venerdì 22 dicembre 2023

Silent Hill 2 - Riflessi di un orrore personale

Nei miei sogni inquieti, vedo quella città… la voce che James Sunderland sente è quella di sua moglie e la sentiamo anche noi con lui nella prima scena di Silent Hill 2 mentre usciamo da un bagno pubblico in cui James stava fissando la sua immagine riflessa nello specchio. Il nostro viaggio all’interno del gioco di cui parleremo inizia così: districandoci tra sogni e riflessi.


Silent Hill 2 esce nell’autunno del 2001 su Playstation 2 in un clima di entusiasmo generale, prodotto da Konami Computer Entertainment e sviluppato dal suo Team Silent che lavorerà su tutti e quattro i primi videogiochi della saga. 
Il capitolo precedente della serie era stato un grande successo sulla prima console a marchio Sony e i giocatori attendevano un sequel che rispondesse a tutti quegli interrogativi rimasti aperti sull’omonima cittadina del nord-est degli Stati Uniti, perennemente immersa in una strana nebbia.

Nel primo Silent Hill il vagabondare del protagonista Harry Mason per le strade della cittadina, alla ricerca della figlia scomparsa dopo che la loro auto era uscita di strada, ci porta a scoprire le conseguenze di una inquietante alterazione spazio-temporale: la città è infestata da strane creature, la nebbia è perenne, improvvisi balzi dimensionali ci fanno ritrovare in una versione alternativa e infernale di quelle strade dove le case bruciano, la nebbia è cenere, i muri e le strade diventano intrecci arrugginiti di reti metalliche e catene. Nel secondo capitolo quella storia corale da provincia americana - alla Stephen King, al cui immaginario deve moltissimo, in primis al racconto “La Nebbia” - si ripiega su se stessa implodendo nella singolarità di una coscienza: vediamo James Sunderland che fissa il proprio riflesso allo specchio e in quello specchio, senza saperlo, vediamo già tutta Silent Hill.
L’innesco narrativo è identico, un uomo cerca una donna - sua figlia, sua moglie - nella cittadina semideserta, ma questa volta scopriamo che il protagonista ha ricevuto una lettera da sua moglie morta tre anni prima in cui gli chiede di raggiungerla nel loro posto speciale a Silent Hill, dove avevano trascorso i loro ultimi giorni insieme.

James, procedendo nell'esplorazione, incontrerà diversi personaggi che come lui sembrano capitati in quel luogo per caso o spinti da contingenze non sempre chiare, altri invece perfettamente a loro agio in quei luoghi abbandonati; questa volta però la storia della cittadina si dissolve nelle acque profonde del suo vissuto personale, che traboccano sempre di più fino a inglobare ogni incontro, avvistamento o indizio che squarcia improvvisamente quella nebbia eterna.
[Linea dello spoiler: per completare questa disamina del gioco inizierò dalla fine rivelando dettagli fondamentali che, per un’esperienza completa della trama, non dovrebbero essere anticipati prima di cominciare a giocare; se volete entrare a Silent Hill per la prima volta insieme a James fatelo, esploratela e scopriteli da voi, poi continuate a leggere.]


Nelle battute finali del gioco James ritrova nella stanza d’albergo dove aveva pernottato con sua moglie Mary una videocassetta sovraincisa con diverse scene quotidiane tra le quali improvvisamente lo vediamo soffocarla con un cuscino; una malattia terminale aveva costretto Mary a letto durante le sue lunghe degenze in ospedale, la loro relazione era stata erosa lentamente dalla malattia, l’assenza di intimità si era tramutata in frustrazione sessuale, il dolore e la sofferenza in risentimento reciproco. In un flashback vediamo Mary rifiutare i fiori che James le aveva portato ed attaccarlo:
Guarda! Sono disgustosa! Non merito fiori. Con questa malattia e tutte queste medicine, sembro un mostro. Continui a guardarmi? Vattene! Lasciami sola! Tanto non posso essere utile a nessuno e comunque tra poco sarò morta. Forse oggi, magari domani… Sarebbe più facile se mi uccidessero direttamente loro. Ma suppongo che l'ospedale stia guadagnando parecchio con me, vogliono tenermi in vita... Sei ancora qui? Ti ho detto di andartene! Sei sordo?! E non tornare!

