martedì 3 settembre 2019

Quando il cinema...uccide (Recensione “Démoni”)

Essere figli d'arte è sempre  stata un'arma a doppio taglio. Se da un lato è indubbio che si tratti di una comoda rampa di lancio, dall'altro è innegabile che questa possa essere vista come una situazione soggetta ad una pressione non indifferente, dove si è portati a fare i conti con il lavoro del nostro predecessore, e di conseguenza ai paragoni che l'opinione pubblica non riesce, di natura, ad evitare.
E' questa la situazione che uno come Lamberto Bava si è trovato ad affrontare, una situazione certamente non semplice, soprattutto quando tuo padre fa di nome Mario Bava, uno dei maestri più influenti nella storia del cinema nostrano. Mettiamo subito in chiaro una cosa. In una sfida fra i due, il buon Lamberto ne uscirebbe sicuramente sconfitto. E di buona distanza.Tuttavia non possiamo certamente dire che il suo cinema sia pessimo e indegno di nota, d'altronde il talento è un fattore ereditario.

Nella sua filmografia di 15 pellicole (perlomeno quella cinematografica, visto che il regista ha all'attivo numerosi progetti televisivi, primo fra tutti lo sceneggiato fantasy “Fantaghirò”), il film che sicuramente più rappresenta il suo modo di fare cinema (e, forse, quello di maggiore qualità) è sicuramente “Dèmoni” del 1985, del quale è anche sceneggiatore. Ispirandosi ai classici zombie movie di stampo romeriano, Bava mette in scena un soggetto che, tuttavia, attua uno schema inverso rispetto al canone classico del genere.
Un gruppo di persone viene invitato da un sinistro individuo mascherato, alla prima di un nuovo e misterioso cinema, nel quale proiettano un altrettanto misterioso film horror. Presto scopriranno di trovarsi dentro un incubo, quando si accorgono di essere rimasti intrappolati all'interno dell'edificio, mentre una donna viene posseduta da un'entità sovrannaturale, con lo scopo di contagiare ed uccidere gli altri malcapitati. A differenza dei classici film sui morti viventi, qui la minaccia non proviene dall'esterno, ma dall'interno, dove la salvezza si raggiunge una volta riusciti a fuoriuscire dal luogo in questione. Questo meccanismo, unito all'atmosfera lugubre, alle stanze piccole e persino ai condotti dell'aria, dona al film un'aura totalmente claustrofobica e ansiogena, insieme ad una regia che predilige spesso soggettive e primissimi piani.
L'occhio di papà Mario è visibile in ogni scena, un modo di fare cinema che Lamberto ha avuto modo di sperimentare al fianco del genitore nel notevole “Shock” co-diretto dai due.
La gestione delle luci, dove i colori caldi la fanno da padrone, ad esempio, è solo uno dei fattori ereditati dal cinema del padre. Ma non aspettatevi eccessiva raffinatezza nella messa in scena. Qui la parola d'ordine è violenza, ed il sangue scorre che è una bellezza, grazie anche agli incredibili effetti speciali del grande Sergio Stivaletti, che raggiungono il loro culmine nelle scene di “trasformazione”.
Notevole è la scelta di porre a contrasto la paura indotta dalle scene di suspense, di cui parlavamo sopra, alle scene puramente action, come quella, ormai divenuta cult, in cui il personaggio di George (Urbano Barberini) uccide i demoni con una katana a bordo di una motocicletta, con in sottofondo il classico “Fast as a Shark” degli Accept.
Tutti elementi, questi, che alzano indubbiamente la qualità di una pellicola che conta, ma non ne facciamo un'eccessiva colpa, diverse ingenuità a livello di sceneggiatura, sebbene il fattore metacinematografico funziona alla grande, fornendo al film un'ulteriore tematica sociologica dello “spettatore al cinema”, visto che la sala in cui si svolgono le vicende è una sala come tutte le altre, estremamente simile a quelle in cui lo spettatore reale si recava nel 1985.
Un nuovo modo di trasmettere la paura, che persino Carpenter affronterà nel suo capolavoro “Il seme della follia”.
Comunque, l'enorme successo di Démoni, porterà Bava a dirigerne un diretto seguito, anch'esso notevole, del quale, sicuramente, parleremo in seguito.
  

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