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giovedì 8 maggio 2025

Hellblade Il videogioco come simulacro dell'alterazione mentale

Indice
1. Metamorfosi virtuale
2. La voce della follia
3. Demistificare l’irrazionale

CAPITOLO 1
Metamorfosi virtuale

Empatia, il videogioco ci permette di vivere percorsi problematici altri. Accompagniamo vari personaggi attraverso livelli e scontri sempre più difficili, con l'obiettivo di completare la loro avventura e vederne la conclusione. Questo è possibile solo grazie alla collaborazione che si va a creare tra giocatore e personaggio giocabile: è ovvio che un personaggio non possa andare avanti senza il nostro comando, limitandosi al più in piccole animazioni d'attesa (se non alla più totale immobilità). La dipendenza è però ambivalente poiché noi, in qualità di giocatori, non possiamo agire nel mondo di gioco se non servendoci, appunto, della mediazione che avviene tramite il personaggio. Si instaura perciò un rapporto di aiuto reciproco tra l'elemento umano e quello digitale, una sorta di simbiosi dove il giocatore si cura della salute del personaggio, avendo l'accortezza di mantenerlo in vita o comunque in grado di avanzare, mentre l'azione e l'effettiva presenza all'interno del mondo di gioco è affidata a quest'ultimo. Il personaggio può variare di caratterizzazione, a seconda del gioco: si parte dal semplice avatar, un costrutto vuoto e obbediente, che esiste appositamente per agevolare l'immersione del giocatore (il quale potrà proiettarsi all'interno del mondo virtuale, quasi come vi si trovasse all'interno). D’altro canto, possiamo trovare invece personaggi complessi e approfonditi, i quali si lasceranno guidare dalle nostre mani mantenendo comunque una loro autorevolezza, permettendoci di agire solo entro certi limiti. Senza contare l’inevitabile affezione emotiva che andrà a crearsi con il passare del tempo, mentre impareremo a conoscere e padroneggiare il nostro “operatore” nel gioco (sentendoci di conseguenza sempre più a nostro agio nei suoi panni). È quindi evidente l’importanza che la relazione giocatore-personaggio giocabile possiede all’interno di un sistema cooperativo dove gli ordini e l’esecuzione dei comandi sono delegati a entità sostanzialmente distinte, eppure indistinguibili.

Ma cosa succederebbe se la percezione che abbiamo del gioco fosse alterata, illusoria, non affidabile? I nostri comandi mal interpretati, discussi... Cosa accade se i personaggi che giochiamo soffrono di malattie mentali?

In Hellblade: Senua’s Sacrifice (2017), Ninja Theory sfrutta il medium videoludico per esplorare la psicosi attraverso il personaggio di Senua, sfidando l’intuizione del giocatore e mettendolo così di fronte a una realtà alterata, immergendolo in un’esperienza profonda e destabilizzante all’interno di una mente frammentata.



CAPITOLO 2
La voce della follia

“Senua is a Celtic warrior from the late 8th Century whose Orkney homeland has been invaded by the Vikings. They’ve sacrificed her lover to the Norse gods and so she sets off on a quest to Hel, the Viking underworld, to retrieve his soul and lay him to rest. During the game, Senua experiences visions, voices and delusional beliefs – symptoms of what we now call psychosis.” 
-Tameem Antoniades, creative director[1].

Uno degli elementi chiave della resa psicologica di Hellblade è il comparto sonoro, il quale utilizza frequenze binaurali per trasmetterci le voci nella testa di Senua. Queste onnipresenti commentatrici saranno costantemente in dialogo con la protagonista e il mondo che la circonda, sussurrando indicazioni, urlando in preda al panico o semplicemente beffandosi di lei. L’implementazione non si limita soltanto a essere un elemento immersivo, ma svolge un ruolo attivo nell’esperienza di gioco: alcune voci ci avvertono di pericoli imminenti come nemici alle spalle, altre dispensano consigli sulla risoluzione di enigmi, altre ancora dibattono i più recenti risvolti di trama. Questa dinamica trasforma il sonoro in uno strumento dalla duplice valenza, se da un lato permette di guidare il giocatore (data l’assenza di qualsiasi tipo di HUD o interfaccia) dall’altra rende il disturbo di Senua centrale e portante per l’esperienza di gioco.

“In representations of mental illness on screen, you usually have the illness first, and then a two-dimensional character attached to that. In this case, the character is fully-formed, and they are not defined by their condition.” 
-Prof. Paul Fletcher, neurologo[2].
Dal punto di vista visivo, Hellblade utilizza distorsioni e illusioni ottiche per catapultare il giocatore nella psicosi di Senua. L’ambiente si trasforma, gli elementi della scena si muovono inspiegabilmente e la percezione del mondo cambia in base allo stato emotivo della protagonista. Questa instabilità visiva è un altro elemento chiave del gioco, poiché il giocatore non può fidarsi completamente di ciò che vede.

“So trees might shift position slightly, or you might see a hidden pattern in a shadow or a reflection. It’s these patterns that the player needs to find in order to progress in the game.” 
-Tameem Antoniades, creative director.

Un esempio significativo di questa meccanica è rappresentato dai puzzle basati sulla percezione: Senua deve osservare il mondo da angolazioni specifiche per trovare simboli nascosti, richiamando la modalità con cui le persone affette da psicosi possono attribuire significati particolari a elementi sconnessi dell’ambiente. L’effetto è straniante, ma anche profondamente accattivante, poiché ci costringe a una logica percettiva alterata.

“To some extent, Senua has always seen the world differently from others, but the idea is that the profound trauma she’s experienced has triggered these symptoms. Because of her experiences, Senua has lost touch with the reality of those around her. That’s really the formal definition of psychosis. We’re all more or less prone to psychosis, depending on how we view and experience the world, but trauma can often act as a trigger.” 
-Prof. Paul Fletcher, neurologo.
Per quanto riguarda il sistema di combattimento, infine, anch’esso è progettato per trasmettere vulnerabilità e tensione. A differenza di molti protagonisti di giochi action Senua non è un’eroina onnipotente, anzi. Ogni scontro è una lotta per la sopravvivenza contro nemici inquietanti che la sovrastano in numero e potenza. L’assenza di interfaccia grafica, inoltre, porta il giocatore a basarsi sulle animazioni corporee della protagonista per recepire la portata dei danni subiti, i quali andranno a inficiare le nostre movenze in combattimento. Un elemento particolarmente intrigante è il sistema di “permadeath”[3] per cui una macchia nera sul braccio di Senua si accresce con ogni sconfitta, minacciando di divorarla e cancellare i nostri progressi di gioco. Questa meccanica aumenta esponenzialmente l’ansia e l’insicurezza del giocatore, enfatizzando il terrore del fallimento vissuto dalla protagonista e trascinandoci per l’ennesima volta insieme a lei in una dolorosa odissea nelle fredde terre norrene.

CAPITOLO 3
Demistificare l’irrazionale

Hellblade: Senua’s Sacrifice rappresenta un punto di svolta fondamentale nella storia videoludica, tralasciando l’incredibile impresa produttiva di Ninja Theory che, con un team di sviluppo praticamente indie[4], è riuscita a pubblicare un titolo dalla caratura di tripla A (Coniando il termine “AA”, un’effettiva via di mezzo tra i due). Gli sviluppatori hanno sfruttato il medium non solo per raccontare una storia, ma per farla vivere direttamente ai giocatori. Il percorso empatico e sensoriale di Senua permette di attraversare il confine tra videogioco ed esperienza interattiva, consentendoci di esplorare tematiche complesse quali la psiche umana con una sensibilità e un’immedesimazione difficilmente raggiungibili attraverso altri mezzi espressivi. Un’opera che trascende il semplice intrattenimento, diventando di fatto uno strumento di sensibilizzazione ed eccezionale rappresentazione di una condizione purtroppo ancora oggi vittima di denigrazioni e superficialità.