Mary tornando in sé continua tra le lacrime: James... Aspetta... Per favore, non andare. Resta con me. Non lasciarmi da sola. Non volevo dire tutto quello. Per favore, James... Dimmi solo che starò bene. Dimmi che non sto morendo. Aiutami…

Non è facile affrontare temi così strazianti come la violenza sulle donne e il femminicidio, lasciando che delle dinamiche relazionali che oggi definiremmo tossiche e una malattia terminale sfumino i chiarissimi contorni morali della colpa, portando il giocatore a trovare una concatenazione di causa ed effetto o, peggio ancora, un’attenuante.
Oggi non sarebbe possibile, non in un videogioco, osare che una gravità morale così schiacciante pesi sulle spalle del videogiocatore - il gamepad sembra appesantirsi davvero, i comandi si irrigidiscono - privato di una netta condanna oggettiva data dal prodotto videoludico ma costretto a cercarla nella propria coscienza, a lottare con l’immedesimazione in un personaggio con cui si sono trascorse una decina di ore di gioco e che si rivela sommamente ambiguo: siamo stati noi a portarlo in salvo dai mostri e a condurlo fino a lì, a scoprire con lui la sua colpa, che ora è anche la nostra. Dove siamo stati? Cosa sono le strade infestate di esseri incomprensibili che abbiamo percorso? Per arrivare all’albergo dove si svolge tutta la sezione finale del gioco James deve prendere una barca nel molo della città e raggiungere l’altra sponda del lago Toluca, il quale è immerso nella nebbia e non c’è nulla da inseguire all’orizzonte: per lunghissimi estenuanti minuti non possiamo che premere ripetutamente il tasto  così da muovere i remi in una totale assenza di punti di riferimento che possano determinare la nostra direzione. È un preludio crudele, frustrante - non abbiamo obbiettivi chiari, è un non-gioco nel gioco - eppure straordinariamente esatto.


In una densa tenebra ti sentirai traversare una landa fumosa tra cupi precipizi e voragini e sentieri e casupole buie e infiammate. E sarai nell’Inferno, dove ignoto è il tempo che libera dai tormenti di fiamme e di gelo.

Così leggiamo nel Bardo Thödol, il libro dei morti tibetano, che - nella bella traduzione di Ugo Leonzio - descrive i luoghi sconosciuti in cui saremo condotti dopo la morte, i territori del Bardo, lo spazio liminale in cui tentati da visioni, seducenti o orribili, saremo chiamati a scegliere se reincarnarci nell’utero, dissolverci nel Buddha o scontare le eterne pene del karma nell’inferno.

Conducendo James Sunderland nella sua esplorazione nella landa fumosa di Silent Hill, tra casupole buie e infiammate, verremo costantemente braccati da strani esseri che infestano la città. Su cosa siano queste creature vale la pena soffermarci.

Il character design è sempre stato uno degli elementi di spicco della serie, l’art direction di Masahiro Ito infatti non si limita a creare uno dei bestiari più inquietanti che l’orrore videoludico abbia mai visto ma insiste su due caratteristiche costanti: da una parte sul loro aspetto perturbante, innestando in ogni mostro qualcosa di riconducibile alla figura umana - degenerazioni mutanti di esseri umani, fusi, embrionali o deteriorati, dall’altra rende i loro corpi parte integrante della narrazione, così che la quantità di arti, le strategie di attacco e comportamentali, gli ornamenti e gli accessori diventino un imprescindibile elemento diegetico.
Lying Figure (sinistra) e Mannequin (destra)
Il primo incontro avviene con un Lying Figure [tutti i nomi sono quelli usati in fase di produzione dal Team Silent], un essere composto da due gambe con la parte superiore del corpo avvolta in una membrana - il cui aspetto ricorda una placenta che raccoglie il feto o un prepuzio - nella quale vediamo dimenarsi il resto del corpo. Questa creatura attacca James espellendo da un orifizio sul tronco una sostanza acida e corrosiva.

