sabato 7 dicembre 2019

Il film segreto a Disneyland - Orrori nel posto più felice del mondo (Recensione "Escape from Tomorrow")

"È un film che non dovrebbe esistere sotto ogni definizione razionale. 
Eppure... non solo esiste, ma è anche affascinante."
(-Drew McWeeny)

Esistono diversi tipi di filmmaking, alcuni più convenzionali e pratici, altri basati su scelte stilistiche ben ragionate dai registi. Una delle tecniche più controverse, ma sotto alcuni aspetti più affascinanti, è il cosiddetto Guerrilla Filmmaking, una tecnica che consiste nel girare un film con un budget o assai ridotto o praticamente inesistente. Uno degli esempi più latenti di regista guerrilla è certamente Ed Wood, che per girare uno dei suoi film rubò il prop di un polpo per una scena, non avendo i fondi per comperarne uno. Altro esempio degno di esser citato è Lloyd Kaufman, regista e fondatore della Troma, che ha addirittura scritto due saggi a riguardo: ''All I Need to Know About Filmmaking I Learned From Toxic Avenger'' e ''Make Your Own Damn Movie'' dove loda sia il guerrilla filmmaking che la pirateria. Addirittura il regista Spike Lee, nel suo debutto direttoriale del 1986 ''She's Gonna Have It'', approcciò questa tecnica, ripresa in maniera palese dalle attrezzature non professionali della saga di Paranormal Activity. Spesso, però, non è soltanto il budget a mancare, ma anche i permessi per le location: i registi sono, quindi, costretti a girare di nascosto, ignorando spesso e volentieri sia la legge che i protocolli di sicurezza.

Il film che è stato definito dalla critica il Guerrilla Movie definitivo è lo statunistense del 2013 ''Escape From Tomorrow'' dell'esordiente Randy Moore. Il film, presentato al Sundace Film Festival e proiettato nella quindicesima selezione personale di Roger Herbert a Champagne, nello stato dell'Illinois, una pellicola surrealista che rimanda a Polanski e Lynch, ambientata in un parcogiochi, ma non uno qualsiasi, bensì ''nel posto più felice del mondo'', ovviamente senza alcun tipo di permesso: Disneyland.
La trama gira attorno a Jim White (Roy Abramsohn), un padre di famiglia appena rimasto disoccupato e fortemente frustrato dalla sua vita, che si ritrova, volente o nolente, ad accompagnare la moglie Emilia (Helena Schuber) e i figli Sara ed Elliot (Katelyn Rodriguez e Jack Dalton) a Disneyland. Durante il soggiorno, l'uomo inizierà a seguire due avvenenti giovani francesi (Danielle Safady e Annette Mahenoru) finendo per scoprire il lato oscuro del parco in un assurdo viaggio che lo porterà a perdere sé stesso e in cui i suoi stessi ricordi, le sue convinzioni e la sua intera vita saranno messi in dubbio da ciò che si nasconde dietro la colorata e vivace facciata del parco, tra inquietanti animatronics, principesse che si prostituiscono a ricchi asiatici, esperimenti privi di ogni genere di etica e misteriose malattie. Quindi, qual è il prezzo della felicità?

Il regista, Randy Moore, è nato a Lake Buff, nell'Illinois e la sua infanzia è costellata da ricordi legati a Disneyland, dove il padre, con cui nel tempo ha perso i rapporti, era solito portarlo; si è laureato alla Full Sail University e una volta adulto, dopo aver letto la biografia di Walt Disney di Neal Gaber, ha iniziato ad accompagnare anche lui i suoi figli nel parco. Da subito ha percepito una sorta di connessione col luogo, mentre i ricordi d'infanzia riaffioravano, cosa che però non accade alla moglie, originaria dell'Unione Sovietica, che osserva le attrazioni disincantata. Nella sua ricerca della reale identità del legame che sente avere con Disneyland, Randy ha deciso di girare questo film, ma ovviamente Disney non avrebbe mai permesso le riprese di un film horror all'interno di un suo parco, perciò come venire a capo della situazione?
''Per me è il futuro: videocamere nelle tue mani, occhiali che riprendono... chiunque può girare in qualsiasi momento, e penso esploderà''. Così, armato di una Canon EOS 5D Mark II e una Canon EOS 1D Mark IV, iniziò le riprese con la sua crew: ''dobbiamo aver camminato per il parco almeno otto o nove volte durante molti giri di recognizione prima ancora di iniziare a girare'', racconta. L'intero cast ha dovuto comprare abbonamenti sia per Disney World in Florida, dove hanno speso dieci giorni, che per Disneyland in California, dove si sono fermati per due settimane. In questo modo il parco rappresentato risulta come una fusione dei due e sono riusciti a non dare troppo nell'occhio. Per non rischiare di essere beccati Moore costrinse la sua crew a rasarsi e a mettere vestiti tipici da turista, e ciò scatenò un ammutinamento da parte della stessa, e nonostante gli attori indossassero gli stessi vestiti ogni giorno la sicurezza del parco non li ha mai fermati, tranne un giorno, verso la fine delle riprese, quando vennero scambiati per dei paparazzi che cercavano di riprendere in segreto una star presente nel parco. A causa dell'incapacità del regolare la luce dovettero studiare perfettamente le condizioni metereologiche e la posizione del sole, ma per garantire un risultato omogeneo, Moore decise di filmare il film in bianco e nero: ''Giravamo con lenti molto veloci e completamente aperte, così la nostra profondità di campo era sottile come un rasoio. Il bianco e nero ci ha aiutato enormemente con la messa a fuoco e la composizione [...] la scelta è irreversibile, perché la 5D non riprende il raw, e avendo settato le impostazioni per il monocromatico non saremmo potuti tornare al colore nemmeno volendolo'', racconta Moore soddisfatto comunque del risultato finale ancora più onirico e surreale di quanto si aspettasse.