“Senua is the hero of her own story, trying to make sense of her experiences and work her way through them.” 
-Prof. Paul Fletcher, neurologo.
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NOTE
[1] How Hellblade: Senua’s Sacrifice deals with psychosis, BBC Focus magazine n.131, James Lloyd, 13/4/2018.
[2] ibidem
[3] Nonostante il gioco suggerisca tale sistema, la community ha confermato che si tratta in realtà di un bluff da parte degli sviluppatori. Non esiste alcuna cancellazione dei salvataggi e il gioco riprende dopo un semplice fade out. La scelta, inizialmente controversa, è stata poi rivalutata quale brillante esempio di come ingannare il giocatore, se fatto sapientemente, possa rafforzare l’immersione e il coinvolgimento con l’esperienza ludica, servendo pienamente il game design. [There's more to Hellblade's permadeath than meets the eye, Eurogamer, Wesley Yin-Poole, 9/8/2017].
[4] Il progetto, finanziato in modo indipendente con il supporto del Wellcome Trust, è stato portato avanti da un team ristretto di circa 20 persone e un budget inferiore ai 10 milioni di dollari. Per mantenere alti standard qualitativi nonostante le risorse limitate, Ninja Theory ha adottato soluzioni ingegnose e creative come l’utilizzo della sala riunioni aziendale per il motion capture e l’impiego di oggetti recuperati per strada come modelli per la creazione delle texture. La scelta di realizzare un prodotto simile era per lo più una forma di protesta contro le case produttrici tradizionali, troppo prese nel seguire trend effimeri, dimostrando che era possibile sviluppare un gioco narrativo, profondo e qualitativo in modo indipendente, senza compromessi artistici. [How Hellblade: Senua's Sacrifice was made as an 'indie triple-A' game on a tight budget, Eurogamer, Matthew Reynolds, 29/3/2018; Hellblade: Senua's Sacrifice Guide - Development, IGN, Brendan Graeber et al.].

MATERIALI DI RIFERIMENTO
Hellblade: Senua’s Sacrifice, Ninja Theory, 2017.
• How Hellblade: Senua’s Sacrifice deals with psychosis, BBC Focus magazine n.131, James Lloyd, 13/4/2018.
• Hellblade: Senua’s Psychosis, Ninja Theory, 2017.

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venerdì 23 giugno 2023

Spider-Man: Into the Spider-Verse - La spettacolare ragnatela della rivoluzione animata

 "Miles Morales is a reflection of the culture in which we live. I love the fact that my son will see a Spider-Man swinging through the sky whose last name is "Morales". And judging from the response, I can see I'm not alone.1 "
(Alex Alonso)
24 Novembre 2014. Il team di hacker nord-coreano conosciuto con il nome di Lazarus Group accede ai database della Sony Pictures Entertainment e rende pubblici dati estremamente sensibili appartenenti allo studio.2 L’attacco informatico è di portata spaventosa: vengono pubblicate informazioni riguardanti i dipendenti dell’azienda e le rispettive famiglie, postati interi film non ancora rilasciati o in fase di lavorazione, e-mail private dei vertici della Sony. Tra queste alcune, scambiate tra la co-chairman Amy Beth Pascal e l’allora presidente Doug Belgrad, riguardavano il progetto di un film animato su Spider-Man che, pensato inizialmente con il semplice obiettivo di “ringiovanire” il franchise, avrebbe segnato un importante punto di svolta nella storia dell’animazione contemporanea.

Le prime informazioni che saltano fuori dalle e-mail sul film sono i due nomi di Phil Lord e Christopher Miller (coppia di filmmaker e sceneggiatori che in quello stesso ha realizzato The Lego Movie) e, assieme a loro, una data: gennaio 2015, lo “Spidey-Summit", un meeting al quale i vertici di Marvel e Sony avrebbero preso parte per discutere sul futuro cinematografico dell’iconico supereroe. Doug Belgrad a riguardo scrisse alla Pascal (nell’ennesima e-mail resa pubblica in seguito all’attacco informatico) delle buone possibilità di riuscire ad ottenere un contratto con la Marvel estremamente favorevole che avrebbe garantito alla Sony totale libertà creativa e produttiva nel progetto, nonché il ruolo di distributrice.3 
Design originali dei protagonisti ad opera di Alberto Mielgo (primo art director del progetto)


Il film verrà ufficialmente annunciato dal chairman della Sony Tom Rothman, a poca distanza dall’attacco informatico e dallo Spidey-Summit, al CinemaCon dell’Aprile 2015 a Las Vegas con il titolo di Spider-Man: Into the Spider-Verse e accompagnato da una data d’uscita: 20 luglio 2018 (in seguito posticipata al 14 dicembre dello stesso anno). Poche ma importanti le informazioni rivelate sul film in quell’occasione: è stata confermata la partecipazione al progetto di Lord e Miller, i quali avrebbero avuto sia il ruolo di produttori che di sceneggiatori4, almeno in una prima fase di scrittura, ed è stato specificato che la pellicola sarebbe stata indipendente dalle altre trasposizioni cinematografiche di Spider-Man, precedenti e successive, e in particolare dalla macrotrama del Marvel Cinematic Universe.

Nei mesi successivi al CinemaCon del 2015 i nomi di numerosi altri collaboratori sono stati annunciati e in particolare quelli dei registi Bob PersichettiPeter Ramsey e Rodney Rothman che, affiancati da un’enorme crew di animatori composta da oltre 140 artisti fissi (arrivando a toccare i 177, la più grande mai usata dalla Sony Pictures Imageworks)56 avrebbero dato vita al film che Lord e Miller sognavano da tempo. I due filmmaker, infatti, erano in contatto con la Pascal già dall’estate del 2014 per la produzione di un film animato su Spider-Man. I due avrebbero avanzato le condizioni di trasporre sul grande schermo la storyline di Dan Slott “Spider-Verse” (2014) e di avere come protagonista Miles Morales, ma fu loro imposto di utilizzare uno stile di animazione che richiamasse quello convenzionale della Pixar, ragione per cui Lord (con un “It’s too hard to do great work there”) ha ben deciso di abbandonare il progetto allontanando di conseguenza anche il suo collaboratore Miller.7
Ma qualcosa era evidentemente cambiato all’interno del reparto creativo della Sony nei mesi subito successivi perché Lord e Miller hanno risposto a un’ultima chiamata della Pascal aderendo finalmente al progetto. I due, spinti dall’irrefrenabile desiderio di sperimentazione e novità, non avrebbero mai accettato alcun tipo di limitazione a livello creativo nella realizzazione di un loro progetto. Ebbene, la Sony era pronta ad ascoltarli e correre il rischio di produrre un film che sarebbe uscito, in tutte le sue declinazioni possibili, fuori da ogni canone. L’interesse primario, per Lord e Miller, era quello di dar vita ad un film che avesse uno stile unico e innovativo, che combinasse in modo originale la computer animation e quella tradizionale dei fumetti, qui fortemente influenzata dai lavori della fumettista italiana e co-creatrice di Miles Morales Sara Pichelli. Un cinecomic autentico quindi, che nasce dall’incontro-scontro del fumetto con il cinema e, in particolare, con l’animazione. Difatti, Into the Spider-Verse, è ispirato, proprio come volevano dal principio Lord e Miller, all’arco narrativo “Spider-Verse” (2014-2015) della saga Amazing Spider-Man (nel quale compaiono pressappoco tutte le varianti di Spider-Man fino ad allora conosciute) con influenze derivanti anche da altre storie quali “The death of Spider-Man” e i cinque numeri della mini-serie “Spider-Men”, nella quale debuttò il personaggio di Miles Morales.