Visitando poi un complesso di appartamenti abbandonato conosciamo i Mannequin, esseri composti da due paia di gambe saldate insieme all’altezza del tronco con indosso qualcosa di simile ad un body. Si muovono in posizione di ponte estroflettendo il bacino e possono usare una delle due paia di arti per attaccare.
Il terzo e più iconico dei nemici comuni in Silent Hill è il Bubble Head Nurse, un essere dalle sembianze di una infermiera in uniforme con minigonna e una scollatura che ne mette in risalto il seno, il tronco termina in una testa priva di volto dall’aspetto bulboso e butterato, il loro attacco è effettuato tramite un tubo idraulico che trascinano al fianco. Possiamo leggere in questi tre esseri molteplici rimandi alla sessualità, ai genitali, al corpo come oggetto erotico e, restringendo la prospettiva a quella di James Sunderland, è facile notare come queste sono le forme che avrebbero potuto assumere simbolicamente le sue frustrazioni nel momento in cui la relazione con Mary si è transformata sempre più da un idillio romantico a una gabbia arrugginita.

Il corpo significante delle presenze mostruose che abitano Silent Hill non si esaurisce nella prospettiva del protagonista ma coinvolge anche il vissuto traumatico degli altri personaggi secondari, tra questi Angela Orosco, la prima che James incontra all’interno del cimitero, appena arrivato nella cittadina; anche Angela sta cercando qualcuno, sua madre), e progredendo nel gioco scopriremo nuovi dettagli del suo passato: James la persuaderà a non pugnalarsi con un grosso coltello da cucina che, scoprirà più avanti leggendo lo stralcio di un giornale abbandonato, è lo stesso coltello con cui la ragazza ha ucciso suo padre che, con la complicità della madre, abusava di lei durante l’infanzia.
Artworks di Masahiro Ito, da sinistra a destra: Acid Bubble Head NurseGas Mask Nurse e Bubble Twin-tail Nurse


Il terribile passato di Angela si materializzerà in un nuovo incontro: James, seguendo le sue grida, la trova in una stanza spoglia, dalle pareti di pietra contornate da diversi fori in cui stantuffano dei pistoni e un mobiletto con un televisore - un perfetto ibrido tra una comune cameretta e una prigione aliena - assediata da un essere mostruoso che appare come la fusione tra un uomo e il suo letto, rappresentante perfetto della disumanizzante sessualità del padre, fuso con il luogo stesso della violenza.

Quando James riesce ad ucciderlo, Angela, che è in stato di shock, sembra pensare che egli fosse suo padre e prima di fuggire lo accusa: Allora cosa vuoi? Oh, lo so, stai cercando di essere carino con me, giusto? Ma lo so cosa vuoi fare. È sempre la stessa storia. Vuoi soltanto una cosa. […] schifoso porco.

Silent Hill, insomma, sembra materializzare attraverso queste creature i traumi dei personaggi che la percorrono, allo stesso modo in cui viene descritto il viaggio dell’anima del defunto nel Bardo, nel testo sacro per il Buddhismo tibetano: Le immagini della tua mente diverranno demoni e continuerai a vagare nel dolore dell’esistenza. […] Se non le riconosci nell’attimo della morte o mentre vaghi nel Bardo del Dharmat?, quelle stesse visioni si cambieranno nell’aspetto di Dharmarja, il Signore delle Morte. […] Hanno il labbro inferiore stretto tra le zanne, gli occhi vitrei, i capelli intrecciati, il ventre gonfio e il collo sottile. Impugnando il nero Specchio del Karma urlano: “Squarta! Ammazza!”. Sbranando teste e budella e succhiando cervelli copriranno l’intero universo.
A tenere le redini di questa parata di esseri mostruosi troviamo Pyramid Head, che sembra avere un posto di rilievo nelle file del bestiario di Silent Hill: la creatura ricorre infatti più volte in punti cruciali della storia, e sembra avere un rapporto particolare sia con gli altri mostri del gioco sia con il nostro protagonista.

