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lunedì 5 agosto 2024
Il paradosso del clown triste: Stańczyk di Jan Matejko
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mercoledì 17 gennaio 2024
Ivan il terribile e suo figlio Ivan - Orrori su Tela
martedì 27 dicembre 2022
Il pittore ancora vivo - Aldo Callà
venerdì 22 gennaio 2021
Teschio con sigaretta accesa - Orrori su Tela
Il ritmo cassinese risale al XII secolo, ed è una delle prime testimonianze poetiche in forma scritta della tradizione letteraria italiana. Riprendendo la tradizione dei contrasti, nonché l’antica fonte latina Collatio Alexandri cum Dindimo rege, il testo descrive la discussione intrapresa tra due sapienti, Alessandro Magno e re Dindimo, il primo occidentale e il secondo orientale, che si scontrano sulle loro visioni del mondo: al materialismo di Alessandro Magno si contrappone la visione ascetica e mistica di re Dindimo. L’autore del testo – tutt’oggi sconosciuto – si descrive come una candela, che lentamente si consuma, si distrugge per poter giovare agli altri, come fosse un sacrificio offerto a beneficio dei lettori.
Questa metafora, seppur in modo diverso, viene ripresa spesso nel corso della storia, sia della letteratura che dell’arte. Vincent Van Gogh, ad esempio, ripropone una figura retorica analoga in una delle sue opere giovanili, “Teschio con sigaretta accesa”.
Nello stesso periodo Van Gogh realizzò altri tre dipinti che avevano come protagonisti proprio dei teschi. La scelta del soggetto richiama varie influenze, a partire dalle atmosfere cupe proposte dai celebri pittori Hercules Segers e Félicien Rops, suo contemporaneo.
Sin dal primo impatto risulta un dipinto in grado di causare profonde suggestioni nell’interlocutore, principalmente grazie alla specifica qualità tonale dei colori, che spenti e cupi creano un’atmosfera inquietante e macabra. Il soggetto raffigurato richiama, inequivocabilmente, alla morte, alla tematica della fine, ma soprattutto alla decomposizione: la sigaretta che il teschio regge tra le arcate dentali si consuma lentamente, proprio come la vita consuma e decompone lentamente le qualità organiche del corpo. Si tratta di un memento mori importante e che è piuttosto ricorrente nelle opere di Van Gogh, a causa delle sue pessime condizioni di salute sin dalla giovane età. Nel periodo di composizione di quest’opera, in particolare, l’artista lamentava fastidiosi dolori allo stomaco e ai denti che lo rendevano inquieto, probabilmente spaventato. Tuttavia non è ben chiaro se il dipinto fosse il sussurro un po’ ipocondriaco della coscienza di Van Gogh o l’urlo sfacciato dell’autore, che sfida la sua stessa salute.
Se il teschio simboleggia la morte imminente e la sigaretta il lento consumarsi della vita, allo stesso tempo potrebbe anche rappresentare una vera e propria sfida che l’autore lancia alla sua salute vacillante. Proprio come il protagonista del monologo dell’autore russo Dostoevskij “Memorie dal sottosuolo”, che si rifiutava categoricamente di curare il suo fegato per fargli un dispetto, Van Gogh raffigura se stesso sotto forma di scheletro, con una sigaretta accesa, con un’aria di sfida intrinseca nell’atto stesso del fumare nonostante versasse in pessime condizioni di salute. Si tratta, dunque, di un dipinto dalle mille interpretazioni.
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Terzo dipinto con un teschio, 1887/1888 |
Ma la suggestione che il dipinto trasmette, probabilmente, è più esterna che interna al dipinto stesso. Non è il teschio a incutere timore, non è la sigaretta. È l’istinto di conservazione umana che, di fronte alla morte, viene stimolato, e si risveglia più forte che mai. Ma, in fondo, se potessimo parlare con madre natura probabilmente riderebbe del terrore umano per la morte, e ci spiegherebbe che non è altro che un banale passaggio di stato della materia.
ARTICOLO DI
MANUELA GRIFFO
giovedì 8 ottobre 2020
La suggestiva arte di Grinnel Jibaja - Orrori su tela
L’errore più grave che si possa fare quando si parla di arte è quello di circoscriverla in un’epoca passata, di considerarla come un fenomeno puramente sincronico. Al contrario, l’arte è ancora viva, teatro attuale delle contemporanee spinte sociali, politiche, filosofiche, talvolta anche residuo di influssi passati. È il punto di approdo di una storia vecchia come il mondo, ma che ai giorni nostri risulta particolarmente interessante: è proprio in questa momento storico che l’arte ha subito uno dei mutamenti più ingenti e significativi, con l’approdo della tecnologia. La cibernetica ha generato un nuovo strato di alienazione, difficile da descrivere a parole, già avviato con l’industrializzazione.L’effetto che ha avuto la nascita dei macchinari, che sostituirono i lavoratori nelle fabbriche, è vagamente paragonabile a quello che ha avuto la tecnologia, con una differenza sostanziale: se l’alienazione capitalista aveva conseguenze principalmente nella casta del proletariato (generando uno squilibrio significativo a livello sia sociale che economico), l’alienazione tecnologica ha conseguenze su tutti. La tecnologia è a disposizione di tutti, ed ha trasfigurato la realtà in una dimensione quasi trascendentale, mediata da uno schermo. Si sono, dunque, avverate le profezie di Thoreau, che già nell’800 affermò che “gli uomini sono diventati gli strumenti dei loro stessi strumenti”.