Spider-Man: Into the Spider-Verse è finito così per portare con sé novità dalla portata rivoluzionaria. È la prima volta che un film d’animazione, non indipendente e ad alto budget come questo, riesce a dimostrare una tale consapevolezza delle opportunità che il disegno animato può offrire facendole convergere tutte in modo estremamente organico e creativo nella produzione di un qualcosa mai visto prima d’ora. Non si tratta però solamente dello stile d’animazione utilizzato (fortunatamente la Sony ha ceduto di fronte alle richieste di Lord e Miller abbandonando l’idea di emulare l’estetica Pixar) ma anche dell’inconsueta scelta di portare sul grande schermo uno Spider-Man che non sia il solito Peter Parker. Miles Morales (doppiato dall’attore americano Shameik Alti Moore), un classico adolescente di Brooklyn prossimo al college, figlio di un padre afro-americano e di una madre portoricana, è il protagonista del film. Ma Miles è tanto Spider-Man quanto lo è il Peter Parker a cui gli spettatori (e i lettori) sono abituati. Una novità che fortunatamente ha visto una felice risposta da parte sia del pubblico che della critica, evidenziata dal successo al botteghino con i suoi oltre $380 milioni di incassi a livello mondiale (a fronte dei “soli” $90 milioni di budget)8 e culminata nella vittoria di un Oscar come miglior film d’animazione e di numerosi altri premi.
Render di Miles Morales ©Sony Pictures Imageworks


La storia doveva originariamente essere una commedia romantica che vedeva come protagonisti Miles Morales e Spider-Gwen ma, a seguito delle diverse riscritture della sceneggiatura, questa scelta narrativa è stata eliminata, o per lo meno lasciata semi-celata, a favore di una narrazione che vedesse Miles Morales (seppur costantemente affiancato da numerosi altri Spider-Man provenienti da dimensioni parallele) come indiscusso protagonista e la sua crescita personale, non solo in quanto supereroe ma soprattutto come
persona. Il film è difatti una vera e propria storia coming-of-age: Miles è un ragazzino come tanti ad inizio pellicola ma le conseguenze del morso di un ragno radioattivo lo porteranno a maturare. Si ritroverà catapultato in un mondo, o meglio un universo, dove le scelte e le responsabilità che ne derivano hanno un enorme peso che dovrà in qualche modo esser pronto a portare con sé.

Il peso però è troppo grande, tanto che pare lo stia per schiacciare ed è qui che altri Spider-Man vengono in suo soccorso. Miles non è più solo, non è più il classico uomo ragno solitario a cui i fan dei film sono abituati, quello che riesce sempre a scamparla e a vincere il cattivo senza l’aiuto di nessuno. No, Miles ha bisogno innanzitutto di un mentore, il veterano Peter B. Parker (Jake Johnson) a insegnargli il “mestiere” di supereroe. Il ragazzo si rende conto dell’importanza di conoscere sé stesso per trovare la propria strada e allora Spider-Gwen (Hailee Steinfeld) si intrufola pian piano nella sua vita; infine realizza di non riuscire a sconfiggere da solo Kingpin (Liev Schreiber) e i suoi aiutanti (fra i quali c’è anche lo zio dello stesso Miles, Aaron Davis, doppiato dall’attore Mahershala Ali, nei panni del temibile Prowler). Un’intera “spider-squad”, composta da altre inconsuete versioni del supereroe, è lì pronta ad aiutarlo.
Tutte queste “varianti” provengono da altrettante dimensioni alternative a quella di Miles ma proprio in questo mondo finiscono per ritrovarsi. È stata la minaccia di Kingpin ad averli chiamati lì, in maniera consapevole o meno. Il gargantuesco villain di Spider-Man, che visivamente si presenta come una “testa fluttuante” che galleggia in un immenso spazio nero (che altro non è che la sua stessa enorme giacca), ha fatto costruire dalla dottoressa Octavius (che si scoprirà presto essere la dottoressa Octopus) un potente acceleratore di particelle in grado di far viaggiare tra gli universi. Kingpin vuole utilizzarlo per riportare indietro sua moglie e suo figlio, o almeno delle loro versioni alternative, e non si preoccupa minimamente delle conseguenze catastrofiche che un’azione simile può comportare.

È interessante notare che, riguardo il multiverso e le sue regole, poco viene detto allo spettatore. Non sono stati inseriti inutili spiegoni di alcun tipo sull’argomento, i personaggi non sono veramente sorpresi di trovarsi in una dimensione parallela e, così come zia May rimarrà impassibile nel ritrovarsi davanti a più Spider-Man, lo spettatore è chiamato a dare per scontate alcune dinamiche. Non si sa, ad esempio, cosa possa succedere esattamente se Kingpin usasse l’acceleratore, ma sicuramente nulla di buono, motivo per cui Miles dovrà fermarlo. La scelta di non spiegare le regole del mondo di fronte al quale lo spettatore si ritrova è stata sapientemente gestita: da una parte richiama alla memoria dello spettatore tutta una serie di narrazioni, a partire da quella dell’intricatissimo Marvel Cinematic Universe, sviluppatesi attorno a questo tema, dall’altra offre la possibilità di plasmare dietro ad esso teorie nuove e personali, lasciando ampio spazio alla pura immaginazione.
Illustrazione originale di Elettra Eletto (puoi vederne la realizzazione qui)
Così ora anche Spider-Man Noir (Nicolas Cage), Peni Parker (Kimiko Glenn) e Spider-Ham (John Mulaney) sono con Miles nella sua avventura e coesistono tutti assieme, ognuno con la propria personalità, la propria visione del mondo e… il proprio stile di animazione.


Forse è proprio questo il tratto più innovativo e rivoluzionario del film, il riuscire ad amalgamare assieme stili d’animazione differenti, anche all’interno delle stesse sequenze. Così il cartoonesco Peter Porker tira fuori un enorme martello (che ricorda quelli usati da Tom per schiacciare invano Jerry) di fronte al bianco e nero Spider-Man Noir e a Peni Parker che porta con sé un’estetica tutta nipponica, fortemente ispirata agli anime (e manga) giapponesi, che però riesce a sposarsi perfettamente con quella invece più tipicamente occidentale che caratterizza il mondo di Miles. Questa fortunata miscela di stili differenti, a sua volta, finisce per incontrare una colonna sonora altrettanto variegata e innovativa che in modo organico va a definire e rafforzare la potenza delle immagini.
Il compositore del film è l’inglese Daniel Pemberton che aderì al progetto nonostante fosse inizialmente scettico sulle opportunità che un film di supereroi animato ad alto budget potesse offrire alla sua sperimentazione artistica.9 Fortunatamente le sue preoccupazioni si rivelarono infondate e gli fu offerta, dalla Sony, la possibilità di operare in modo totalmente libero e creativo. Pemberton ha iniziato così a comporre la score del film partendo dalla fondamentale domanda di cosa un ragazzino di Brooklyn dei giorni d’oggi come Miles Morales avrebbe ascoltato. Così le più consuete sezioni sinfoniche ed orchestrali si trasformano pian piano in beat hip hop e trap che vanno a caratterizzare le sequenze d’azione più movimentate. Pemberton, nella composizione dei theme dei vari personaggi del film, ha poi utilizzato un proprio e personale metodo basato sulla semplificazione e la sintesi puntando sull’immediatezza e la riconoscibilità. Kingpin è, ad esempio, accompagnato da un tema musicale nato dal semplice suono del clic di una penna.10