Il primo incontro con Pyramid Head avviene all’interno del complesso di appartamenti abbandonati che James sta esplorando: un grido nel buio attira la sua attenzione e seguendolo ci ritroviamo in un corridoio ostruito da alcune sbarre, come fosse una prigione, dietro queste James vede l’enorme figura del mostro che lo fissa di rimando come se, al posto di quello sbarramento, ci fosse stato uno specchio. Ci saranno poi altri incontri che saranno decisivi per inquadrare la figura emblematica di Pyramid Head all’interno del gioco ma prima è interessante soffermarsi, come per gli altri esseri, sul simbolismo riconoscibile nel suo aspetto.
Sopra: Strange Head, dei dipinti di Masahiro Ito precursori di Pyramid Head;
sotto: concept art premilinare (sinistra) e sketch di Ito del personaggio


Un uomo alto più di due metri, dal corpo muscoloso coperto da un grembiule, che indossa stivali e guanti, porta nella mano destra un enorme spadone e ha al posto della testa una grossa forma piramidale di metallo: sembra l’unione tra un boia, un macellaio e una divinità egizia.

Il simbolismo della piramide rimanda immediatamente alle celebri tombe delle regine e dei faraoni egizi, con la sua funzione ascensionale che permetteva al sovrano di muoversi liberamente tra cielo e terra, tra vivi e morti; la sua posizione, a sormontare la testa, è caratteristica delle divinità di tale civiltà, figure antropomorfe dalla testa animale: pensiamo ad Anubi, il dio-sciacallo giudice dell’oltretomba, la cui maschera era indossata dai sacerdoti durante il rito dell’imbalsamazione.

Il lungo spadone che porta nella mano destra, oltre a un evidente simbolo fallico, può essere interpretato in vari modi: la spada è lo strumento della potenza, del massacro e della morte; è un simbolo assiale che può essere identificato con l’asse della bilancia, quindi il giudizio; nella cultura vedica rappresenta, inoltre, la lotta per la conquista della conoscenza e la liberazione dai desideri.
Illustrazione originale di Stefano Vita
Nel loro secondo incontro, James si è appena introdotto in un appartamento e si imbatte in Pyramid Head che sta stuprando due Mannequin; si nasconde silenziosamente in un armadio e dalle fessure dell’anta lo vede trascinare via uno dei due Mannequin tenendolo per la caviglia.

Poco più tardi, James lo incontra di nuovo in una delle rampe di scale del complesso residenziale mentre si intrattiene in una fellatio con un Lying Figure; qui ci sarà il suo primo scontro fisico con il mostro prima che questo, sentendo il suono della sirena di Silent Hill (che ricorrerà più volte durante il gioco segnando spesso il travalicamento dimensionale tra città reale e incubo/inferno) si immerga nella parte allagata della scalinata risparmiando la vita al nostro alter ego.

Pyramid Head avrà più volte un atteggiamento ambiguo nei confronti di James - a volte proteggendolo, a volte indirizzandone consapevolmente le scelte - mentre nel frattempo abusa sessualmente degli altri esseri che si aggirano per la cittadina. La sua figura, incarnando perfettamente una mascolinità così esuberante e malsana, lo fa aderire specularmente alla figura insicura e remissiva di James, divenendo propriamente l’incarnazione stessa della sua libido repressa, del narcisismo infantile e delle sue pulsioni più violente.
Così possiamo leggere nell’intera Silent Hill una geografia e una demografia della mente del suo visitatore - nel nostro caso James Sunderland - che, proiettando all’esterno tutto il suo materiale inconscio, vive uno psicodramma finalizzato al riconoscimento e alla metabolizzazione del trauma causato dall’omicidio di Mary. Le ombre della sua mente acquisiscono nella nebbia eterna della cittadina un proprio corpo e vagano così affamate di vendetta e rimorso, fino al momento in cui non verranno riconosciute come parte del soggetto-protagonista e da questo riassimilate, fino alla sparizione di entrambi.

