sabato 14 marzo 2020

I macabri segreti di Ravenhearst (Recensione "Ravenhearst Trilogy")

Nel non troppo lontano 2005, usciva il primo titolo di una serie videoludica che sarebbe divenuta molto conosciuta, chiamata Mystery Case Files. La serie sarebbe diventata tra le più conosciute del genere HOG, acronimo di Hidden Object Game (Giochi di Oggetti Nascosti), che consiste nel trovare degli oggetti in un scenario secondo una lista che appare sullo schermo. Nel  2008 in poi, la serie diventò un HOPA, acronimo di Hidden Object Puzzle Adventure (Avventura Punta e Clicca con Oggetti Nascosti), che consiste, nell’appunto, di avventure punta e clicca in prima persona con componenti tipici del genere HOG. 
Probabilmente nessuno di voi avrà mai sentito questa serie prima di adesso, infatti essa è più in voga negli Stati Uniti, tanto da ricevere ben due titoli per console durante i suoi anni di splendore: Millionheir per il Nintendo DS, e The Malgrave Incident per la Wii, rispettivamente nel 2008 e nel 2011.
Ma oggi non parleremo di tutta la serie ma ci concentremo sull’arco narrativo che la rese famosa, ossia Ravenhearst. Ma prima di iniziare, voglio precisare una cosa: mi concentrerò solo sui primi tre capitoli di Ravenhearst, poichè sono gli unici che sono stati sviluppati da Big Fish Studios, ossia i programmatori originali dell’intera serie. La serie è passata da sviluppatore in sviluppatore, e uno di loro sviluppò due capitoli finali di quest’iconica saga, ma non erano minimamente all’altezza della meraviglia dei primi tre capitoli quindi non li considero nemmeno canonici dato che, il terzo capitolo dà conclusione alla storia già di suo. Detto questo, possiamo iniziare!

Il gioco dal quale è iniziato l’arco è Ravenhearst, uscito nel 2006 e come i due giochi precedenti della serie MCF, si concentra solamente su un gameplay a base di oggetti nascosti, ma sarebbe stato il primo titolo ad avere una serie di puzzle ispirati ai macchinari di Rube Goldberg, che da quel momento in avanti avrebbe caratterizato tutti i giochi della serie.  La trama riguarda un detective che viene mandato dalla stessa regina d’Inghilterra a recuperare delle pagine di diario nel maniero Ravenhearst, nella città di Blackpool. Questo diario è stato scritto da una donna che sembra aver abitato in questa spettrale villetta, ora abbandonata. Il gioco è costituito da venti livelli, e al compimento di ognuno il giocatore riceverà una pagina del diario per ricostruire i sinistri eventi di quelle mura abbandonate. 
Il gioco è particolarmente semplice e può essere un buon passatempo se vi piacciono gli Oggetti Nascosti, ma se invece non ne siete dei fan, potrebbe stancarvi già dopo qualche livello. Nonostante il gioco sia uscito nel 2006 è invecchiato molto male: gli scenari sono fatti male, con oggetti copia-incollati sulle scene e ambienti che non sembrano nemmeno far parte della villa. Insomma, una cosa così poteva andare bene per quel tempo, ma ora non è accettabile e può risultare anche imbarazzante a causa del mancato lavoro sull’ambientazione.

Ma è nel 2007 che Ravenhearst e Mystery Case Files hanno una svolta incredibile con il sequel, intitolato Return to Ravenhearst: il primo capitolo di Mystery Case Files ad essere un'avventura in prima persona, il primo ad avere attori che interpretano personaggi, e il primo in cui la trama era più contorta e meno basata sul gameplay. Il detective torna a Ravenhearst dopo aver scoperto che la storia di Emma Ravenhearst era solo l’inizio del suo incubo, poichè scopre che esistono altre anime da liberare nel maniero, e questa volta sarebbe stato più complicato liberarle. Questa volta non esploreremo solo l’edificio abbandonato, anzi, la maggior parte del tempo la passeremo in delle costruzioni sotterranee davvero agghiaccianti e terrificanti, create con lo scopo di torturare le tre anime imprigionate. 
Il gameplay del gioco, come accennato prima, è punta e clicca con molti elementi Hidden Object, che nel primo capitolo erano al centro del gameplay. Anche in questo caso esistono molti puzzle alla Goldberg, che come in Ravenhearst, risultano interessanti e coinvolgenti. Gli scenari sono stati fatti meglio e con più cure, rendendo molto più accattivante il gioco con quelle tetre e sinistre atmosfere, che garantisco vi metterano i brividi; inoltre, le scene del gioco hanno angolature molto cinematografiche e inclinate, quasi come ad incutere la paura che un buon film dell’orrore può dare, specie con alcune scene in cui sono presenti gli attori. 