La score composta da Pemberton è poirafforzata dalla presenza di una colonna sonora alla cui creazione hanno partecipato numerosi artisti internazionali tra cui Post Malone e Swae Lee (che insieme hanno realizzato il singolo, nonché main song della
soundtrack, “Sunflower” divenuto in breve tempo un successo mondiale), Jaden SmithNicki MinajSki Mask the Slump GodJuice WRLD e XXXTENTACION. I brani, anch’essi assai eterogenei come i vari stili d’animazione utilizzati nella pellicola, non solo si sposano perfettamente con le scene nelle quali sono inseriti ma vanno spesso ad accompagnare organicamente e in modo diegetico l’intero film.11 Anche in questo caso i vari artisti sono partiti dallo stesso quesito che precedentemente si era posto Pemberton: cosa può piacere musicalmente ad un ragazzo come Miles Morales? I brani finiscono così per richiamare le più disparate sonorità passando dal puro hip hop, tipico di una certa cultura suburbana newyorkese, a sound più reggae, che evidenziano invece le origini sudamericane di Miles. La soundtrack e la score sono sempre più interconnesse e dipendenti tra loro arrivando a sovrapporsi e intrecciarsi costantemente. Un esempio fra tanti la canzone “What’s Up Danger”, prodotta da Blackway e Black Caviar, che finisce pian piano per trasformarsi senza soluzione di continuità in un brano della score di Pemberton.12
Spider-Man: Into the Spider-Verse finisce così per diventare un vero e proprio emblema della sperimentazione artistica nell’animazione (e non solo) portando con sé una nuova consapevolezza delle opportunità offerte da questo medium e offrendo ai suoi successori (primi fra tutti i suoi diretti sequel Across the Spider-Verse e Beyond the Spider-verse) una formula, o per lo meno un modus operandi, per utilizzarle al meglio, facendole convergere in un’opera organica e completa che, facendo forza sulla ragnatela degli elementi che la costituiscono, racconta in fondo una semplice storia, quella di un adolescente come tanti avviato ad un personale percorso di maturazione.

Into the Spider-Verse porta necessariamente con sé importanti riflessioni: chiunque è, e può essere, Spider-Man, non si ha bisogno di superpoteri, di una maschera o di un costume per esserlo, queste sono solamente rappresentazioni visive delle responsabilità che gravano sopra ogni essere umano e riuscire a sorreggere il loro peso è difficile a volte se si è da soli. La storia di Miles è un invito a farsi forza nella vita e ad affrontarla di petto, a esser pronti a chiedere aiuto senza vergognarsi quando si è in difficoltà, a trovare la propria strada e la propria visione del mondo, a cadere per poi rialzarsi, a sbagliare e ad aggiustare il tiro, ad amare e a perdonare.

Ognuno è Miles Morales. Ognuno può essere Spider-Man.
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NOTE
1 Alex Alonso: Reinventing Today’s Heroes, 8 Agosto 2011, intervista ad Alex Alonso su LatinRapper.com

2 Per un approfondimento sull’argomento si consiglia la visione del documentario Inside North Korea: The Cyber State (2021) di Robert Zakin.

3 Sony, Marvel Discussed Spider-Man Movie Crossover, 9 Dicembre 2014, articolo di Ben Fritz, su The Wall Street Journal

4 La sceneggiatura finale sarà però firmata da Phil Lord e Rodney Rothman.

5 Spider-Man: Into the Spider-Verse (2018), 15 Aprile 2019, di Lola Landekic, su artofthetitle.com

6 La Sony Pictures Imageworks è una casa di produzione cinematografica canadese, fondata nel 1992 e appartenente alla Sony che si occupa d’animazione e di effetti speciali per il cinema. È lo studio che si è occupato della realizzazione di Spider-Man: Into the Spiderverse e del suo sequel Spider-Man: Across the Spider-Verse (2023).

7Spider-Man’ Animated Movie Coming in 2018, 22 Aprile 2015, di Variety Staff, su Variety.com

8 Informazioni prese dal sito web boxofficemojo.com

10 Un approccio simile ha riguardato anche la composizione del tema di tutti gli altri personaggi del film come il Green Goblin, Spider-Ham e Prowler, quest’ultimo costruito attorno a un singolo suono: il verso di un elefante al quale è stato applicato un filtro vocale. A riguardo Pemberton ha detto: "A theme doesn't necessarily have to be a melodic leitmotif; it can be a sort of crazy noise. In the first film, we had that with the Prowler. The Prowler noise is very recognizable, and it's a theme, but it's just a crazy noise. Whereas Miles has themes that are more traditional, musical, melodic themes." Dall’intervista a Daniel Pemberton Spider-Man: Across the Spider-Verse Composer Daniel Pemberton Talks Multiversal Music, 2 Giugno 2023, di Owen Danoff su Screenrant.com

11 Un esempio lampante dell’uso diegetico della musica nel film sono le sequenze in cui Miles stesso canta il brano Sunflower di Post Malone e Swae Lee.

12 Una menzione speciale all’EP A Very Spidey Christmas, rilasciato pochi giorni dopo l’uscita del film e contenente 5 canzoni inedite cantate dagli attori del film (tra cui lo stesso Shameik Moore). L’idea dietro tale EP è nata da una simpatica scena del film nella quale si sente per qualche secondo una canzone natalizia a tema Spider-Man.
LETTURE CONSIGLIATE

mercoledì 17 maggio 2023

Guardiani della Galassia Vol. 1, 2 & Holiday Special - Una retrospettiva sull'epica sci-fi di James Gunn

"I was a little worried that I was going to look like an overgrown fetus... Maybe that's true. But it's liberating. It's very liberating."
(Karen Gillian)

"I am Groot."
(Groot)

GUARDIANI DELLA GALASSIA
di Sergio Novelli
Nel gennaio del 1969, nel diciottesimo volume di Marvel Super Heroes, debuttava un nuovo team di supereroi Marvel: i Guardiani della Galassia. Si trattava di un team formatosi nel trentunesimo secolo dell’universo Terra-691, composto da Vance Astro, Martinex T’Naga, il capitano Charlie-27 e Yondu Udonta. Dopo svariate sporadiche comparse e la creazione di un fumetto dedicato, il gruppo sparì quasi completamente dalle pubblicazioni Marvel dopo la prima metà degli anni ’90.

Il gruppo rinacque nel 2008, nel sesto volume di Annihilation: Conquest, e con componenti completamente nuovi: i membri erano stavolta Star-Lord, Adam Warlock, Gamora, Drax il Distruttore, Rocket Raccoon, Groot, Phyla-Vell e Mantis. Tuttavia, nonostante questa rinascita, i personaggi non videro un significativo aumento di popolarità.

La creazione di una pellicola basata sui Guardiani della Galassia sarebbe forse sembrata impossibile in passato; nonostante il Marvel Cinematic Universe fosse riuscito a riportare in auge personaggi che precedentemente sarebbero stati classificati come “B-listers”, tale operazione sarebbe risultata molto più difficile con i Guardiani, che erano alla stregua di “Z-listers”. Occorreva una visione originale e innovativa, uno stile unico che sarebbe riuscito ad attrarre il grande pubblico, e, soprattutto, qualcuno al volante che fosse in grado di realizzare tutto ciò.
L’intenzione di realizzare un film sui Guardiani della Galassia per il Marvel Cinematic Universe era stata espressa dallo stesso Kevin Feige nel 2010 al San Diego Comic-Con International1, ma la produzione fu ufficialmente confermata due anni dopo durante il medesimo evento.

Lo script fu inizialmente affidato a Nicole Perlman, che negli anni successivi si sarebbe occupata delle sceneggiature di Captain Marvel e Detective Pikachu; tuttavia, le sue prime bozze furono pesantemente modificate quando, nel 2012, James Gunn accettò il ruolo di regista e co-sceneggiatore2. Tra le modifiche più importanti figurano l’introduzione del walkman e l’utilizzo di Ronan come antagonista principale al posto dello stesso Thanos.