Concludendo con il testo sacro tibetano: Il segreto di questo insegnamento è che tu riconosca anche nella più spaventosa delle visioni il solo manifestarsi della tua mente […] Possa ogni suono del Bardo svelarsi come un mio suono / Possa ogni luce svelarsi come una mia luce / Possa la visione del Bardo svelarsi come una mia visione.


Questa strana città avvolta dalla nebbia, che siamo chiamati ad esplorare, non è popolata soltanto da mostri ma anche da diverse esistenze umane che James incontrerà nella sua ricerca della verità; abbiamo già parlato di Angela Orosco, il nostro primo incontro, ma tra le altre figure - come Eddie e Laura, che qui saremo costretti a lasciare sullo sfondo - è utile approfondire quella di Maria, che useremo come congiunzione per collegare Silent Hill all’opera a cui è più debitrice, uno dei capolavori della fantascienza sovietica: Solaris di Stanislav Lem.

Nell’opera di Lem il protagonista Kris Kelvin è uno psicologo che viene inviato a studiare sul campo Solaris, un pianeta dalle caratteristiche così singolari da risultare spesso incomprensibili agli scienziati: gli studi hanno rivelato che il grande oceano che ricopre il corpo celeste è un gigantesco essere senziente dotato di una forma di intelligenza così distante da quella umana da trovare difficilmente spazio nelle nostre categorie di pensiero. Quelle che sembrano delle allucinazioni si rivelano essere una strana forma di comunicazione, che l’oceano-alieno tenta di imbastire con i membri dell’equipaggio presente sul pianeta.

Anche il protagonista di Solaris, come James Sunderland, ha alle spalle una storia traumatica e di colpa: sua moglie Harey si è uccisa l’anno precedente in seguito al loro divorzio e tornerà in qualche modo, sotto forma di esistenza ricreata artificialmente dal grande oceano senziente, ad accompagnare tutta la permanenza sul pianeta di Kris. Quando in Silent Hill James incontra Maria sulla baia la scambierà per sua moglie Mary: l’omonimia tra le due donne si riflette perfettamente sul loro aspetto e carattere. Sono effettivamente identiche, se non per alcuni particolari decisivi che ci permettono di distinguerle, mentre il loro comportamento e il loro rapporto con James sarà diametralmente opposto.
Mary, come Harey per Kris, non è una persona reale ma una materializzazione di qualcosa presente nella mente del protagonista, una ricostruzione - necessariamente incompleta, distorta - basata sui suoi ricordi e sulla sua esperienza soggettiva; così come nei sogni siamo in grado di ricreare interamente persone che sembrano agire autonomamente nello spazio onirico così questi personaggi sembrano muoversi all’interno delle due narrazioni.

Harey tenta di ricostruire, sull’astronave in cui si trova, una vita quotidiana con Kris. Qualcosa, però, continua a tormentarla, il suo comportamento è sempre più strano e autodistruttivo: confessa a Kris, mentre si guardano allo specchio, che chiudendo gli occhi non riesce più a ricordare il suo volto; non ha ricordi del suo arrivo sul pianeta e quelli che possiede sono tutti alla presenza di Kris, così prende lentamente coscienza che la sua vita stessa dipende intimamente da lui, come se fosse condannata a sparire nei momenti in cui non sono insieme.