Se nel primo capitolo la presenza di Oggetti Nascosti infastidisce vista il loro essere semplici e focus dell’intero gioco, in questo secondo capitolo risulta spesso necessario fermare il gioco svariate volte perchè sono semplicemente troppi e molto difficili: quasi ogni stanza è piena di oggetti nascosti, non lasciandoti quasi il tempo di pensare al progredire. Addiritura, nella parte finale del gioco, bisogna farne ben VENTI di scene così, tutte assieme, una dietro l’altra.  L’antagonista del gioco, che non svelerò per non fare spoiler in caso lo vogliate giocare, è più presente in questo capitolo che nel primo. Le sue motivazioni sono interessanti e nonostante sia definito un “pazzo”, cosa che effettivamente è, tutte le torture e i macchinari fanno parte dello stesso desiderio che prova ognuno di noi: trovare la possibilità di essere immortali. Ci riuscirà? Questo sta a voi scoprirlo!
Passiamo al terzo ed ultimo gioco di questa trilogia, Escape from Ravenhearst, uscito nel 2011. Per la prima volta nella serie di MCF, alcuni ambienti sono in 3D, anche se l’elemento punta e clicca rimane invariato. La storia forse è quella più contorta e malata dell’intera serie: dopo che alcuni cittadini sono scomparsi dalla città di Blackpool, il Master Detective deve tornare a Ravenhearst, ormai distrutta, convinto che dietro queste sparizioni ci sia lo zampino del suo arcinemico. Ma il protagonista rimane vittima di una trappola e si ritrova in una stanza con cinque porte, e deve letteralmente ripercorrere la vita del suo nemico, dalla nascita fino alla morte in cinque edifici sotteranei, uno più orribile dell’altro. Queste strutture simboleggiano i luoghi più importanti per l’antagonista: il terrificante ospedale in cui è nato, la casa dove soffrì di vari abusi da sua madre, il gelido istituto psichiatrico, il suo inquietante matrimonio e infine, il tremendo maniero Ravenhearst. Ogni luogo presenta degli indovinelli subdoli e il protagonista sarà portato a dover compiere dei gesti che, seppur non siano effettivamente reali, lo faranno sentire inoriddito diffronte a tali scene ripugnanti.
Il gameplay rimane simile a quello del secondo gioco se non con dei miglioramenti, come la diminuzione e il cambiamento degli Oggetti Nascosti, in cui non bisogna più trovare degli oggetti su una lista ma trovare gli oggetti che cambiano forma, e sono meno presenti e più rilassanti rispetto a quelli di Return to Ravenhearst. Questa diminuzione fa sì che si ci concentri molto più a su come si deve andare avanti e a risolvere indovinelli e problematiche che a pensare continuamente a trovare degli oggetti. Anche lo scenario cambia notevolmente, con l’aggiunta di qualche scenario in 3d che rende tutto più dinamico. Escape from Ravenhearst non è solo il miglior capitolo di Ravenhearst, ma anche della serie in generale. Gameplay, trama e ambientazione non hanno particolari difetti sennò che questa volta, la presenza degli attori stonava un po’ in alcune scene, ma non è chissà che difetto. Il finale del gioco è ottimo già da sè, lasciando una piccola porticina aperta per la produzione di altri capitoli, che effettivamente sono stai prodotti, ma per i motivi elencati ad inizio post preferisco pensare che sia la fine dell’arco di Ravenhearst.
Per riassumere, i tre giochi di Ravenhearst sono molto diversi tra loro ed ognuno c’ha pregi e difetti diversi, ma è una serie che si lascia giocare e sono sicuro che la potrebbe interessarvi, grazie ai scenari da urlo che danno un senso di malinconia e disagio e alla storia terrificante e inquietante.

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