domenica 22 marzo 2020

L'icona del peccato (Recensione "Doom 2")

Non ci volle più di un anno per far sì che "Doom" ricevesse il suo tanto meritato sequel, un secondo capitolo capace di consolidare la sua eredità videoludica cercando non di superare il suo predecessore, bensì di ampliarlo, completarlo, adottando le stesse meccaniche senza apportarne sostanziali novità, pur andando a donare ai giocatori accaniti ed innamorati del padre degli fps horror un'esperienza completamente nuova che potesse andare a colmare il vuoto che l'epilogo del primo capitolo aveva creato. Un arduo lavoro in cui, dire che "Doom 2" ha eccelso, è un eufemismo.
Se da un lato, quindi, vediamo come il gioco mantenga stesso gameplay, grafica ed engine, id Software, ed in particolare i level designers Sandy Petersen e American McGee, hanno approfittato delle potenzialità che offrivano i nuovi modelli di computer nel mercato che permettavano al team di sbizzarrirsi di più senza dover andare ad aggiornare l'engine. I livelli, grazie al maggior spazio disponibile ed alla maggior fluidità dei livelli disponibili, quindi, divengono ancora più intricati, cervellotici e labirintici, rendendo il muoversi tra i corridoi pieni di nemici un'esperienza ancora più complessa e, allo stesso tempo, donando alla visione della porta di fine livello un significato decisamente maggiore. Anche i caricamenti vennero resi più felici, con il gioco che, de facto, si prolunga in una sola grossa mappa segmentata in diverse location, abbiandonando la grafica della mappa del primo capitolo permettendo, però, di non perdere il primo inventario ad inizio di ogni nuovo livello.
Queste possibilità di una memoria maggiore, ovviamente, influirono anche sulla scelta dei nemici: i boss del primo gioco vennero ridotti a semplici nemici (o miniboss) mentre, affianco ai soliti Imp o Pinky, vennero aggiunti nuovi mostri: i Chaingunner (zombie pesantemente armati), gli Hellknight (una versione più debole dei Baron of Hell), i Revenant (scheletri con lanciafiamme montati sulle spalle), gli Arachnotron (ragni cybernetici), i Mancunbus (enormi demoni umanoidi con innesti tecnologici), i Pain Elemental (simili ai Cocodemon) e gli Arch-Vile (esseri umanoidi con stigmate capaci di generare fiamme), oltre al maestoso boss finale del gioco, iconico quasi quanto il gioco stesso, L'Oscuro, Il Custode, L'Icona del Peccato: John Romero. In un geniale easter egg, non il solo di questo titolo per giunta, infatti, l'hitbox nascosta del boss finale assume le sembianze della testa decapitata, impalata e sanguinante del cofondatore della software house di "Doom", nonché suo designer.
La trama, per quanto possa contare in un titolo come "Doom 2", vede il Doom Guy (o Doom Slayer) sopravvissuto agli eventi del primo capitolo riuscire a fermare l'attacco dei demoni ed ad uscire dall'Inferno. Prima di poter cantare vittoria, però, apprende che un portale per l'Inferno si è aperto e che l'umanità è stata dimezzata. I sopravvissuti tentano, quindi, un folle piano d'emergenza che consiste nel mandare i sopravvissuti nello spazio per iniziare da zero, ma, i demoni, hanno assediato la facility che permetterebbe l'operazione. Pronto a tutto, il Doom Slayer, torna a far strage di demoni e abomini vari per salvare l'umanità intera, tra la Terra e la dimensione infernale.
Se la trama non fu uno dei motivi che spinsero i videogiocatori dell'epoca ad acquistare il titolo, lo fu la possibilita di poter giocare in multiplayer, locale e non, sia in co-op che in scontri deathmatch, una funzione che venne aggiunta postuma anche al primo "Doom" visto il successo e che allargò ulterioremente le porte al modding che, ora, poteva pensare di creare nuove esperienze e mappe intesi per il multiplayer. Se, al giorno d'oggi, sembra un elemento abbastanza scontato in un fps, va però ricordato che questo fu il primo titolo nella storia del genere ad aggiungerlo, avviando il filone che ha portato ai moderni "Call of Duty" o "Battlefield" e riconfermando la saga di "Doom" come un tassello fondamentale nella storia videoludica.
Tornando al discorso degli easter eggs, tralasciando la presenza delle SS di "Wolfenstein" e di Commander Keen nel gioco, in omaggio ad altri due titoli della id Software, ed il macabro fucile a canne mozze posto all'inizio del livello "Nirvana" per ricordare il suicidio del frontman dell'omonima band, Kurt Cobain, sparatosi proprio con lo stesso modello di fucile in bocca lo stesso anno, ben 24 anni dopo l'uscita del titolo, uno speedrunner conosciuto col nickname di Zero Master, ha scoperto l'ultimo segreto del gioco: nella mappa della zona industriale un livello è contrassegnato come individuabile, ma questo non pare il caso. L'idea geniale del giocatore è stata, quindi, quella di non cercare di recarsi direttamente nel luogo indicato, bensì, di farcisi spingere da un nemico, in particolare da un Pain Elemental. Una trovata geniale che gli ha garantito non solo di essere il primo giocatore al mondo capace di aggiudicarsi il completamento al 100% del livello e del gioco senza mezzi esterni (hack), ma anche i complimenti via Twitter di John Romero in persona.
Il successo del titolo, oltre che, quindi, durare fino ai giorni d'oggi, fu il più grande successo commerciale dell'id Software, nonchè primo titolo venduto in copia fisica dei negozi dell'azienda, con oltre 2 milioni di copie vendute e una critica uniformemente positiva. Nel 1995, addirittura, il gioco si aggiudicò l'Origins Award come miglior gioco di tipo fantasy o science fiction del 1994. Tenendo a mente ciò, ovviamente, un'espansione non sarebbe potuta mancare.

Mentre la software house lavorava al loro prossimo successo, fondamentale nello sviluppo di "Half-Life", "Quake", Shawn Green decise di creare una compilation di livelli ufficiali, sulla falsariga di quelle che riscuotevano tanto successo sul web e sulla piattaforma DiZone, assoldando alcuni dei migliori level design presenti nella scena dell'epoca: John W. Anderson e Tilli Willits (reduci di "The Ultimate Doom", espansione del primo titolo), Jim Flynn, Tom Mustaine, David Kilie, Sverre Andre Kvernmo e Cristen David Klie. I sette progettarono 21 livelli aggiunti per il titolo, distribuiti assieme a 1830 mappe amatoriali diffuse nel web ad attentamente selezionate.
"Doom 2" fu, insomma, un colosso, capace di ergersi al fianco del suo capostipite con fierezza, gettando ulteriori basi a quello che era il nascente genere degli fps in prima persona e del panorama di giochi horror in generale.

Ma, un secondo seguito, avrebbe potuto regger testa a tale eredità? Scopritelo nel prossimo articolo... 

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