mercoledì 22 marzo 2023

Del Toro’s Pinocchio e l’immortalità di una storia

Il 2022 è stato un anno in cui lo stop-motion ha brillato più che mai. Tra i tanti film usciti quest’anno quello più conosciuto è probabilmente il Pinocchio di Del Toro, un film d’animazione che il regista messicano aveva in cantiere dal lontano 2008 e che era entrato in un lungo “development hell” fino all’intervento di Netflix.
Tutto cominciò nel 2010 con l’uscita del film Non avere paura del buio (Don't Be Afraid of the Dark), che Del Toro aveva co-prodotto e co-scritto. Durante il panel di Miramax, il regista si era espresso sui prossimi progetti che aveva in cantiere, tra i quali vi era proprio un film d’animazione in stop-motion su Pinocchio, film che aveva intenzione di realizzare fin dal 2008. Le principali ispirazioni per il film erano l’adattamento animato realizzato dalla Disney e i lavori di Gris Grimly, illustratore per bambini che nel 2002 aveva realizzato varie illustrazioni proprio a una nuova edizione di Pinocchio per la Tor Books. A detta di Del Toro, le animazioni sarebbero state curate dalla Jim Henson Company, studio d’animazione specializzato nella realizzazione di animatronici e diventato noto per I Muppets, mentre la colonna sonora sarebbe stata curata da Nick Cave.

L’anno successivo, Del Toro rilasciò nuove dichiarazioni riguardo il film. A dirigere il film sarebbero stati Mark Gustafson, regista e animatore di vari film in stop motion tra cui Fantastic Mr. Fox, e Gris Grimly stesso, mentre la sceneggiatura sarebbe stata curata da Del Toro e Matthew Robbins, suo lungo collaboratore. Oltre alla Jim Henson Company, la distribuzione del film sarebbe stata curata dalla casa francese Pathé. Tuttavia è già dal 2012 che si verificarono i primi cambiamenti: Gris Grimly passò dalla direzione del film alla produzione mentre Del Toro avrebbe diretto il film con Gustafson. Le animazioni sarebbero state curate dallo studio ShadowMachine e le riprese del film sarebbero iniziate nel 2013. È sempre nel 2012 che furono rilasciate le prime concept art per il film realizzate da Guy Davis, altro lungo collaboratore di Del Toro che si sarebbe poi occupato della direzione artistica del film assieme a Curt Enderle, character designer già noto nel mondo dell’animazione per Boxtrolls e L’isola dei cani
Concept art di Guy Davis
Dal 2012 in poi, non riceviamo più ulteriori notizie a riguardo fino al 2017. Durante un’intervista tenuta riguardo Trollhunters, serie d’animazione realizzata dalla Dreamworks e prodotta dal regista messicano, Del Toro dichiarò che aveva ancora intenzione di lavorare al film, ma che era stato costretto a fermare il progetto per mancanza di fondi. Nonostante i problemi finanziari, il regista è riuscito ad aggiungere un nuovo membro all’interno del team di scrittori per la sceneggiatura: Patrick McHale, creatore di Over The Garden Wall e sceneggiatore di vari episodi di Adventure Time. In quello stesso anno, durante la 74esima Mostra del Cinema di Venezia, Del Toro, in un’intervista per la rivista IndieWire, dichiarò che il film poteva ancora essere realizzato ma che era necessario un budget pari o superiore ai 35 milioni di dollari. In un’intervista rilasciata per Syfy, Matthew Robbins dichiarò che aveva provato a convincere Del Toro a far convertire il progetto da un film d’animazione in stop motion a un film d’animazione in 2D per poter rientrare nei costi ma il regista messicano aveva rifiutato fermamente la scelta. Sempre a detta di Robbins, il film in 2D sarebbe passato a Joann Sfar, fumettista francese che si era distinto nel mondo dell’animazione con il suo film The rabbi’s cat.

