martedì 7 gennaio 2020

Manifesto cannibale (Recensione "Antropophagus")

Cannibali di città e di campagna               
Dell’importanza ed influenza di Cannibal Holocaust nel genere horror italiano ne abbiamo già parlato nella nostra recensione di Apocalypse Domani di Antonio Margheriti. A cavallo tra gli anni 70’ e gli anni 80’ il cannibal movie si trovava nel suo periodo di maggior splendore, con ben otto pellicole uscite fra il 1978 ed il 1981 le quali, ovviamente, hanno fatto del gore il loro principale “punto espressivo”.  La maggior parte di questi film hanno in comune un utilizzo quasi documentaristico degli ambienti naturali che circondano i loro protagonisti , molto spesso foreste amazzoniche da far diventare il regno del terrore di spietate tribù indigene affamate di carne umana. Tuttavia, come sempre, ci sono le eccezioni. Se anche il film di Margheriti era già inusuale per la sua ambientazione urbana/bellica, Arisitide Massaccesi, in arte Joe D’Amato, ne girerà uno altrettanto insolito, unendovi insieme le caratteristiche dello slasher che tanto stava andando di moda in quel periodo.  Da un soggetto dello stesso Massaccesi e di Luigi Montefiori, meglio noto come George Eastman, il quale scriverà anche la sceneggiatura oltre che recitare nel ruolo del “mostro”, nasce Antropophagus, che diventerà, anche grazie alle sue sequenze estremamente cruente, una delle pellicole simbolo dello “splatter” all’italiana.
Breve sinossi                                                     
Un gruppo di giovani turisti decide di trascorrere le proprie vacanze in una piccola isola nell’arcipelago greco, apparentemente tranquilla. Non sanno che qualche giorno prima quella stessa isola è stata il teatro dell’omicidio di una giovane coppia, trucidata da un misterioso assassino, con un debole per il dolce sapore della carne umana...

L’importanza delle sequenze                  
Partiamo subito con un aneddoto. Il film è stato profondamente massacrato dalla censura di mezzo mondo a causa di alcune sue particolari sequenze considerate eccessivamente forti e pesanti. Quasi paradossalmente il film trova nelle sue scene più crude (e qui parliamo di scene veramente crude) il suo culmine oltre che il fulcro del suo successo negli anni avvenire. E’ indubbio che D’Amato decida di premere forte su questo aspetto (rispettando d’altronde il suo stile) senza perdersi in eccessive caratterizzazioni o introduzioni superflue. Non è un caso che il film inizi mostrando la morte dei due malcapitati turisti  tedeschi con tanto di mannaia conficcata in faccia, utile per far capire allo spettatore quale sarà il tono generale che il film manterrà nel corso dei suoi 89 minuti.  Tuttavia, non staremo qui ad elencare tutte le sequenze più violente, anche perché sarebbe poi alquanto inutile vedere il film. Dall’altro lato, sappiate che nel Regno Unito sono state censurate tutte le sue scene forti, trasformando il film, probabilmente, in un cortometraggio.
Gli aspetti tecnici                     
Per la maggior parte delle pellicole horror di genere del tempo, la tecnica non è mai stato un fattore eccessivamente “importante”. Non si vogliono cercare virtuosismi particolari, piani sequenza mozzafiato o scelte di montaggio geniali. Basta una regia quadrata e un certo gusto nell’inquadratura in grado di supportare l’effetto speciale (questo sì curato in maniera maniacale) che la scena richiede. In Antropophagus assistiamo proprio a questo. Il regista romano, totalmente dedito al cinema di genere, decide di non osare eccessivamente, ma, appunto, di far parlare il sangue, le viscere, la carne, ovvero i veri protagonisti del film. L’asticella della tensione si mantiene comunque alta, grazie anche alla sporchissima fotografia di Enrico Biribicchi, in grado di evidenziare al meglio le bianche rovine del paesaggio greco, la polvere della grande mansione abbandonata, e lo sporco che ricopre i vetri delle abitazioni, impedendo di ammirare il bellissimo panorama marino, aiutato anche dall’insolita idea di girare il film in 16mm, convertito successivamente a 35mm, per le proiezioni in sala.  Ottima persino la colonna sonora del veterano Marcello Giombini, qui a una delle sue ultime apparizioni nella settima arte, mai invadente (ed utilizzata in misura molto ridotta) e posizionata perfettamente nelle scene più simboliche.
L’eredità                                                        
Come numerosi altri film horror prodotti nella nostra penisola Antropophagus si è ritagliato il ruolo di cult assoluto nella cerchia di appassionarti del genere soprattutto, ahimé, stranieri. Il regista tedesco Andreas Shnaas, grande appassionato del cinema di genere italico (a discapito di una tecnica cinematografica poco invidiabile), ne girerà un remake nel 1999 dal titolo Antropohagus 2000, ambientato non in Grecia, ma a Borgo San Lorenzo, in provincia di Firenze. E chissà se forse non ne riparleremo in futuro, sempre qui, su Horror Moth...
Articolo di Andrea Gentili

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