Il casting ebbe luogo nella prima metà del 2013 e le riprese iniziarono a Londra nel giugno dello stesso anno, terminando quattro mesi dopo. Gli effetti speciali furono curati da svariate compagnie, tra cui la Framestone e la Moving Picture Company; cionondimeno, Gunn stesso si impegnò ad utilizzare quanti più effetti pratici possibile. Il 7 luglio del 2014 il regista annunciò di aver completato la pellicola e il 21 dello stesso mese Guardiani della Galassia debuttò al Dolby Theatre di Los Angeles.
Il film vede come protagonista Peter Quill (Chris Pratt), o in arte “Star-Lord”, un umano rapito in giovane età da un gruppo di mercenari alieni, i Ravagers, capeggiati dal temibile Yondu Udonta (Michael Rooker); unico memento della sua vita sulla Terra sono un walkman, contenente un mixtape realizzato dalla madre (Awesome Mix Vol. 1), e un regalo fatto da quest’ultima al figlio prima di morire di cancro. Anni dopo il protagonista, ormai adulto e allontanatosi dai Ravagers che l’avevano cresciuto, entra in possesso di un misterioso artefatto, denominato “Orb”, da vendere al miglior offerente. Tuttavia, venuto a sapere che anche il temibile Ronan (Lee Pace), sottoposto di Thanos, è in cerca dell’Orb, l’acquirente rifiuta di acquistare l’oggetto e Peter viene immediatamente attaccato da Gamora (Zoe Saldana), figlia adottiva di Thanos e subalterna di Ronan, e da Rocket Raccoon e Groot (in originale doppiati rispettivamente da Bradley Cooper e Vin Diesel), due cacciatori di taglie in cerca dello stesso Quill. La colluttazione porta all’arresto dei quattro, ma un’improbabile alleanza, dovuta alla possibilità di vendere l’Orb e dividere i guadagni, li porta a trovare un modo di fuggire dalla prigione di Kyln, anche grazie all’aiuto di Drax il Distruttore (Dave Bautista). Tuttavia, sebbene Gamora abbia tradito suo padre e Ronin, quest’ultimo è ancora determinato a recuperare l’Orb.

Punto forte della pellicola sono i personaggi: gestire un film di origini è già di per sé un’impresa complessa, e lo è tanto di più nel caso in cui il soggetto non sia singolare, ma un gruppo di cinque persone; risulterebbe fin troppo facile trascurare alcuni personaggi in favore di altri o tentare di approfondirli tutti, finendo però per non avere il tempo necessario da dedicare a ciascuno. Persino nel fumetto originali i membri dei Guardiani avevano avuto ciascuno un lungo sviluppo individuale prima della formazione del gruppo; il lavoro di Gunn si prospettava quindi estremamente arduo, eppure ci è riuscito. Modifiche importanti sono state applicate al background di ciascun personaggio, che, eccezion fatta per quello di Quill, sono puramente accennati durante il film: Drax non è più un umano con un nuovo corpo, ma un alieno, tuttavia il legame con Thanos e il suo desiderio di vendetta rimangono; Gamora risulta pressoché invariata se non per il rapporto con Nebula (Karen Gillan), che assume il ruolo di rivale e sorella adottiva, creando una dinamica più interessante tra le due; Rocket, non è più il guardiano del quadrante Keystone, ma un cacciatore di taglie affiancato da Groot; quest’ultimo, sebbene possa sembrare il meno approfondito tra i cinque protagonisti, fungendo da mascotte e fonte di ilarità, è anche il protagonista di una delle scene più emotivamente cariche della pellicola, compensando per le mancanze del suo personaggio.
Anche il retroscena di Peter Quill risulta diverso: la causa della morte della madre non è più un omicidio, ma il cancro e l’evento tormenta il protagonista fino alla fine del film; Peter infatti si rifiuta di aprire il pacchetto regalo donatogli dalla madre, per paura di dover confrontare il terrificante ricordo della sua dipartita, inconsapevole del fatto che, al suo interno vi è il volume due dell’Awesome Mix, di cui ascolta da anni il volume 1, donatogli anch’esso dalla madre: per quanto cerchi di fuggire dal suo passato, questo è sempre con lui.

Il tema della famiglia è stato espressamente voluto da Gunn stesso, che ha scelto di incentrare i due film di Guardiani della Galassia rispettivamente sulla figura della madre e del padre di Peter. Tuttavia, tale tema può essere esteso anche agli altri Guardiani sia presi singolarmente che nel loro insieme: tutti quanti hanno eventi traumatici nel loro passato che riguardano la propria famiglia e alla fine del film riescono a trovarne una nuova, i Guardiani della Galassia. In questo contesto la nascita del nuovo Groot può essere vista come la nascita del figlio della suddetta famiglia.

Impeccabile risulta anche la gestione degli antagonisti: la sopracitata Nebula è l’antitesi di Gamora, dato che sebbene i due personaggi abbiano essenzialmente le stesse motivazioni, la prima sceglie di ottenere la propria vendetta nei confronti di Thanos schierandosi con Ronin, mentre la seconda decide, alla fine, di schierarsi dalla parte della giustizia. Ronan, l’antagonista principale, riesce ad essere un avversario temibile, il che è ulteriormente enfatizzato quando, una volta ottenuta la gemma del potere contenuta nell’Orb, viene considerato, almeno dagli altri personaggi, in grado di sconfiggere Thanos stesso3.
Arduo era anche un altro dei compiti affidati a Gunn: l’introduzione delle Gemme dell’Infinito e di Thanos (quest’ultimo era già presente nella post-credit del primo Avengers, ma la sua apparizione on-screen risulta essere piuttosto breve e priva di dialoghi da parte sua). Questi elementi, fondamentali per tutti i successivi film dell’MCU e in particolare per il finale della fase tre e della Infinity Saga stessa, sono perfettamente integrati nella trama della pellicola e non danno la sensazione di essere un semplice aggancio per i film successivi, come molto facilmente sarebbe potuto sembrare.

Ulteriore nota di merito sono le ambientazioni, in particolare Xandar (la capitale dell’impero Nova), la prigione di Kyln e Ovunque (Knowhere), le quali brillano non solo per la qualità dei set e degli effetti speciali utilizzati, ma anche per l’immenso lavoro di world building fatto: solo guardando i personaggi nello sfondo è possibile non solo osservare decine di specie aliene diverse, ma anche scorgere intere situazioni socioculturali differenti che si inseriscono in maniera perfetta nel contesto dell’ambientazione in questione.
GUARDIANS OF THE GALAXY (1/3) - Illustrazione originale di Elettra Eletto
Risulta inoltre impossibile non parlare della incredibile colonna sonora composta da Tyler Bates; l’incorporazione delle tracce nel film risulta eccezionale proprio grazie alla scelta del regista di girare alcune scene basandosi sulle tracce e non far comporre queste ultime basandosi sulle scene4: l’introduzione di Peter Quill adulto con Come and Get Your Love in sottofondo è la prova lampante di ciò. Sempre merito di Gunn è la scelta delle tracce degli anni ’60 e ’70, scelte da un pool di centinaia di canzoni scaricate dal regista, utilizzate nel film per simbolizzare il collegamento di Quill con il suo pianeta natale e integrate diegeticamente nella trama stessa grazie al walkman5.
Guardiani della Galassia risulta quindi essere una boccata d’aria fresca nell’MCU: con un’impostazione decisamente più autoriale delle altre pellicole dell’universo narrativo, costituisce un ingresso trionfale nell’ambiente Marvel di James Gunn, non sorprende quindi il suo ritorno per dirigere il secondo capitolo.

