mercoledì 9 ottobre 2019

Draghi italiani - Realtà o finzione?

Quella del drago è sicuramente una delle figure più ricorrenti nel patrimonio delle civiltà umane, sin dai loro albori. Che queste creature leggendarie siano raffigurate alla maniera tipicamente europea-occidentale come mostri feroci e maligni o al modo orientale, che li rappresenta come esseri divini, benevoli e portatori di saggezza.

Come abbiamo detto, dunque, per millenni nella nostra cultura abbiamo visto il drago come nemico dell'umanità: un essere malefico che va distrutto, e che incarna tutti i timori ed i pericoli in cui le genti di quel tempo rischiavano di incombere.  Non a caso, nelle iconografie antiche sono ritratti fondamentalmente come animali serpentiformi con artigli, ali, dettagli propri dei grossi felini (come leoni o tigri) o di canidi selvatici (come i lupi). Aberrazioni della natura affamate di carne umana, sputa fuoco e servitori del principe delle tenebre in persona (se non forme fisiche che lo stesso assume nel mostro mondo). Una combinazione letale unica, la cui sconfitta viene spesso presa come simbolo del trionfo della luce sulle forze del male: vedasi il mito di San Giorgio o la rappresentazione dell'Arcangelo Michele, che spesso brandisce vittorioso una spada sopra il corpo esamine di un drago appena sconfitto.
Detto questo, è ovvio che il nostro paese non si possa essere esimuto dal narrare storie di dragoni nei folklore regionali, principalmente in epoca medievale, rendendoli fonte di opere artistiche o racconti della tradizione orale.  State per leggere una leggenda tutta nostrana, più precisamente Toscana, che ricollegheremo per un dettaglio che la riguarda ad un'importante digressione.

Da secoli nel borgo di Santa Fiora (nei pressi di Grosseto)  si è soliti raccontare ai più piccoli del drago che infestò le terre circostanti. La peculiarità di questa storia però è che non è realmente una leggenda, bensì un fatto storico provato come reale... ebbene, intorno al '400 il borgo era governato dalla famiglia degli Sforza, più precisamente dal Conte Guido acclamato e ben voluto dal popolo.

Ma, quando nelle campagne e nella selva che sorge ai piedi del Monte Amiata, si iniziarono a consumare delle uccisioni di massa del bestiame e dei sanguinari omicidi il popolo iniziò a terrorizzarsi, ancor di più quando i frati del Convento di S.Fiora (che usavano peregrinare in quelle radure) scoprirono che l'autore di quei delitti non era altri che un mostruoso drago. Così, soddisfando le continue richieste dei sudditi, il Conte partì in missione, appositamente bardato ed armato per ucciderlo.
"The Sword and the Dragon" ("Ilya Muromets", 1956), regia di Aleksandr Lukič Ptuško
Tornò un paio di giorni dopo sconfitto e in fin di vita, non era riuscito a liberare le terre dal "Cifero Serpente", come lo chiamavano i Santafioresi. Così il Conte si appellò ad un mago esperto che dimorava in una grotta non lontana (realmente esistente, ancora oggi visitabile): il Mago Merlino, trasferitosi lì da tempo.

Il Mago chiamò in aiuto San Giorgio in persona, con il quale venne organizzata la spedizione per abbattere il drago. Così lo attirarono fuori dalla grotta in cui riposava, gli tesero una trappola e San Giorgio lo finì. A questo punto, per dimostrare al popolo che la minaccia fosse sventata, Guido Sforza portò a Santa Fiora la testa mozzata del drago e la lasciò ai frati del Convento della Selva.
"Merlin", stagione 1, episodio 1, "The Dragon's Call" (2008), regia di James Hawes 
Perché abbiamo detto che questo racconto, che ha tutti gli elementi di una qualsiasi leggenda, è ritenuto un fatto storico comprovato? Perché, ad oggi, il cranio del drago è ancora conservato nel convento.

È stato sistemato in una cripta, non accessibile al pubblico, ma qualche decennio fa durante dei restauri è stato permessa di accedervi, e sono stati condotti degli studi su quei resti. Secondo questi ultimi, in realtà, il cranio apparterrebbe a qualche razza di coccodrillo.
Qui il mistero si infittisce, è vero che sarebbe un'ipotesi ben più razionale che un drago fiabesco, ma cosa ci faceva un coccodrillo in Italia nel XIV secolo? È così che ci ricolleghiamo ad altre storie molto particolari, da due diversi punti della nostra penisola.

Tanto per cominciare a Curtanone (Mantova), nella Chiesa della Beata Vergine delle Grazie risalente al '200, da secoli si può ammirare il corpo imbalsamato di un coccodrillo del nilo pendere dal soffitto legato da delle catene. Pare che questo elemento di arredo sia stato aggiunto intorno al XV o XVI secolo, e sono molte le teorie circa la sua presenza: c'è chi dice venisse da uno zoo privato dei Gonzaga; e chi racconta che l'animale sia stato ucciso da due barcaioli che aveva assalito in un fiume vicino, che poi lo hanno portato nella chiesa gotica "delle grazie" (probabilmente credendolo un demone).
Oltretutto sappiamo con certezza che i coccodrilli del Nilo sono esistiti per moltissimo tempo in tutta la Sicilia, sia allo stato brado (nella fonte del Ciane a Siracusa, e nei pressi di Palermo e di Catania) che in veri e propri allevamenti (i più grandi situati nell'attuale parco delle Gole d'Alcantara). Inoltre, secondo il naturalista del '700 Antonino Mongitore, nell'isola ne sarebbe vissuto un numero non indifferente. Tanto che a Palermo in passato si raccontava ai bambini che nella fontana di piazza Caracciolo (alimentate dalle acque del fiume Papireto) spesso si trovasse un coccodrillo, che usciva dopo il tramonto per andare a caccia di tutti coloro che non si erano ancora ritirati nelle proprie case col calare della notte.

Il coccodrillo sarebbe poi stato assalito ed ucciso da un gruppo di giovani intrepidi.
Sarà un caso che, proprio a Palermo, nel mercato della Vucciria si trovi da sempre un esemplare imbalsamato?
Secondo vari storici, la presenza di questa specie nel Bel Paese sarebbe da imputare agli Arabi, che li avrebbero importati durante il lungo periodo di dominazione sul Sud Italia. Quindi possiamo provare ad affermare che sarebbero stati proprio i coccodrilli una delle principali fonti di ispirazione per la genesi del mito dei draghi, animali inconsueti e spaventosi agli occhi delle masse europee.

Checché preferiate la versione di queste storie più fantastica, con mostri sputafuoco e maghi, o quella più realistica con predatori esotici portati dal Continente Nero è comunque molto affascinante pensare alle dinamiche che raccontano e al processo che ha portato alla loro formulazione nel corso dei secoli, a furia di essere tramandate.

Articolo di Lorenzo Spagnoli

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