La cosciente consapevolezza di questa distorsione nella sua coscienza porterà Harey a tentare più volte il suicidio, morendo e tornando ogni volta uguale a se stessa, incapace di sbarazzarsi del suo corpo fisico; così anche Maria durante il gioco morirà più volte tornando sempre uguale a se stessa, inconsapevole di ciò che è successo: a ucciderla sarà Pyramid Head - che come abbiamo visto possiamo considerare un alter ego di James - che inscena così ancora e ancora la morte di Mary.

James, come era successo per le altre presenze mostruose di Silent Hill, proietta su Mary tutta quella carica di frustrazione sessuale che abbiamo analizzato nei paragrafi precedenti: è a tutti gli effetti una versione alternativa di sua moglie, la sua versione.
Maria lavora come spogliarellista nello strip club locale e i dialoghi tra i due presentano spesso allusioni sessuali: da "Non sembro un fantasma. Vero? […] Vedi? Senti come sono calda?” fino al più esplicito: "Non vuoi toccarmi?” "Non lo so…” "Vieni e prendimi. Non c’è niente che posso fare da dietro queste sbarre.

La sua è una costante ricerca di attenzioni e protezione da parte di James: "Vieni con me? O stavi per lasciarmi qui? Con tutti questi mostri in giro? Sono qui completamente da sola. Tutti gli altri se ne sono andati…"; nel momento in cui la riscopre ancora viva dopo aver assistito al suo assassinio da parte di Pyramid Head James le dice: “In ogni caso, sono contento che tu sia viva…" e Maria, andando su tutte le furie: "'In ogni caso'!? Cosa intendi con 'in ogni caso'!? Non sembri molto felice di vedermi. Perché non hai cercato di salvarmi? Tutto ciò che ti interessa è quella tua moglie morta! Non sono mai stata così terrorizzata in tutta la mia vita!"

Maria è insomma la ricostruzione solipsistica che James fa del suo rapporto con Mary, sfrondato della sofferenza e del risentimento, idealizzato fino a divenire un eterno corteggiamento. Così durante tutto il gioco il protagonista oscillerà tra la ricerca della moglie morta e la seduzione di abbandonarsi all’illusione, tanto che tra i diversi finali del gioco sono presenti entrambe le possibilità risolutive.

La sostanza di cui sono fatte Harey e Maria appare quindi molto simile, arrivando a eguagliarsi nel momento in cui vediamo queste due proiezioni di esistenze umane - abitatrici del sogno di un altro e da questo generate - diventare coscienti della loro parzialità: mentre Harey lo scopre nella sua totale simbiosi con Kris, di cui sembra inconcepibile o almeno terrificante l’assenza, per Maria avviene il processo opposto, per comprendere il quale dobbiamo analizzare l’ultimo capitolo, il meno conosciuto ma risolutivo per sciogliere definitivamente i nodi di Silent Hill.

La prima apparizione in ordine temporale di Maria non avviene nella storia principale del gioco, ma in un suo scenario bonus chiamato Born from a Wish, presente nella expanded edition del gioco, uscita su console l’anno successivo la sua pubblicazione. Qui vediamo Maria svegliarsi in Silent Hill e domandarsi quale sia il senso della sua esistenza (“Non ho alcuna ragione per continuare a vivere ma…”) e soprattutto dell’essere come programmata per cercare qualcuno (“Dovrei… fuggire da questo posto? No, voglio trovare qualcuno”).

Durante questo scenario bonus, ambientato appena prima dell’incontro di James e Maria sulla baia, perlustreremo una grande villa in cui Maria incontra – o meglio, parla con - Ernest, un uomo che non vuole o non può farsi vedere. Saremo così costretti a relazionarci con lui da dietro una porta chiusa e ci chiederà di portargli diversi oggetti attinenti al suo rapporto con la figlia Amy.
Prima di abbandonare definitivamente la villa Ernest e Maria hanno uno scambio di battute in cui per la prima volta appare il nome del nostro protagonista James, svelandoci così un panorama più ampio: i personaggi sono consapevoli di essere mossi da una forza superiore, da ragioni che, anche se non comprendono, gli appaiono chiarissime. Finalmente Silent Hill si disvela per quello che è: un gigantesco palcoscenico metafisico in cui viene messa eternamente in scena una storia di colpa e redenzione.