GUARDIANI DELLA GALASSIA VOL. 2
di Lorenzo Spagnoli
Già nell’estate del 2014 i piani alti della Disney, intuendo il potenziale del primo Guardiani, consideravano l’idea di un eventuale seguito. Il lavoro di James Gunn aveva convinto i vertici dell’azienda e stava riscuotendo successo anche nelle proiezioni di prova presso un pubblico selezionato. Il timore che perdurava nei Marvel Studios, dato l’azzardo che rappresentava una simile produzione, sarebbe sfumato nel fine settimana di apertura, che si concluse con un incasso globale di 106.7 milioni di dollari. La cavalcata al botteghino si sarebbe infine accaparrata il record di terzo maggiore incasso del Marvel Cinematic Universe fino a quel momento, nonché quello di film supereroistico più redditizio dell’annata. Contemporaneamente tanto il pubblico quanto la critica stavano elogiando la nuova proposta cinematografica della Casa delle Idee. Il regista ex-Troma era riuscito a realizzare un film su commissione, da inserire nel più ampio panorama MCU, prendendo dei personaggi spesso ignorati persino dai lettori, per farlo diventare una delle proprietà intellettuali più intriganti e profittevoli della compagnia. Dunque non ci si dovrebbe stupire del fatto che Gunn iniziò a scrivere il soggetto del sequel un mese dopo l’uscita del primo, infatti al San Diego Comic-Con di quell’estate sarebbe stato annunciato anzitempo prevedendone la distribuzione per Luglio 2017. Il risultato di tre anni di attesa sarà Guardiani della Galassia Vol. 2, una delle pellicole Marvel ad oggi più discusse.
La narrazione inizia in medias res, pochi mesi dopo la sconfitta di Ronan, con i Guardiani intenti a difendere la galassia a modo loro. Se non fosse che, durante una missione per conto del popolo tecnologicamente avanzato dei Sovereign, Rocket ruba delle preziose batterie mandando su tutte le furie Ayesha (Elizabeth Debicki), l'Alta Sacerdotessa che li aveva arruolati. Quindi la Milano viene braccata nello spazio profondo da una flotta di droni sovereign che la stanno per abbattere, per poi venire misteriosamente spazzati via da un momento all’altro. La nave, ormai distrutta, effettua un atterraggio d’emergenza su un pianeta disabitato e il suo equipaggio ha un alterco circa le responsabilità dell’incidente, specialmente Peter e Rocket. È qui che però incontrano l’uomo che ha eliminato da solo l’intera armata Sovereign, Ego (Kurt Russell), il padre che Peter non aveva mai conosciuto. Il bizzarro figuro, accompagnato dalla serva Mantis (Pom Klementieff), invita Peter e gli amici a seguirlo sul suo pianeta. Alla luce di ciò i guardiani, con i nervi a fior di pelle, si dividono in due gruppi: uno composto da Star-Lord, Gamora e Drax che segue Ego e Mantis; l’altro formato da Rocket e dal piccolo Groot (con l’aggiunta di Nebula, fatta prigioniera per essere consegnata alla giustizia di Xandar) che rimane a guardia del relitto. Raggiunto il pianeta, l’affabile Ego rivela a Peter di essere un celestiale, cioè una divinità cosmica nata all’alba dello stesso universo, costretto però a tornare regolarmente nella sua terra natale perché altrimenti l’avatar corporeo che ha creato su misura per visitare lo spazio si deteriorerebbe; indi per cui era stato costretto ad allontanarsi da Meredith Quill ammalata e, appresa la notizia della sua morte, aveva ingaggiato Yondu per prelevare Peter dalla Terra, ma il pirata, per qualche motivo, non glielo avrebbe mai consegnato. Facendo la conoscenza di Ego, il ragazzo si fa ammaliare dal padre e dai poteri che avrebbe ereditato, si meraviglia dalla bellezza del pianeta che il genitore ha costruito (che, oltretutto, è la vera essenza dell’entità). Nel frattempo Yondu e i Ravagers vengono assoldati dai Sovereign per vendicarsi dei guardiani, ma una fazione estrema dei contrabbandieri spaziali accusa il capitano di essere troppo morbido con Peter anche dopo averli traditi, quindi si scatena un ammutinamento che si conclude con Yondu, Rocket e Groot imprigionati, Nebula liberata e tutti i Ravagers fedeli al capitano destituito uccisi. Sul pianeta Ego Peter è sempre più convinto del padre ritrovato, mentre Gamora comincia a dubitare delle reali intenzioni del celestiale, insospettita dal timore di Mantis che nel mentre si è molto affezionata a Drax. I guardiani si sono accorti troppo tardi di una nuova minaccia di proporzioni stellari, solo una corsa contro il tempo potrebbe farli riunire per tentare di debellarla.
GUARDIANS OF THE GALAXY (2/3) - Illustrazione originale di Elettra Eletto
L’approccio di Gunn in fase di stesura del copione non è stato quello di proporre un more of the same al grande pubblico, a cui solitamente si rivolge questo filone, bensì esplorare i personaggi ancora più a fondo, illuminare quelle zone d’ombra che erano state lasciate volutamente nascoste nella prospettiva di una possibile saga, consolidare ulteriormente il gruppo e i legami che lo tengono unito nelle situazioni più estreme. Il tutto mantenendo quello stile molto riconoscibile che aveva portato alla gloria il primo film e offerto quella che per il genere è una vera e propria oasi nel deserto, concedendosi però di osare maggiormente così come di ampliare la mitologia cosmica Marvel, di cui Gunn allora era il demiurgo. Si scava, così, nel doloroso passato di Gamora e Nebula, conferendo a quest’ultima una tridimensionalità che mai ci si sarebbe aspettati dall’antagonista secondario che era precedentemente, andando a ribaltare i ruoli e il rapporto che intercorre tra le due; si dà molto spazio a Yondu Udonta che, similmente a Nebula, diventa una figura di peso e si collega fortemente a Star-Lord; come in ogni famiglia che si rispetti iniziano a delinearsi dei motivi di discordia, che potrebbero sfociare in conflitti irreparabili e mettere a repentaglio la stabilità del nucleo; se non bastasse, si introduce un nuovo elemento a cambiare le carte in tavola e sconvolgere questo precario status quo: Ego, per l'appunto.
A livello tecnico ci troviamo dinanzi a uno dei picchi di tutta la produzione Marvel Studios, se non il punto più alto in assoluto. Un James Gunn in forma smagliante ci porta in una galassia vibrante come non mai, confezionata con una cura per l’aspetto visivo-estetico più unica che rara, alla cui base c’è anche un approfondito studio cromatico di diversi abbinamenti di colori che vengono rinforzati da un’ottima fotografia di Henry Braham e il montaggio serrato, a tratti schizofrenico, ad opera di Fred Raskin e Craig Wood che mantiene il ritmo sempre vivo e incalzante. Stavolta più che mai ci troviamo catapultati in una vera e propria space opera ispirata a Flash Gordon, ai classici albi di Amazing Stories e in qualche modo al post-modernismo di Pulp Fiction (1994). Anche sotto il profilo della scrittura il cineasta ha dato il massimo: se la struttura narrativa può essere considerata meno elaborata rispetto al predecessore, qui a farla da padrone sono i tanti momenti distensivi e dialogici che ne sanciscono la natura fortemente guidata dai personaggi,  dalle improbabili accoppiate che si vanno a creare qua e là e le loro diverse motivazioni chiare, umane e comprensibili. Sono stati fatti passi da gigante in avanti anche per quanto riguarda la direzione degli attori (non che fosse di basso livello nell’altro film). Nonostante quella che è una credenza comune di improvvisazione ce n’è ben poca, Gunn è riuscito a sollecitare il cast sul set con una tale maniacalità da portarlo a dare il cento per centro; si pensi banalmente a un Kurt Russell monumentale che, pur essendo uno dei tanti cattivi usa e getta MCU, porta su schermo tutto il suo carisma ed esperienza regalandoci un nemico memorabile nella sua piacevole semplicità. La componente musicale [che era un tratto distintivo talmente formidabile nel primo film tanto da determinare una tendenza nelle produzioni epigone che, ancora oggi, cercano di andargli dietro e replicarlo con risultati altalenanti] qui raggiunge forse il suo massimo compimento, stavolta la musica non funge solo da accompagnamento ma è un vero e proprio strumento narrativo, non a caso le canzoni che Gunn ha estrapolato da una lista di cinquecento brani che, secondo lui, sarebbero potuti piacere a Meredith Quill erano già scritte nere su bianco nella sceneggiatura. 
È impossibile non fare riferimento al montaggio musicale iniziale che risulta perfetto dal punto di vista tecnico-stilistico e si è dimostrato estremamente complesso da realizzare, terminato appena una settimana prima dell’uscita in Europa [pensare che gli storyboard per questa sequenza vennero disegnati da Gunn nel Novembre del 2014!]. È importante sottolineare la maestosità, anche questa volta, della colonna sonora originale di Tyler Bates. Come sappiamo, Gunn  non condivide lo standard produttivo hollywoodiano per cui la musica viene composta solo a riprese terminate, infatti ha commissionato il lavoro a Bates quando stava ancora scrivendo la sceneggiatura di modo che sul set operatori e interpreti potessero seguire il ritmo dei pezzi tramite auricolari. In merito alla musica Gunn ha detto: «Spesso la gente sottovaluta la musica e il sonoro nei film, che invece sono un aspetto fondamentale. Le canzoni sono un modo semplice per legare con le persone, è così che leghiamo con la storia di Quill e di sua madre in Vol.1 e 2 (...) Il film non esiste senza le canzoni, credo sia la natura organica della colonna sonora a renderla accattivante (...) I brani sono leggermente più maturi, per un bambino cresciuto rispetto al primo film (...) “Brandy” è la storia di qualcuno che ha rinnegato l’amore per seguire la propria vocazione, ed è qualcosa che Ego sfrutta per giustificare al figlio la distruzione dell’universo. “Mr. Blue Sky” è una canzone fantastica, ELO è uno dei miei gruppi preferiti, se i guardiani avessero una band sarebbero loro, hanno un sound perfetto per un pop rock spaziale anni ‘70 (...) “Lake Shore Drive” è una canzone famosa negli anni ‘70 solo in alcune regioni come la zona di St.Louis o Chicago, praticamente nel Midwest, è una delle mie preferite di sempre (...) “Come a Little Bit Closer” è una canzone fantastica che spacca (...) quel momento con Yondu che uccide tutti i Ravager a bordo dell’Eclector è una delle prime scene a cui ho pensato quando stavo organizzando il film, quella è stata tra le prime canzoni che ho scelto (...) In “The Chain” si parla di legami d’amore che potrebbero rompersi o meno, la prima volta che la sentiamo sembra che una catena si stia per spezzare, ma quando la riascoltiamo è una delle parti più intense del film, che dimostra come non si romperà (...) “Father and Son” parla dell’amore di un padre che dà parole di saggezza al figlio, parla di Yondu e Quill. Le cassette di Meredith erano il suo modo di comunicare col figlio, la musica sullo Zune è il modo di Yondu di fare la stessa cosa (...) Credo che questa colonna sonora sia migliore della prima, è tutta musica che amo e i miei film sono un museo per queste canzoni, per non farle sparire (...) Credo che le musiche originali siano bellissime. A volte scriviamo le musiche prima, Tyler inserisce i brani nel copione e io li uso sul set, li metto durante le riprese; a volte permette a un attore di andare oltre. Questo ha reso l’esperienza sul set coinvolgente, perché c’era tanta emozione in quella musica».6 
Incredibilmente curati e studiati nel minimo dettaglio sono anche gli effetti visivi. Gli esterni del pianeta di Ego sono debitori ai dipinti di Maxfield Parrish, mentre gli interni all’arte frattale di Hal Tenny di cui Gunn era un estimatore e che ha assunto per la direzione artistica. Gran parte del cuore del pianeta di Ego è stato realizzato dalla leggendaria Weta Digital. Questa ambientazione consiste di più di un trilione di poligoni, il che l’ha resa uno dei set digitali più grandi della storia del cinema. In fase di pre-produzione, nei concept art, era previsto che la forma primordiale di Ego ricordasse uno spermatozoo; questa idea è stata poi scartata perché Gunn riteneva che un gigantesco cervello pulsante fosse più vicino all’immaginario sci-fi/pulp che aveva in mente. In merito agli effetti Gunn ha affermato: "Nel primo film ho dovuto fare attenzione a non confondere troppo. Dato che ora abbiamo dei personaggi radicati che conosciamo e amiamo, possiamo permetterci di esplorare posti più bizzarri (...) Stavolta ho avuto molto più tempo per scrivere la sceneggiatura (...) Per me era importante fare un film più elegante, più bello, dove potessimo goderci davvero questi paesaggi (...) Sceglievo dei colori per ogni scena e li mettevo insieme su una parete, per raccontare una storia attraverso di loro (...) Volevo assicurarmi che ogni sezione del pianeta di Ego funzionasse come un set a parte. I colori sulla superficie sono diversi (rispetto a quelli degli interni), quando si apre il soffitto cambiano di nuovo e succede anche quando Gamora e Nebula cadono nelle profondità, o quando Groot è nel nucleo che è ancora una location diversa (...) per cercare di non annoiare il pubblico".

