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Screenshot di uno dei primi prototipi |
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Concept art di Robert Baroni |
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Screenshot di uno dei primi prototipi |
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Concept art di Robert Baroni |
Alla fine cosa distingue uno schiavo da un uomo? Denaro? Potere? No.
Un uomo sceglie, uno schiavo obbedisce.
L’oggettivismo è una corrente filosofica ideata dalla scrittrice russo-statunitense Ayn Rand, basata sul razionalismo e l’individualismo; tale teoria è alla base dei temi di Bioshock, un videogioco sparatutto in prima persona sviluppato dalla Irrational Games e pubblicato dalla 2K games nel 2007.
Il giocatore avrà a sua disposizione un ampio arsenale di armi, che spaziano da una semplice chiave inglese fino ad arrivare ad un lanciagranate e una balestra; la maggior parte di queste presenta, laddove previste, diversi tipi di munizioni equipaggiabili, che forniscono effetti specifici ai colpi dell’arma da fuoco utilizzata, eventualmente utili a fronteggiare avversità più specifiche, quali possono essere i nemici con armature. Sarà anche possibile utilizzare i plasmidi, sieri che forniscono a Jack abilità speciali come la telecinesi o la capacità di sparare fulmini dalle mani. Sono inoltre presenti elementi tipici degli RPG, quali negozi dove acquistare munizioni e potenziamenti, un sistema di abilità passive e meccaniche di crafting.
La grafica risulta, per gli standard del 2007, ottima, con una buona qualità dei modelli e delle texture, nonché degli effetti particellari tutto sommato godibili. Il gioco ha ricevuto nel 2016 una remaster che migliora notevolmente l’aspetto grafico, rendendo così il gioco più appetibile agli occhi di coloro che vi si approcciano per la prima volta.
I personaggi risultano interessanti e ben caratterizzati, anche grazie ai vari messaggi registrati che sarà possibile trovare nel gioco, che approfondiscono il loro background nonché quello di Rapture stessa, dalla sua fondazione fino alla caduta, contribuendo così ad un worldbuilding eccellente.
Il design delle ambientazioni presenta uno stile ibrido tra lo steampunk e lo stile dell’Art decò, misto all’estetica tipica degli anni ’50 e ’60, conferisce a Rapture e al gioco stesso uno charm e un’atmosfera intrigante.
Il level design delle aree esplorate è eccellente: sebbene la strada da seguire per proseguire nella storia principale risulti piuttosto lineare e semplice da seguire, l’esplorazione delle stanze presenti nelle ramificazioni sarà sempre ricompensata con potenziamenti, munizioni e oggetti di cura.
Oltre che dall’esplorazione delle aree di gioco, la rigiocabilità di Bioshock è ulteriormente arricchita dalle scelte morali che il giocatore dovrà fare: saranno infatti presenti tre finali diversi, che dipenderanno dalle azioni del protagonista durante il gioco.
Altro punto forte è la colonna sonora che riesce perfettamente a trasmettere tensione nei momenti più concitati del gioco, grazie in particolare ad un ottimo uso degli archi nell’orchestrazione. Il tema principale merita una menzione speciale l’utilizzo della canzone Beyond the sea di Bobby Darin, che ironicamente si addice perfettamente alla trama e ai temi del gioco.
In conclusione Bioshock è un eccellente sparatutto in prima persona con elementi horror, non a caso è tutt’oggi considerato uno dei migliori del suo genere, pertanto lo consiglio vivamente a tutti gli appassionati.
ARTICOLO DI
Emily Wants to Play Too è il seguito dell’acclamato videogioco indie survival horror Emily Wants to Play. Il titolo è stato sviluppato, così come il capitolo precedente, da Shawn Hitchcock e pubblicato da SKH Apps su piattaforme Windows, OS X e Linux nel dicembre del 2017, ricevendo in seguito porting su piattaforme PlayStation 4, Xbox One, iOS e Android.