Ernest: Maria, gli Dei sono qui. Lo sai anche tu. Sei nata in questa città.
Maria: Non sono sicura che 'Dio' sia la parola giusta.
Ernest: Credi nel Destino?
Maria: Non proprio.
Ernest: Allora va bene così.
Maria: Ernest, posso aprire la porta?
Ernest: Questa è un vicolo cieco. Non c'è niente oltre.
Maria: Lo so. Quindi... e se ti avessi detto che credevo nel Destino?
Ernest: Quell'uomo, James, è cattivo.
Maria: James...? Sì… si, lo so...
Ernest: Sta cercando quella te… quella che non sei tu.
Maria: Ma perché… lui è così premuroso. Tu... sai qualcosa?
Ernest: Sì... Maria, tu sei...
Maria: Comunque, questo è ciò che pensi tu. Tu in realtà non sai niente. E va bene così.


Diverse nebbie infestano Silent Hill. L’elemento più caratteristico della città protagonista del gioco nasceva nel primo capitolo semplicemente come un escamotage tecnico per sopperire alla bassa potenza computazionale delle console a 16 bit su cui era uscito: la nebbia permetteva di restringere l’orizzonte visibile dal giocatore così da non aumentare eccessivamente i poligoni a schermo (gli oggetti fisici contemporaneamente visibili nel gioco che pesano sul processo di elaborazione grafica in tempo reale). La nebbia è diventata, poi, elemento narrativo imprescindibile, andando a impregnare ogni aspetto del gioco. Come al solito, è ciò che non possiamo vedere quello che ci spaventa di più e qui la nebbia è sorella del più comune elemento di ostacolo alla vista umana: il buio.
Illustrazione originale di Stefano Vita
Quello che vediamo per le strade di Silent Hill è uno strano buio bianco, come quello che terrorizzava Melville nel famoso capitolo di Moby Dick sulla bianchezza della balena.

La nebbia che invade le strade e non ci permette mai di guardare in un solo colpo d’occhio tutta la cittadina di Silent Hill nella sua interezza è la stessa che regna nella mente di James Sunderland, il suo protagonista, e che non gli permette di discernere tra la realtà e i suoi incubitra la colpa e la grazia delle sue azioni.

Quella nebbia in cui scopriamo di essere persi noi stessi mentre giochiamo: stiamo camminando verso la risoluzione della storia o verso il suo principio? Davanti a noi c’è il futuro o - con la nostra bussola temporale invertita - camminiamo verso il passato?

La nebbia suprema, quella più spessa, infine è quella morale, che ci tenta nel domandarci: si può essere colpevoli e innocenti insieme? Ed è in questa domanda così attuale che Silent Hill 2 ancora riesce a perseguitare i nostri sogni; una domanda così stringente per comprendere se oggi l’umanità ha ancora gli strumenti per definire una colpa e farsene causa [Silent Hill è anche un teaser dell’apocalisse ecologica? Della nebbia atomica e dei suoi figli mutanti?] per capire finalmente nell’aria tersa della consapevolezza se la strada intrapresa è quella che porta verso il futuro o nel baratro infinito di un passato, di una colpa.
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BIBLIOGRAFIA


ARTICOLO DI   Iꓷ O⅃OƆITЯA
ILLUSTRAZIONI DI   Iꓷ IИOIZAЯTƧU⅃⅃I
COPERTINA DI   Iꓷ AИITЯƎᕋOƆ
REVISIONE DI   Iꓷ ƎИOIƧIVƎЯ
IMPAGINAZIONE DI   Iꓷ ƎИOIZAИIӘAᕋMI

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