La particolarità di questa nuova alienazione tecnologica (che si accompagna ai non meno importanti nuovi influssi filosofici che derivano anche da essa) è il fatto che sia quindi omogenea, e dunque risulta difficile, per coloro che usufruiscono assiduamente di questi nuovi strumenti, riuscire a parlare di una “neo-alienazione”, in quanto si è insidiata negli interstizi più intimi della nostra vita, al punto da non riuscire più a scinderla da essa. Le conseguenze, tuttavia, sono ingenti. Un senso di perenne solitudine è il leitmotiv di una generazione che la condensa privatamente, la linea che separa la realtà dall’astratto si sbiadisce sempre di più.
Ed è proprio in questo contesto di confusione, di angoscia e negazione che si inserisce Grinnel Jibaja (@grinneljibaja30 su instagram), giovane pittore che con la sua arte riesce a comunicare al mondo il suo sgomento, e che mi ha gentilmente concesso di intervistarlo per questo articolo.
"The Savior", olio su tela, 2018
Nasce nel 1990, da genitori immigrati franco-tedeschi. Poliglotta, manifesta interesse per l’arte sin da bambino, sostenendo di non aver mai avuto grandi capacità sociali e che fosse l’unica cosa che apprezzasse nella sua solitudine. È, dunque, cresciuto in simbiosi con l’arte, usata come strumento di indagine prima esteriore, e poi interiore.
Studia presso la facoltà di arte della Pontificia Università Cattolica, specializzandosi nelle arti pittoriche, sua attuale occupazione, e nel 2012 inizia a dipingere professionalmente, all’età di soli 22 anni. Effettua la sua prima vendita presso la Kunstgalerie di Berlino, ed è stato pubblicato dalla rivista di arte spagnola Flamantes (nelle edizioni 1 e 2), nella rivista di arte peruviana Cuenta Artes (nelle edizioni 1 e 2), e nella rivista di arte tedesca Dreck Magazine. Le sue opere sono state esposte a Lima, Buenos Aires Aires, Madrid, Berlino.
È difficile definire la sua operazione artistica in modo sintetico, si tratta della risultante di più forze che convergono nel tema primario, che è quello della solitudine e dell’angoscia, nel quale più o meno qualsiasi essere umano riesce a riconoscersi. È proprio da qui che deriva la comunicatività della sua arte.
I colori che dominano le sue opere sono quasi perennemente il viola ed il rosa, che, per Grinnel, simbolizzano le malattie mentali, in particolare la schizofrenia.
Un’opera emblematica, che più o meno riassume la sua intera e geniale filosofia artistica, è “Nobody is real”, attualmente in vendita a 500 euro. Come recita il titolo del quadro, nessuno è reale in quest’opera. La scena pittorica si svolge orizzontalmente, ed è dominata da quattro figure antropomorfe, sedute in un angolo buio di quella che pare essere una caverna, o un angolo remoto dell’inconscio. Grinnel, infatti, ha ribadito di non essere in grado di decodificare troppo precisamente i meccanismi del suo inconscio. Si tratta, dunque, di una pittura di pancia, spontanea, non ragionata e che lascia spazio all’interpretazione del fruitore con numerosi spunti di riflessione.
Le interpretazioni che potrebbero essere date sono tante, distribuite in più direzioni e destinate esclusivamente alla sensibilità del fruitore.
L’arte che Grinnel produce non è un’arte per tutti, ma non è neanche un’arte per pochi. È il sillogismo della sofferenza umana, il perfetto paradigma dell’esistenza, la più timida confessione di chi vive in un mondo che non gli appartiene e il più straziante grido di dolore.
ARTICOLO DI
MANUELA GRIFFO
venerdì 26 giugno 2020
Bufera di neve: Annibale e i suoi uomini attraversano le Alpi - Orrori su tela

Se per Constable non esiste uno spazio universale immutabile vero e proprio, per Turner è l'intuizione a priori dello spazio universale a concretizzarsi e a dare la percezione nei “motivi” particolari. La visione di Constable è prettamente impressionistica: l'impressione visiva è indissolubilmente legata all'impressione affettiva che l'interlocutore ha dell'oggetto rappresentato. La sua, è dunque, l'arte di una veduta “emozionata”.
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Il Carro di Fieno di John Constable |

produce una sensazione indefinita,
l'idea di un tempo indeterminatoo
ovel l'anima si perde."
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Giacomo Leopardi |
Ma il nostro pianeta, ogni giorno che passa, sembra essere sempre più affaticato, ai limiti del sopportabile, sopraffatto da un’estrema civilizzazione. È dunque lecito chiedersi: siamo noi a temere madre natura o è lei a temere noi?