Come dichiarato dall’autore a più riprese i primi due Guardiani sono dedicati rispettivamente alla madre e al padre. Se il primo volume era una parabola sull’elaborazione della perdita della madre da parte di Peter, qui invece dovrà fare i conti con la sua figura paterna (biologica) e poi con colui che lo ha effettivamente cresciuto, Yondu, la cui morte eroica è una delle sequenze più drammaticamente avvincenti di cui si possa avere memoria in un blockbuster degli ultimi anni, complici un Michael Rooker e un Chris Pratt in parte come non mai.
Al netto della sua magnificenza questa continuazione è tutto fuorché perfetta. Dall’ironia e il linguaggio più affilato, così come alcuni contenuti, possiamo dedurre che Gunn avesse un margine d’azione più ampio, forte del precedente successo, il che potrebbe rivelarsi una lama a doppio taglio per alcuni spettatori. Talvolta emerge lo spirito cinico e spregiudicato che ha caratterizzato i suoi primi passi nel mondo del cinema ma lo fa in modo poco organico con la narrazione, tant’è che (per sua stessa ammissione) ci sono diverse gag che sono state discusse fino agli ultimi stadi della lavorazione, per le quali si è battuto al fine di mantenerle nel montaggio finale; siparietti che, alle volte, possono rompere momentaneamente il climax e il ritmo del racconto. In generale è ravvisabile, rispetto al primo film, uno sbilanciamento tra la componente fantascientifica-supereroistica e il marchio di fabbrica buffonesco alla James Gunn, che propende troppo per l’ultima. Anche i decantati effetti visivi alle volte mostrano il fianco, specialmente nella sequenza d’azione finale che vede coinvolti Peter ed Ego, nella quale il digitale tende a divorare la messinscena. Tale difetto è da attribuire al sistema produttivo adottato da analoghe produzioni gargantuesche, per il quale diverse compagnie di effetti visivi lavorano su diverse sequenze e personaggi in momenti del tutto distinti nel tempo [tendenzialmente le sequenze action principali nel film Marvel Studios medio vengono realizzate con anni di anticipo, prima degli stessi script, ad esempio la battaglia finale di Avengers: Endgame. Non è questo il caso delle opere di James Gunn]7. A prescindere da questi difetti che potranno risultare più o meno incisivi a seconda della percezione e del tipo di spettatore, che potrebbe giudicarlo più o meno positivamente in confronto al capitolo precedente, Guardiani della Galassia Vol. 2 è già entrato nella storia del cinema d’intrattenimento come uno dei seguiti più memorabili per un franchise così particolare, che rischiava di cadere da subito nel ridondante e invece ha dimostrato ancora una volta quanto Gunn sappia districarsi nel genere e rinnovarlo ogni qual volta vi metta mano.