Per paura che il progetto venisse bloccato, Randy andò in Sud Corea per editare e montare il film, ingaggiando la stessa agenzia che nel 2006 aveva curato gli effetti di "The Host". Una volta tornato in America, mantenne la pellicola segreto al punto che nemmeno al Sundace, durante l'anteprima, era concesso agli spettatori di rivelare il nome del parco all'interno del quale il film era ambientato. Questo portò anche alla scelta di non proiettarlo al Polly Grind Film Festival del 2012. Nonostante i timori del regista, il film venne distribuito al cinema e in digitale dalla PDA, un'azienda della Cinetic Media Company, l'11 Ottobre 2013, senza alcuna querela da parte di Disney, che addirittura aggiunse una entry per il film nella sua enciclopedia ufficiale, dimostrando come seppur consapevole della sua esistenza abbia semplicemente scelto di ignorare il tutto.
Secondo l'esperto di legge Tim Wu della Columbia Law School: ''il suo uso di Disneyworld non è una semplice cornice; lo trasforma in qualcosa di perturbante e disgustoso - un posto dove, per esempio, gli ospiti vengono colpiti col taser per purgare la loro immaginazione... Sarebbe stata una rivelazione se Moore avesse creato un film adatto a chi volesse visitare Disney World ma fosse stato troppo pigro per andare fino in Florida. Escape From Tomorrow, comunque, non è chiaramente un sostituto al pagamento del biglietto del parco''. Peter Sciretta, d'altro canto, critica come abbia ripreso passanti senza il loro consenso e senza averli messi al corrente di far parte di un film.

Il film non è però il primo Guerrilla Movie a prender luogo tra le mura di Disneyland; infatti, già nel 2010 l'artista Banksy, accompagnato dal coregista Shepard Folrey e dall'amico street artist Mr. Brainwash, aveva girato proprio lì una scena del suo documentario "Exit Through the Gift Shop"e alcuni anni più tardi Jeremiah e Josh Daws avevano girato un corto found footage, divenuto virale e rilasciato il 29 ottobre 2012, all'interno della Haunted Mansion di Disneyland dal titolo "Missing in the Mansion", dove viene esplorata la presunta, inquietante e misteriosa, sparizione dei tre ragazzi proprio all'interno dell'attrazione avvenuta il 6 luglio del 2012.
Banksy vestito da prigioniero di Guantanamo a Disneyland
Randy è riuscito, però, a creare un film unico nel suo genere, difficile da concepire e da realizzare. Basti pensare che il montatore del suono è stato costretto ad ascoltare le registrazioni di intere giornate di dialoghi nel parco, ottenute tramite un microfono attaccato con del nastro adesivo al corpo degli attori costantemente in funzione, in cerca delle battute del film e che gli attori erano costretti a leggere il copione dallo schermo di un iphone per non destare sospetti. Solamente alcune scene al chiuso vennero realizzate in un soundstage con l'aiuto di un green screen ed alcune canzoni del parco, fra cui ''It's a Small World'' (di cui la crew fu costretta a girare l'attrazione per dodici volte di fila), sostituite con composizioni originali di Abel Korzeniowshi ispirate alle soundtrack del cinema hollywoodiano anni '50.

Nonostante però l'estrema dedizione e la cura dimostrata dal regista, il film risulta comunque confusionario, quasi sconclusionato, pieno di momenti nei quali lo spettatore perde il filo di una trama non realmente esplicata, tra sequenze, seppur suggestive, a tratti noiose e logoranti. Un'esperienza unica, affascinante e con il suo appeal, che, però, pecca comunque a livello oggettivo, riuscendo a classificarsi come un film mediocre se non fosse per la sua realizzazione e la sua ambientazione, cardine principale del suo successo di nicchia, riconosciuto anche dalla stessa Disney.
Se, nonostante tutto, si può dire che questo sia stato un successo nella guerrilla filmmaking, lo stesso non si può dire per un altro film, un biopic del 2013 di Randal Miller e Judy Savin: ''Midnight Rider: the Gregg Allman Story'', dove l'azzardo di questa tecnica è costato una vita umana. 

CONTINUA...

Articolo di Robb P. Lestinci e Iris Alessi
Revisione di Giulia Ulivucci

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