mercoledì 15 febbraio 2023

Shadow Hearts: storia di una saga dimenticata [Pt. 1]

È il 2001, e nella mente di molti appassionati di videogiochi si rende sempre più presente un singolo pensiero: sta per uscire Final Fantasy X.
L’attesa spasmodica annebbia gli scaffali dei negozi, le copertine degli altri videogiochi si oscurano completamente, nulla ha più importanza. Inutile dire che il decimo capitolo della tanto amata saga è un successo su tutta la linea, e mentre gli occhi di milioni di persone non riescono a guardare altrove, su quegli stessi scaffali dominati da un’unica immagine si mostra timidamente al mondo una copertina totalmente anonima e priva di carattere. Un paio di modelli 3D quasi ridicoli se messi a confronto con la concorrenza e un titolo che li sorveglia dall’alto: Shadow Hearts
Nonostante un primo impatto tutt’altro che accattivante, le poche persone che trovarono il coraggio di acquistare il gioco ne rimasero folgorate. Dietro alla grafica spartana, che sembrava appartenere alla prima Playstation piuttosto che alla nuova architettura, si celava la volontà di raccontare qualcosa che deviasse dagli stilemi in cui i giochi di ruolo giapponesi si erano ormai intrappolati da tempo. 

Sacnoth, Hiroki Kikuta e la realizzazione di un sogno
Tra il 1992 e il 1998, negli studi di SquareSoft si fa strada Hiroki Kikuta, compositore autodidatta conosciuto e amato soprattutto per i suoi lavori nella serie action RPG Mana. Nello specifico Secret of Mana (1993) e Trials of Mana (1995).
Dopo essere stato respinto dalla Falcom (Ys, The Legend Of Heroes) tentò nuovamente di entrare nel mondo dello sviluppo videoludico mandando una demo dei suoi lavori a SquareSoft, dove venne accettato. Dovette sostenere un colloquio di lavoro, tenuto niente meno che da Nobuo Uematsu (Final Fantasy saga), il quale venne colpito quasi immediatamente dai suoi lavori e con cui condivideva la passione per il progressive rock. Nonostante il talento e la passione infusi nel suo lavoro compositivo, Kikuta aveva ambizioni che andavano al di là del comparto sonoro dei videogiochi a cui lavorava. Voleva infatti essere a capo di un progetto tutto suo, che potesse andare oltre gli schemi che dominavano la scena dei giochi di ruolo giapponesi nell’era del super nintendo. A sua detta, i videogiochi di quell’epoca mancavano di una chiara linea interpretativa e di coesione tra gameplay e storia. Per quanto opinabile, è auspicabile ricondurre questo suo pensiero alla quantità spasmodica di RPG che venivano prodotti in quegli anni, specialmente in SquareSoft, software house in cui ha vissuto la maggior parte dei suoi anni da compositore. Per sua sfortuna, la sua posizione nella scala gerarchica della compagnia gli impediva di rendere reali le sue ambizioni.
Così, dopo aver terminato i suoi lavori alla soundtrack di Soukaigi (1998), decise di lasciare Square per fondare una sua personale compagnia. Grazie a un consulente aziendale, riuscì a entrare in contatto con l’allora presidente della SNK (Metal Slug, The King of Fighters) Norimasa Hirano che finanziò la nuova software house di cui Kikuta era ora a capo: Sacnoth. Oltre ad alcuni lavori per la console portatile di SNK, il Neo Geo Pocket Color, il gioco rappresentativo delle idee e delle ambizioni di Kikuta poteva essere finalmente sviluppato. Il 16 Dicembre del 1999 viene rilasciato ufficialmente in Giappone Koudelka, prodotto, scritto e diretto da Hiroki Kikuta stesso. A sua detta “per mantenere la qualità e l’organizzazione di un progetto intatta, le decisioni più importanti devono essere prese da un gruppo ristretto di persone, idealmente da una sola”, ed è probabilmente per questo che Kikuta mirò a ottenere quanto più controllo possibile sul suo progetto.
Per creare le atmosfere di Koudelka, Kikuta si documentò su oltre 100 libri di storia inglese da cui estrapolò diversi eventi storici che poi trasportò nel gioco. Mandò inoltre alcuni membri del suo staff in Galles, per poter sentire sulla propria pelle la natura che avrebbero poi dovuto trasporre in Koudelka. Il gioco è infatti ambientato nel monastero fittizio Nemeton, che dal punto di vista architettonico si rifà alla cattedrale di San Davide situata proprio nel Galles. Quello che a un primo impatto sembra il solito clone di Resident Evil, è in realtà uno dei primi veri e propri ibridi tra survival horror e gioco di ruolo. Durante l’esplorazione del monastero capiterà infatti al giocatore di imbattersi in diversi incontri casuali che rivelano un sistema di combattimento simile a quello visto negli RPG tattici di Yasumi Matsuno (Final Fantasy Tactics, Ogre Battle). I protagonisti dovranno muoversi su di una griglia simile a una scacchiera, in cui affronteranno le creature mostruose che abitano il monastero, utilizzando come armi gli oggetti trovati durante l’esplorazione dello scenario. Per quanto ben concepito e tutto sommato funzionante, questo sistema di combattimento non faceva parte della visione originale di Hiroki Kikuta. Il director voleva infatti creare un sistema di combattimento in tempo reale, in cui l’interazione con l’ambiente circostante era al centro delle meccaniche principali del gioco, un sistema simile ad Ultima Underworld e System Shock che all’epoca rivoluzionarono il modo di concepire gli action RPG. L’intento di Kikuta era chiaramente quello di cercare di fuggire dalla gabbia degli RPG giapponesi contemporanei. Queste idee tuttavia non erano conciliabili né con le risorse che uno studio appena nato poteva permettersi né con lo staff di Sacnoth (in gran parte composto da veterani di SquareSoft) che aveva l’incarico di lavorare al sistema di combattimento. 
Queste divergenze rallentarono lo sviluppo e delusero soprattutto le aspettative che Kikuta aveva per il progetto, portandolo a lasciare definitivamente Sacnoth. Ma cosa c’entra questa storia con Shadow Hearts?