GUARDIANI DELLA GALASSIA - HOLIDAY SPECIAL
di Robb P. Lestinci
Nel pieno della mania di "Star Wars", il 17 novembre 1978, la CBS manda in onda uno speciale destinato a passare alla storia come un cult del pattume televisivo, un prodotto di bassa fattura, ma dal grande fascino proprio per la sua improbabilità: "Star Wars Holiday Special". Esattamente 38 anni dopo, nel mezzo della produzione di "Guardiani della Galassia vol. 2", questo piccolo gioiello del trash torna alla mente di James Gunn e, assieme ad altri speciali natalizi di qualità più o meno diverse, lo ispira per il suo prossimo progetto, posto cronologicamente (e uscito) tra il secondo e il terzo capitolo della sua trilogia sui Guardiani della Galassia. Inizialmente previsto per andare in onda su ABC8, il progetto viene ufficialmente annunciato da Kevin Feige il 20 dicembre, rivelandosi essere il primo di molti (troppi) prodotti MCU destinati alla piattaforma streaming Disney+9, con uscita prevista per dicembre 2022. Il suo titolo? Semplice, Guardiani della Galassia Holiday Special.
Incentrato sui personaggi di Drax e Mantis in un'avventura alla ricerca di un peculiare regale natalizio (festività di cui hanno capito ben poco, nonostante i loro migliori sforzi) che li porterà sulla Terra, in particolare a Hollywood dove, tra vari siparietti e situazioni improbabili, riusciranno a trovare ciò che stavano cercando: il "leggendario eroe" Kevin Bacon, il regalo ideale per il loro amico Star Lord.

Volutamente e decisamente più leggero e comico delle uscite cinematografiche della saga, Gunn ne approfitta per creare un progetto che aggiunga sì alcuni tasselli alla storia più grande, ma che non risulti strettamente necessario, puntando più sul puro intrattenimento, a tratti forse troppo incessantemente, ma riuscendo sempre a proporre dinamiche funzionali, senza mai tradire i propri personaggi in favore di una risata. Per quanto assurdo possa essere, infatti, tra inseguimenti saltellanti per le strade di Hollywood, il pestaggio di un artista di strada vestito da Gobot (rivelando che la specie effettivamente esiste nel cosmo MCU), ubriacature e furti di decorazioni natalizie (in particolare di un omino buffo), il mediometraggio di appena 44 minuti riesce a bilanciarsi con alcuni momenti d'impatto e sentimentali, che non potranno non portare lo spettatore a sorridere o addirittura a commuoversi, restituendo una genuina e sentita cartolina d'auguri natalizi firmata Guardiani della Galassia.
La pellicola ci catapulta all'attuale status quo dei Guardiani post-Endgame, ora situati in Knowhere (un tempo del Collezionista), intenti a creare una città-rifugio per tutti i reietti intergalattici, un posto da poter chiamare casa. Ovviamente le cose, però, sono cambiate rispetto all'ultima avventura stand-alone del gruppo, e ne vediamo i frutti: il secondo Groot è ora cresciuto e fisicamente più adulto, Peter è distrutto per la perdita di Gamora e Kraglin (Sean Gunn) è entrato a far parte del gruppo (come già visto in "Thor: Love & Thunder" di Taika Waititi), così come un personaggio prima di questo momento visto solo nello sfondo, Cosmo (Maria Bakalova), un cane sovietico dotato di potenti poteri telecinetici, basando quest'interpretazione del personaggio dei fumetti su Laika, il cane mandato in orbita dall'Unione Sovietica nel 1957 e tragicamente morto nello spazio. Il tema familiare è portato avanti dai primi due film viene ulteriormente esplorato qui, sia con la rivelazione che Mantis è la sorella di Peter dal lato paterno, sia con delle sequenze flashback che servono da ottimo epilogo all'arco di Yondu, sottolineando nuovamente e con grande impatto il suo rapporto paterno con Peter.

Il prodotto è arricchito da un notevole comparto musicale, come solito di Gunn, e in particolare da due tracce: "I Don't Know What Christmas Is (But Christmastime Is Here)", scritta dallo stesso Gunn ed eseguita da Rhett Miller e la sua band Old 97's, una ballata rock che contorce lo spirito natalizio in base alle varie interpretazioni personali e le convinzioni erronee dei vari Guardiani e alieni che ne hanno ispirato la scrittura nel film, essendo effettivamente suonata da una band in esso, e ripresa per il secondo brano meritevole di essere citato, "Here It Is Christmastime", arrangiato sempre dagli Old 97's, ma cantato da Kevin Bacon. Il primo pezzo è riuscito anche a debuttare quarto nella Billboard natalizia digitale10, catturando da subito i cuori di critica e pubblico.
GUARDIANS OF THE GALAXY (3/3) - Illustrazione originale di Elettra Eletto
Interessante anche l'uso di uno stile animato oramai quasi abbandonato e dimenticato, il rotoscopio, notoriamente usato dal regista Ralph Bakshi ("Il signore degli anelli" del '78, "Fire and Ice", "Wizards", "American Pop") ispirazione diretta proprio per l'uso di tale pratica nello speciale di Gunn. La tecnica consiste nel ricalcare scene girate dal vero per dare maggiore realismo ai personaggi, donando all'animazione uno stile unico e inusuale, che si sposa perfettamente con l'atmosfera generale dell'Holiday Special e ne richiama l'uso in molti altri prodotti simili passati. Le scene animate, forse il vero e proprio cuore emotivo della pellicola (seppur la scena dei regali ci si avvicini), mostra, come già menzionato, un flashback di Peter (il giovanissimo Luke Klein) e Yondu (interpretato nuovamente da Michael Rooker) nel primo Natale del ragazzo nello spazio profondo. La realizzazione delle due sequenze ha necessitato di 4 mesi e 10/12 persone al lavoro costante su di esse11.
Il mediometraggio potrà non essere all'altezza di alcuni fan della trilogia cinematografica, ma inteso per quel che è e che vuole essere, riesce perfettamente nel suo intento, ponendosi come uno dei migliori prodotti nati dal connubio MCU/Disney+ (se non il migliore) e come un divertente e coinvolgente antipasto per il film successivo, puntando sul mostrarci momenti spensierati e dolci con i nostri beniamini prima delle loro ore più buie nella conclusione della trilogia. Ma prima di ciò, in realtà anche prima dell'uscita dell'Holiday Special, Gunn è tornato in sala con un'altra pellicola, omaggiata con il fugace cameo di due dei suoi protagonisti (John Cena e Margot Robbie) anche in questo speciale, il primo film del regista con lo studio di cui sarà destinato a divenirne CEO, un film corale come Guardiani, ma molto più violento, sanguinolento, scorretto e volgare: "The Suicide Squad".
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NOTE

6 “Reunion Tour: The Music of Guardians of the Galaxy Vol. 2”, Contenuti speciali Blu-Ray “Guardiani della Galassia Vol. 2”

7 “Living Planets and Talking Trees: The Visual Effects of Vol. 2” , Contenuti speciali Blu-Ray “Guardiani della Galassia Vol. 2”

8 "'Guardians Of The Galaxy Holiday Special': James Gunn On How Disney+ Show Bridges Franchise To Upcoming 'Vol. 3'", di Anthony D'Alessandro, 25 novembre 2022, Deadline

9 "James Gunn Returns to Write and Direct 'The Guardians of the Galaxy Holiday Special' Ahead of 'Guardians of the Galaxy 3'", Marvel.com, di Christine Dinh, 11 dicembre 2020

10 "Holiday Digital Song Sales: Week of December 3, 2022", 9 dicembre 2022, Billboard

11 "The Animators Behind The Guardians Of The Galaxy Holiday Special Knew They Were Making Magic [Exclusive Interview]", /Film, 9 dicembre 2022, di Danielle Ryan

Illustrazione originale di Elettra Eletto

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