martedì 24 marzo 2020

La resurrezione del male (Recensione "Doom 3")

Due milioni di vendite. È questa la cifra che la idSoftware si trovò tra le mani dopo l'uscita di Doom II: Hell on Earth nell'ormai lontanissimo 1995. Tuttavia, diversamente da quanto si potrebbe pensare, questo enorme successo non portò la casa di sviluppo a metterne in cantiere un terzo capitolo, preferendo dedicarsi ad un progetto già in mente da tempo, Quake, che diventerà l'altro grande successo della società di Shreveport. 
Dovranno passare ancora cinque anni per ritornare a piazzare sotto i riflettori la saga di Doom, con la volontà di riprendere in mano una concezione videoludica nuovamente incentrata sul single-player a discapito del multi che aveva sancito nella quasi sua totalità globalità il gameplay di Quake III Arena. Nel giugno del 2000, infatti, John Carmack, il creatore del cosìdetto Doom Engine, si dimostrò interessato a realizzare un remake della serie, senza utilizzare il recente motore grafico di Quake, ma realizzandone uno nuovo e rivoluzionario per l'occasione. In seguito ad una leggera diatriba tra i membri della casa di sviluppo, risoltasi dopo aver visto ed apprezzato i risultati della tecnologia di rendering di Return to the castle Wolfenstein, Doom III inizia la sua fase embrionale. Nella primavera del 2002, alla consueta E3 di Los Angeles, il gioco viene presentato al pubblico in un gameplay di 15 minuti della versione beta, riscuotendo un enorme successo, aggiudicandosi ben cinque premi alla conferenza.
Dopo varie vicissitudini, tra cui una “cattiva gestione di tempo e denaro” da parte di Trent Reznor, frontman della band industrial Nine Inch Nails, originariamente sotto contratto per la composizione della colonna sonora, il gioco raggiunge la fine del suo sviluppo il 14 luglio del 2004, raggiungendo gli scaffali del Nord America nel mese successivo, andando incontro ad un enorme successo planetario di pubblico e critica.  Nonostante ciò i “die harder” fan della saga storsero (e continuano a storcere tutt'ora) non poco il naso a causa dell'impostazione meno frenetica dei capitoli precedenti, ma ben più pacata ed incentrata sulla storia, elemento praticamente inedito della saga, inerendo questo capitolo sui binari del survival horror, dove la paura e la tensione offuscano quello che era il totale caos di sangue e proiettili che caratterizzava i primi due episodi. 
Tutto diventa molto più in linea alle esigenze videoludiche dell'epoca (ricordandoci che ci troviamo all'interno di un nuovo boom nell'industria dei videogiochi, indirizzata verso lo scontro a due fra Playstation ed Xbox), puntando su un attenzione quasi fotorealistica del comparto grafico, definito “senza eguali” dalla critica entusiasta, grazie anche al dinamismo delle texture e dell'illuminazione di fondo, rivoluzionaria per i primi anni del nuovo millennio e figlia del nuovo Id Tech 4 creato per l'occasione; basti pensare, infatti, che la quantità di dati di Doom III è ben 130 volte superiore quella di The Ultimate Doom a testimonianza dell'enorme progresso tecnologico raggiunto nel corso degli anni.
Questo capitolo si rivelerà anche di grande successo in ambito “intermediale”. L'anno dopo, infatti, esce nelle sale cinematografice Doom con Dwayne Johnson tra i protagonisti, progetto già avviato dopo il successo di Doom II, realizzatosi definitivamente grazie all'approccio più realistico e, d'altronde cinematografico, dell'episodio tre...

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