Rinascita dalle ceneri  
Come detto in precedenza, buona parte dello staff di Sacnoth era composto da persone con alle spalle parecchia esperienza acquisita in SquareSoft. Tra queste persone era presente anche Matsuzo Machida, art director di Koudelka, il cui nome figura tra i crediti di alcuni dei più influenti RPG usciti negli anni 90’ come Chrono Trigger, Final Fantasy VII e Xenogears. Machida decise di non abbandonare le idee dell’ex CEO, mantenendo dunque una certa identità artistica che avrebbe poi trasposto nel prossimo gioco di Sacnoth, di cui era il director. Condividendo con Kikuta la stessa passione per la storia, Machida scelse come setting gli anni prossimi alla prima guerra mondiale, dipingendo l’immagine di un’Asia e di un’Europa infestate da mostri Lovecraftiani e da atmosfere cupe e raccapriccianti. Nasce dunque Shadow Hearts.
L’eredità di Koudelka si fa viva nelle ambientazioni horrorifiche, nei villain corrotti da magie oscure, nella storia atipica del genere che si allontana dai grandi classici ambientati in epoche lontane e dai sentimenti positivi. In Shadow Hearts il marciume regna, esce fuori dallo schermo, è tanto presente da rendere il tanfo, in cui il protagonista è costretto a vivere, opprimente anche al naso del videogiocatore. Il protagonista stesso rinuncia alle sue sembianze umane durante il combattimento, per trasformarsi in creature dalla carne mostruosa la cui potenza è paragonabile alla bruttezza delle loro sembianze, in modo non dissimile ad Akira Fudo, protagonista di Devilman (Go Nagai, 1972) da cui chiaramente Machida si è ispirato. Nonostante alla base sia qualcosa di già visto e rivisto, il sistema di combattimento di Shadow Hearts presenta molti dettagli che lo rendono unico. Uno su tutti il Judgement Ring, una sorta di orologio che apparirà ogni qualvolta vorremmo dare un comando ai protagonisti, al cui interno dovremmo far combaciare il ritmo di una lancetta, con delle aree specifiche, a ogni azione. 
L’ispirazione Lovecraftiana non si ferma ovviamente alle ambientazioni o ai nemici che popolano il mondo di gioco, ma si fa presente anche nel gameplay attraverso i Sanity Point. Questi punti rappresentano appunto la sanità mentale dei protagonisti, che calerà con il prolungamento delle battaglie. Una volta esauriti, i personaggi perderanno letteralmente la propria sanità, impazzendo e impedendo al giocatore di controllarli, tanto sono indicibili le creature a cui sono costantemente esposti. 

Dal punto di vista narrativo, il gioco si collega lievemente a Koudelka, di cui fanno la riapparizione alcuni dei protagonisti del gioco precedente. Nonostante questo, è chiaro l’intento di rendere Shadow Hearts un’esperienza separata e godibile senza la necessità di sperimentare il titolo di Kikuta. La commistione di tutti questi elementi fa brillare Shadow Hearts di una luce unica, in un panorama in cui progetti del genere difficilmente riescono a prendere vita. È percettibile durante tutta l’avventura la volontà di Machida e del suo team di lasciare da parte anche solo per un momento le pressioni che il mercato impone, concentrandosi solamente sul creare qualcosa di personale, che lasci il segno, anche se solo ad numero ristretto di persone.

CONTINUA...
Illustrazione originale di Emidio Iannone
Potete trovare un'altra illustrazione originale dedicata a Shadow Hearts, in particolare al suo antagonista, nella Gallery di Emidio Iannone.

Fonti

ARTICOLO DI
ILLUSTRAZIONE DI

REVISIONE DI
GIULIA ULIVUCCI E ROBB P. LESTINCI 

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