro! […] Degno o indegno, io voglio vivere! Disprezzami pure, ma io non morirò. Rispondi! Un patto… o la morte?”
 
È forse possibile per un medium trasmettere a pieno il proprio messaggio e raggiungere, senza dubbio alcuno, il proprio obiettivo ed essere comunque giudicato qualitativamente pessimo? Naturalmente il messaggio di fondo può risultare intrinsecamente negativo, ma se il modo in cui è utilizzato, rappresentato e trasmesso a coloro che usufruiscono del prodotto, quest’ultimo non può certo essere considerato scadente; non sarebbe forse una contraddizione?
Eppure, questo è proprio il caso di Drakengard, videogioco per PlayStation 2 sviluppato dalla Cavia e pubblicato in Giappone l’11 settembre 2003 (e in occidente nel 2004) dalla allora appena formatasi SQUARE ENIX. Il titolo segna il debutto nel ruolo di director di Taro Yoko, meglio noto per la serie di NieR, nata appunto come seguito di Drakengard; le sue parole sono essenziali per comprendere la natura del gioco:
 
“Era circa dieci anni fa, quando stavamo lavorando al primo Drakengard, che mi sono trovato a riflettere sul significato dell’atto di ‘uccidere’. A quei tempi, stavo guardando svariati giochi e vedevo dei messaggi che dicevano ‘Hai sconfitto 100 nemici!’ o ‘Hai eliminato 100 soldati nemici!’ in maniera quasi compiaciuta, ma quando ci ho ripensato a mente fredda, ho realizzato quanto sia strano compiacersi di aver ucciso cento persone. Voglio dire, se tu uccidessi cento persone saresti un serial killer; tutto ciò mi sembrava una follia. Per questo ho deciso di rendere il gruppo del protagonista di Drakengard dei folli: volevo creare una compagnia perversa in cui tutti sono deviati e ingiusti. Volevo creare una storia su questa gente malata.”
 