La trama ha inizio nell’appartamento dell’anonimo protagonista del gioco, che dopo una festa durata tutta la notte decide di dormire in modo da essere pronto nel pomeriggio per il suo turno di lavoro presso il servizio di food delivery Timmy Thom's Fast Sandwiches. Dopo un sonno agitato da incubi apparentemente ricorrenti, il protagonista si dirige al complesso di ricerca Central Evidence per consegnare un sandwich; una volta arrivato, però, si ritrova chiuso all’interno dell’edificio. Per riuscire a fuggire il giocatore dovrà trovare quattro chiavi magnetiche che consentono l’accesso ad altrettante aree del complesso, cercando di sopravvivere fino alle 7 del mattino. L’impresa sarà resa ancora più ardua e terrificante dalla presenza di bambole possedute e del fantasma di Emily, che attaccheranno il protagonista a meno che il giocatore non esegua determinate azioni.
Oltre che con gli avversari del primo capitolo (Emily, Mr. Tatters, Chester e Kiki), i quali presenteranno nuovi metodi per essere sconfitti, il giocatore dovrà confrontarsi anche con tre nuovi nemici: Weasl, un pupazzo dal trucco verde che attaccherà a meno che non sia trovato un carillon e fermato; Greta, una bambola senza occhi e deturpata che riuscirà ad individuare il giocatore nel caso quest’ultimo provochi forti rumori; e infine Maxwell Steele, un manichino dal completo elegante, il quale potrà essere allontanato utilizzando una torcia.
Purtroppo i design di queste nuove bambole risultano molto poco originali ed è facile osservare similitudini lampanti con il trio del primo capitolo (Kiki e Greta, Weasl e Mr. Tatters e infine Maxwell Steele e Chester), sebbene non vi sia alcuna giustificazione a livello di trama per questa somiglianza.
Altro difetto relativo alle bambole è, come nel primo Emily Wants to Play, è la scarsa qualità dei modelli 3D utilizzati per queste ultime, soprattutto se confrontati con quelli più realistici degli ambienti e degli oggetti del gioco. Questa dissonanza va ad intaccare l’atmosfera del gioco, inevitabilmente rompendo l’immersione del giocatore, aspetto indubbiamente fondamentale per questo tipo di giochi.
Tuttavia, trascurando il suddetto difetto, le atmosfere del gioco risultano molto ben realizzate: la scarsa illuminazione e la quasi totale assenza di suoni se non quelli emessi dalle bambole e dai passi del protagonista riescono a trasmettere un senso di inquietudine, paura e suspence.
Comprendere le meccaniche del gioco può inizialmente risultare complesso, dato che gli unici indizi a disposizione del giocatore su come sfuggire agli attacchi di Emily e gli altri nemici saranno forniti tramite consigli (non sempre giusti) scritti su alcune lavagne disseminate per Central Evidence. Una volta apprese queste semplici istruzioni il gioco diventerà molto ripetitivo e la difficoltà deriverà principalmente dalla possibilità di avere più bambole attive contemporaneamente: la maggior parte dei “game over” non sarà perciò causata da una scarsa comprensione delle regole del gioco, ma da situazioni caotiche e al di fuori del controllo del giocatore, cosa che risulta essere senza ombra di dubbio una grossa fonte di frustrazione.
Un punto forte del titolo sono ancora una volta i suoi segreti: non solo saranno presenti due finali segreti, i quali richiederanno che il giocatore compia determinate azioni nel corso del gioco, ma, così come nel primo capitolo, sarà possibile trovare articoli di giornale, rapporti della polizia, foto e altri documenti che forniranno informazioni sugli spiriti che possiedono le bambole e sull’universo generale del gioco.
Sebbene il gioco possa essere completato in pochissime ore, riesce efficacemente a compensare questo difetto con l’aggiunta di una nuova modalità di gioco e un prezzo adeguatamente basso.
In conclusione, Emily Wants to Play Too presenta degli elementi interessanti, purtroppo oscurati dai suoi difetti che complessivamente rendono il titolo un passo indietro rispetto al suo predecessore. Se avete amato Emily Wants to Play il suo sequel potrà senza dubbio risultare deludente, ciononostante vi invito a provarlo per le poche novità introdotte.