martedì 1 ottobre 2019

Il rischioso passaggio dalla carta alla celluloide - Il cinecomic made in Italy (Recensione "Diabolik")

Il connubio “cinema-fumetto” è sicuramente il tema cinematografico del momento. Basti pensare che dal 2008 (anno di uscita del primo “Iron Man” di Favreau) sono uscite ben 23 pellicole tratte dagli albi Marvel, componendo quello che verrà poi definito il “Marvel Cinematic Universe. Non si era mai visto, probabilmente, un numero di film così elevato in un arco di tempo talmente ristretto, una cosa che ha contribuito, inevitabilmente, ad intaccare la qualità di alcune delle pellicole della saga.

È indubbio che, prima di questo boom clamoroso, i cosìdetti “cinecomics” venissero realizzati con una mano più “cinematografica” e quindi meno seriale, in quanto meno “succubi”  di quelle logiche di mercato alle quali assistiamo oggi, con l'esclusivo obiettivo del guadagno facile. Vien da sé che questo modo di trasporre il fumetto sul grande schermo garantiva tempi di produzione più elevati e, di conseguenza, film di qualità più alta.T Tralasciandoi grandi classici statunitensi come i Batman di Barton (qui trovate la nostra recensione di “Batman – Il Ritorno) o la bellissima trilogia di Spiderman diretta da Sam Raimi, degli esempi di “cinefumetto” di qualità sono riscontrabili anche nel nostro cinema. 
Nel 1966 il regista maremmano Umberto Lenzi gira “Kriminal”, film ispirato all'ominimo fumetto creato da Max Bunker, che darà origine ad un seguito l'anno successivo, “Il marchio di Kriminal” diretto da Fernando Cerchio, mentre nel 1968 Piero Vivarelli porta sul grande schermo un'altro personaggio di Bunker, “Satanik”, che tuttavia deluse e non poco l'autore.

Ma è nello stesso anno che Dino De Laurentiis decide di acquistare i diritti di “Diabolik”, per una trasposizione cinematografica inizialmente affidata a Tonino Cervi che, a causa di divergenze con la produzione stessa, viene licenziato dopo una settimana. Nel frattempo Corrado Farina (che nel 1973 dirigerà un altro cinefumetto italiano, “Baba Yaga”) inizia a collaborare con le sorelle Giussani ai fumetti del personaggio, e si offre per la regia della pellicola, venendo rifiutato per la poca esperienza. Sarà lui stesso a fare a De Laurentiis il nome di Mario Bava, una scelta che si rivelerà perfetta, vista la grande capacità del cineasta romano di realizzare effetti speciali convincenti anche a fronte di un budget ridotto. 
Il film esce nelle sale il 24 Gennaio 1968, dopo una produzione piuttosto travagliata, con il regista costretto a discutere con De Laurentiis per l'inserimento o meno delle scene più violente del fumetto, e con l'attore protagonista John Philip Law, considerato poco adatto per la parte. 

La trama del film prende ispirazione da tre albi storici della collana editoriale, “Lotta disperata”, “L'ombra della notte” e “Sepolto vivo!”: L'ispettore Ginko (Michel Piccoli), ossessionato dalla figura del famigerato ladro Diabolik (John Philip Law), decide di scendere a patti con Valmont (Adolfo Celi), uno spietato Gangster messo alle corde dalla polizia, che si offre per catturare il celebre criminale, il quale continua a seminare il panico un furto dopo l'altro, aiutato dalla bellissima Eva Kant (Marisa Mell).
Analizzando la pellicola dal suo lato puramente estetico, prima ancora che tecinco, l'occhio di Bava è riconoscibile in ogni inquadratura, con un attento utilizzo dei cromatismi (aspetto caro al regista), che caricano il film di un'atmosfera pop, che vanno, in un certo senso, a reinventare un personaggio che nel fumetto era caratterizzato da un tocco lugrube e misterioso (una chiara testimonianza dell'adozione di questo stile si ha nella bellissima scena in cui gli uomini di Valmont assemblano l'identikit di Eva Kant, con una successione di immagini animate colorate e psichedeliche). 

Dal punto di vista prettamente tecnico Bava utilizza un montaggio particolarmente serrato nelle scene d'azione (soprattutto nelle scene di inseguimento), accompagnato dalla scelta registica di alternare i primissimi piani e dettagli ai campi medi e lunghi ogni qual volta vengono messi in scena le notevoli (e apparenti) scenografie, funzionali solo attraverso giochi di prospettiva, con immagini poste di fronte alla macchina da presa (lo stesso Law, rimase spaesato nel vedere il set vero e proprio completamente scarno). Sebbene l'origine fumettistica del film renda la sua struttura abbastanza frammentaria, quasi fosse un film ad episodi, il ritmo è serratissimo, con dosaggio perfetto di tensione e suspense.
Certamente qualche personaggio inciampa in delle caratterizzazioni eccessivamente stereotipate, come quello di Valmont, in cui Adolfo Celi sembra riprendere il suo ruolo globalmente più famoso, ovvero quello di Emilio Largo, villain di “Thunderball” il quinto film della saga di 007 ed interpretato da Sean Connery. 

Il paragone con i film di 007 non è casuale, in quanto sono riscontrabili numerosi analogismi con i film sulla spia britannica (una cosa che aveva caratterizzato anche il “Kriminal” di Lenzi), un aspetto dovuto causato dal successo che stavano avendo in quel periodo i plagi  nostrani come “Agente 077, missione Bloody Mary”, del 1965 o “A 008, Operazione Sterminio” dello stesso anno e diretto sempre da Umberto Lenzi. 
Un aspetto questo che sicuramente non intacca la qualità di un notevole film di spionaggio, un chiaro esempio di come deve essere realizzata la trasposizione cinematografica di un personaggio storico, dove sono le idee ad avere la meglio sull'aspetto puramente economico.
Il 2020 sancirà il ritorno sul grande schermo di Diabolik per la regia dei Manetti Bros. ed interpretato da Luca Marinelli e Miriam Leone, sperando che anche in questo caso le idee ed il talento dei due cineasti romani abbia la meglio sulle spietate logiche di mercato. 

Articolo di Andrea Gentili

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