Nel 2018 avviene l’ultima importante svolta per la produzione del film. Netflix decide di finanziare il progetto e sostituirsi alla Pathé per quanto riguarda la distribuzione, dando così inizio ai lavori effettivi per il film.   Finalmente, dopo questa lunga e travagliata produzione, il film esce ufficialmente su Netflix nel dicembre 2022 dopo aver fatto un breve giro prima nei festival e poi nelle sale a novembre negli Stati Uniti (in Italia il film fu distribuito nelle sale dal 4 all’8 dicembre dalla Lucky Red). 
Il film da un punto di vista tecnico mostra tutte le potenzialità della stop motion sia tramite le fluide animazioni gestite da ShadowMachine sia per l’intensa cura nei dettagli che è stata data sia per quanto riguarda la scenografia sia per i vari personaggi, tutti riconoscibili e in qualche modo iconici per il loro design. Nonostante l’atmosfera e l’approccio generale del film sia anti disneyano, Del Toro è riuscito comunque a tributare l’adattamento Disney strutturando il film come un musical. La colonna sonora, composta da Alexandre Desplat, lungo collaboratore di Del Toro subentrato a Nick Cave nel 2018, dà quell’atmosfera fiabesca che rende il film fruibile anche per i ragazzi.

Fin da subito ciò che ha portato a tante discussioni è stata la resa della storia da parte di Del Toro, che ha deciso di prendersi più di una libertà artistica e ha inserito temi che sembrano non avere nulla a che fare con il romanzo di Collodi, oltre ad aver stravolto sia nella caratterizzazione che nella resa del design vari personaggi a partire dalla Fata Turchina, che nel film viene sdoppiata in ben due personaggi. Questi cambiamenti da un lato sono stati ben accolti, ma dall’altro sembrano aver causato una sorta di rigetto da una parte degli spettatori (complice forse anche il fatto che, ben tre anni prima, usciva nelle sale italiane il Pinocchio di Matteo Garrone, che seguiva un approccio molto più fedele nei confronti del materiale originale) che avrebbero preferito molta più aderenza con il romanzo. 

I cambiamenti di Del Toro possono sì risultare estranianti ma paradossalmente dimostrano come il modello e la storia di Pinocchio sia immortale e scolpita per sempre nel tempo. Il film infatti racconta sempre la storia di un burattino che diventa un bambino vero, ma vista sotto un filtro diverso. Essere un bambino vero non vuol dire avere un corpo in carne e ossa ma essere una creatura finita, destinata prima o poi a morire. La morte e la sua accettazione diventano uno dei temi principali se non il motore della vicenda stessa. 

ATTENZIONE: da questo momento in poi l'articolo contiene SPOILER sulla trama del film, incluso il suo finale

Geppetto (doppiato in originale da David Bradley) infatti è un uomo che non riesce ad accettare la perdita di suo figlio Carlo (con la voce di Gregory Mann) e arriva a creare Pinocchio (sempre doppiato da Mann) quando raggiunge uno dei picchi della sua disperazione. La scena della creazione del burattino è resa in chiave orrorifica dove sembra che Geppetto stia creando un mostro di Frankenstein, che possa in qualche modo sostituire il figlio morto. Ovviamente questo suo desiderio non viene esaudito. Pinocchio è completamente diverso da Carlo non solo per come si comporta e per la sua totale ignoranza del mondo che lo circonda ma anche per il suo essere un burattino immortale. 
Illustrazione originale di Emidio Iannone
La sua immortalità è tuttavia limitata da delle regole: può “morire” tutte le volte che vuole ma più morirà, più tempo dovrà aspettare nel limbo assieme alla Morte (Tilda Swinton) prima di poter tornare in vita. L’unico modo per sfuggire da questo circolo è infrangere le regole ed essere “punito” con la mortalità. Il motivo per cui l’immortalità di Pinocchio sia così limitata è legato paradossalmente alla sua nascita. Lo Spirito del Bosco (anch'esso con la voce della Swinton), nell’animare un oggetto che nella realtà sarebbe inanimato, ha sconvolto l’equilibrio naturale del mondo, portando così sua sorella Morte a dover ristabilire l’equilibrio con nuove regole imposte al neonato burattino. La nascita di Pinocchio è insomma legata a una regola infranta e il disubbidire alle regole sarà una tematica che verrà più volte affrontata all’interno del film. 