Risulta quindi evidente che Drakengard sia stato concepito fin dall’inizio come un’esperienza spiacevole, frustrante e tediosa e ogni aspetto del gioco riflette tale idea.
Durante le sue apparizioni pubbliche Taro Yoko, director di Drakengard, indossa sempre una maschera modellata sulle fattezze di Emil, un personaggio della serie di NieR.
Il titolo, ambientato nell’apparentemente fittizia terra di Midgard, segue le gesta di Caim, principe del regno caduto di Caerleon, unitosi ai Confederati, un’alleanza di stati e provincie che tenta un disperato contrattacco contro l’inarrestabile Impero: questo sembra essere in qualche modo connesso al misterioso Culto dei Messaggeri e intenzionato a catturare Furiae, la sorella di Caim, che riveste il ruolo di Dea del Sigillo. In battaglia, Caim è mortalmente ferito dai soldati dell’Impero e imbattutosi in un drago nelle sue stesse condizioni, decide, seppur memore della morte dei suoi genitori a causa di un drago nero, di stringere un patto con la creatura; tale magia cura le loro ferite e lega le loro anime, ma ha un prezzo: la voce di Caim.
Caim, in fin di vita, si avvicina al drago.
Come già affermato, il protagonista e gli alleati che incontrerà durante la storia sono tutte persone profondamente disturbate e spesso il prezzo dei patti stretti con le rispettive creature magiche ha un risvolto ironico e crudele. Caim, consumato dal suo desiderio di vendetta contro l’Impero, si rivela essere uno spietato assassino, pronto ad uccidere uomini, donne e bambini se questo significa raggiungere i suoi scopi; qualsiasi richiesta di mostrare pietà, venga essa dai nemici del principe o dai suoi stessi alleati, rimane inascoltata. Il suo mutismo, risultato del patto con il drago, che in qualsiasi altro titolo sarebbe stato usato per rendere l’esperienza ancora più immersiva, qui è uno strumento per celare i pensieri di Caim: per quanto possa essere disturbante conoscere cosa gira per la sua mente, esserne quasi totalmente allo scuro lo è ancora di più. Leonard è il primo dei personaggi che si uniranno a Caim nella sua avventura, dopo la morte dei suoi fratelli per mano dell’Impero; è ben presto rivelato che l’uomo è un pedofilo, isolatosi dalla società per non soccombere alle sue tendenze deviate; il prezzo del suo patto, stipulato con una fata che lo tormenta costantemente, è la vista, così che mai più possa posare gli occhi sull’oggetto del suo piacere. Ben presto al gruppo si unirà anche Arioch, una donna di razza elfica impazzita dopo la morte di suo marito e dei suoi figli e datasi al cannibalismo; il prezzo del suo patto con gli spiriti del fuoco e dell’acqua, Salamander e Undine, è il suo utero, così che non possa mai più avere figli. Ultimo personaggio ad unirsi a questa compagnia è Seere, un bambino di 6 anni in cerca della sorella gemella, Manah, dopo la morte della madre; tale personaggio rappresenta, almeno parzialmente un’eccezione alla perversione che accomuna gli altri membri del gruppo di Caim, ma la sua innocenza e positività di fronte allo squallido e desolato mondo di Drakengard è già di per se straniante; ossessionato dalle storie che la madre gli raccontava, il prezzo del patto che stringe con un golem di pietra è il suo tempo, così che non possa mai invecchiare, mantenendo le illusioni dell’infanzia.
Arioch durante il suo primo incontro con Salamander e Undine.
Il gioco è diviso in capitoli a loro volta suddivisi in versi, che rappresentano i livelli giocabili. Il gameplay di Drakengard è diviso in due fasi principali: il combattimento a terra e in aria. Il primo adotta uno stile musou e consiste principalmente nell’uso di armi corpo a corpo e magie per sconfiggere ondate di nemici che il gioco invierà contro il giocare; oltre a Caim sarà possibile utilizzare Leonard, Arioch e Seere, ciascuno con le proprie magie peculiari, per un tempo limitato; inoltre, laddove consentito, Caim potrà chiamare il drago e cavalcarlo per liberarsi più velocemente dei mostri e dei soldati affrontati, ma arcieri e maghi saranno in grado di far cadere il principe, rendendo tale opzione inutile. Questa parte del gameplay risulta incredibilmente frustrante a causa di un numero esorbitante di nemici da affrontare, capaci anche di interrompere gli attacchi speciali del giocatore a metà animazione, di una telecamera pessima, che non permette di essere riposizionata manualmente, e da controlli di attacco che reagiscono il leggero ritardo, rendendo il giocatore vulnerabile ad attacchi nemici. Il combattimento in aria, che utilizza Caim a cavallo del drago, vede il protagonista affrontare oggetti e creature volanti: il drago potrà lanciare ai nemici potenti sfere di fuoco singole, o molteplici colpi più deboli, che però sono in grado di seguire i bersagli agganciati. Sebbene tale fase del combattimento sia molto più tollerabile, presenta anch’essa svariati problemi, come i già precedentemente citati ritardi di input, la difficoltà nel riposizionare il drago durante le battaglie o il numero elevato di punti vita di alcuni nemici. Sostanzialmente il gameplay di Drakengard lo rende un’esperienza sconfortante e intollerabile.
Caim a cavallo del drago.
È importante citare anche il sistema con cui sono ottenuti i cinque finali del gioco: sebbene in molti altri titoli un sistema di finali multipli preveda l’esecuzione di specifiche azioni, in Drakengard i finali vanno ottenuti in maniera consecutiva; ad esempio, l’ottenimento del finale A è uno dei fattori necessari per accedere ai finali B e C, insieme ad alcune azioni come lo sconfiggere determinati boss in un tempo limite o mantenendo un certo numero di punti vita. Tutto ciò culmina nei requisiti per il finale E, che richiede di aver ottenuto tutte le armi presenti nel gioco: questo vuol dire che un giocatore che non era a conoscenza di tale fatto, si ritroverà a dover rigiocare molti livelli, per quanto tediosi possano essere. Altra differenza con i classici finali multipli di altri giochi è che in Drakengard i più difficili da ottenere sono anche i peggiori, in cui la storia prende pieghe sempre più inaspettate, inquietanti e angoscianti, sfociando nell’horror cosmico, fino poi a perdere totalmente il senso della logica.
La bandiera dell’Impero.
Le ambientazioni sembrerebbero, almeno inizialmente, generici paesaggi di stampo simil-medievale; tuttavia, i colori spenti e le atmosfere desolate che le condiscono trasmettono un senso di oppressione ed ansia. Tali aree diventano più creative ed originali man mano che si prosegue nel gioco e particolarmente degna di nota è la Capitale Imperiale, in cui spiccano due alte torri simili a grattacieli moderni: considerata la data di uscita di Drakengard, è facile ipotizzare che tale scelta è volta a richiamare, consciamente o inconsciamente, gli eventi dell’attentato terroristico al World Trade Center dell’11 settembre 2001. Se ciò può apparire agli occhi di alcuni come una semplice coincidenza, basti pensare che lo stesso Taro Yoko ha affermato di considerare l’attentato come l’evento principale che ha ispirato i temi di NieR Replicant e NieR Gestalt, seguiti di Drakengard.
La Capitale Imperiale.
La soundtrack del gioco è una cacofonia di suoni dissonanti, disgiunti e ripetitivi, creata campionando spezzoni di pezzi di musica classica, quali Quadri di un’esposizione di Mussorgskij, Il lago dei cigni di Tchaikovsky, Le nozze di Figaro di Mozart e molti altri. L’unione di queste tracce produce una musica caotica e confusionaria, che riflette perfettamente la caoticità del campo di battaglia e della mente del protagonista, a scapito del giocatore, che si ritroverà ad essere bombardato da un loop infinito di suoni irritanti.
Caim fa strage dei soldati dell’Impero.
Altro elemento che contribuisce all’inquietudine trasmessa da Drakengard è la sensazione che il gioco stesso osservi e giudichi le azioni del giocatore, in quanto vero artefice delle stragi perpetrate da Caim. Tale sensazione è principalmente percepita durante il gioco al livello implicito come somma di tutti gli elementi sopracitati, ma talvolta, in alcune sezioni, tale intenzione diventa più esplicita; i due esempi da citare sono una missione in cui gli stessi menù di gioco cominciano a lanciare illazioni verso i soldati dell’Impero e il finale E, in cui il gioco si rivela in pieno.
A fronte di tutto ciò, è possibile affermare che Drakengard è un’esperienza disturbante e inquietante al suo meglio e un’epopea tediosa, frustrante e sgradevole al suo peggio, sia questo intenzionale o meno, che presenta però una narrativa originale e stravagante; sebbene ciò voglia dire che Taro Yoko sia riuscito a trasmettere il proprio messaggio, è anche vero che questo si traduce in un gioco pessimo. Pertanto, nonostante i suoi pregi, non mi sento di consigliare Drakengard a coloro che non hanno un’indole particolarmente masochistica.
 
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