Fin dall’inizio però viene fatta una distinzione tra le varie regole che Pinocchio infrangerà. Le regole imposte dalla Morte sull’immortalità di Pinocchio sono create da un essere superiore e cercano di mantenere un equilibrio naturale e reale. Infrangere quelle regole porta a delle conseguenze di cui bisogna prendersi le responsabilità. Cosa completamente diversa dalle regole imposte dal regime fascista a cui Pinocchio viene costretto a sottostare nel corso del film.

Il regime fascista, oltre a essere un segno tipico dell’autorialità di Del Toro, che non è nuovo all’ambientare i suoi film durante regimi totalitari, rappresenta tutti quei momenti nella storia dell’uomo dove delle persone hanno imposto con la forza la propria volontà sugli altri, volontà che ribadiscono con forza tramite l’esercizio della paura e della violenza. La scena più emblematica di questa sottomissione forzata è quella ambientata nel “Paese dei Balocchi”, che nel film diventa un campo d’addestramento per giovani balilla. Un gioco come rubabandiera si trasforma nella simulazione di una battaglia dove i bambini devono imparare a vedere il nemico perfino nel compagno. 

Ciò rende la scelta artistica di mantenere Pinocchio un burattino per tutto il film ancora più potente ed emblematica. In un mondo dove gli uomini sono costretti a trasformarsi in burattini per sopravvivere, è quasi paradossale che a ribellarsi e disubbidire sia proprio il burattino, colui che dovrebbe essere, per definizione, legato a dei fili e da essi vincolato. Scena emblematica che esalta la disubbidienza e la ribellione è l’esibizione irriverente e comica fatta da Pinocchio davanti al Duce. In questa scena Del Toro non solo si prende gioco del regime ma sembra che il regista messicano distrugga anche la figura del Pinocchio balilla utilizzata dal regime fascista.
Ovviamente la scelta di mantenere Pinocchio burattino consente al regista di affrontare la tematica del diverso e della sua accettazione nella società. Se da un lato Pinocchio incontrerà personaggi che lo vedranno solo come una fonte di guadagno da sfruttare per soldi o per la guerra, come il Conte Volpe (Christoph Waltz), accompagnato dalla sua scimmia Spazzatura (Cate Blanchett), o il Potestà (Ron Perlman), padre di Lucignolo (Finn Wolfhard), dall’altro incontrerà personaggi che, dopo averlo conosciuto e aver trascorso del tempo con lui, impareranno ad amarlo per quello che è davvero, a partire da Geppetto, co-protagonista del film che, una volta superato il suo lutto per Carlo, capirà perché lo Spirito del Bosco aveva deciso di donargli quel burattino vivente e deciderà di crescerlo come figlio. 

Altro personaggio importante per la crescita di Pinocchio è sicuramente il grillo Sebastian J. Cricket (Ewan McGregor), che, come il grillo dell’adattamento disneyano, assume quasi per caso il ruolo di coscienza di Pinocchio ed è la voce narrante del film. Sebbene non riesca a guidare Pinocchio sulla buona strada e il più delle volte sia vittima di varie “morti” nel corso del film, Sebastian, da semplice scrittore girovago ossessionato dal successo per la sua autobiografia, finirà per affezionarsi talmente tanto al burattino che arriverà a “sacrificare” il suo desiderio, compenso per il suo ruolo di guida promessogli alla nascita stessa di Pinocchio, per riportarlo in vita, un’ultima volta. Il suo monologo finale, oltre a raccontare il resto della storia e a rimarcare la tematica della morte affrontata nel film, diventa ancora più potente con l’ultima scena, dove una pigna perfetta cade da un pino, quasi a simboleggiare come Pinocchio, dopo aver concluso il suo viaggio in giro per il mondo a seguito della morte di Geppetto e dei suoi amici, decida di diventare mortale ancora una volta. E come tutti gli esseri mortali, prima o poi non ci sono più.  


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