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domenica 15 novembre 2020

Dolce Natale di sangue... (Recensione "Silent Night, Deadly Night")

All I want for Christmas is you... dead!

A cavallo tra gli anni ’70 ed ’80 lo slasher rappresentava il sottogenere horror di maggior successo negli Stati Uniti, venendo presentato in più versioni spesso molto simili tra loro, con pellicole che, a parte i grandi classici come Halloween, Venerdì 13 e A Nightmere on Elm St., poco avevano da raccontare, proponendo allo spettatore film molto spesso mediocri nei quali il body count si presenta come il principale mezzo per rendere fruibile il lato intrattenente e spaventoso della narrazione.

Diventa dunque fisiologica una sorta di flessione del genere dal punto di vista dell’interesse del pubblico, che molto presto si ritrova gradualmente ad evitare il genere, fino alla sua estinzione più o meno definitiva. Ovviamente in questo mucchio molte volte insipido, non è difficile pescare qualche pellicola in grado di differenziarsi dalla massa.

Lo slasher, sin dalle origini, ha sempre avuto un rapporto particolarmente sentito con le festività natalizie, riscontrabile sin dal film che in maniera ufficiosa si dice aver dato origine prototipicamente al genere stesso, ovvero Black Christmas di Bob Clark, da noi uscito col titolo Un Natale Rosso Sangue.

Questo rapporto di natura senza dubbio paradossale, facente forza della sensazione a lui intrinseca di malessere che l’accostamento fra una festività apparentemente innocente e delle brutali vicende di omicidi comporta, verrà successivamente riproposto nel corso del filone, come nel caso di Christmas Evil di Lewis Jackson del 1980 per poi arrivare a ben due pellicole uscite nelle sale nel solo 1984, ovvero il britannico Don’t Open ‘Till Christmas e, soprattutto, Silent Night, Deadly Night di Charles E. Sellier Jr., conosciuto in Italia col poco originale titolo Natale di Sangue.

Il film racconta la storia di Billy Chapman, un diciottenne orfano che nel 1971 ha visto i propri genitori venire massacrati da un maniaco vestito da Babbo Natale. Il forte trauma subito, unito alla severa educazione della perfida Madre Superiora dell’orfanotrofio da lui frequentato, contribuiranno a gettare in lui le basi per la nascita di uno squilibrio mentale dagli esiti devastanti.

Da questa breve sinossi capiamo come il film cerchi di sviluppare il lato psicologico del nostro protagonista, elemento che solitamente è totalmente trascurato in gran parte dei film che compongono il genere. Non siamo sicuramente ai livelli di Maniac di Lustig, ma possiamo sicuramente dire che la genesi dello squilibrio del piccolo Billy è senza dubbio convincente e ben messa in scena. Nei momenti, ad esempio, in cui il nostro protagonista si ritrova davanti la figura agli occhi degli altri innocente di Babbo Natale, il regista opta per il rapido montaggio parallelo in cui i flashback trovano riscontro con ciò che gli occhi del protagonista si ritrovano di fronte, che sia il costume rosso (sangue) di Santa Claus, che sia una violenza sessuale o il palpeggio di un seno, che rimanda alla sua mente il momento brutale in cui “Babbo Natale” violenta in mezzo alla strada sua madre inerme, per poi tagliarle la gola.

Inoltre, è particolarmente interessante notare come il film critichi aspramente le convezioni  cattolico/cristiane dal punto di vista educativo e celebrativo. La stessa scelta dell’ambientazione natalizia, unita alla chiusura mentale della Madre Superiora, che arriva addirittura a frustare con la cintura due giovani beccati a fare sesso, e quindi peccatori, provoca quel forte corto-circuito nella mente già instabile del giovane, che arriva a collegare il ruolo del Babbo Natale “giudice” che stabilisce chi è buono e chi è cattivo all’educazione cristiana della suora. Non è un caso quindi che il nostro, dopo essersi vestito da Santa Claus, uccida due giovani ragazzi intenti a copulare sopra ad un tavolo da biliardo pronunciando in continuazione la parola “punire”. In questo caso la morte dei giovani nel bel mezzo di un rapporto sessuale, un vero e proprio classico del genere slasher, porta con sé, forse per la prima volta, una giustificazione di fondo oltre alla pazzia dell’antagonista. Persino le forze dell’ordine, baluardo della società americana, sono rappresentate come ostili e incapaci, arrivando persino ad uccidere degli innocenti senza provare il minimo rimorso, come nella scena in cui un agente si reca alle porte dell’orfanotrofio per fermare Billy, ma per errore uccide un altro uomo vestito da Babbo Natale in quanto non si è fermato all’alt, salvo poi scoprire che l’uomo era sordo. 

Tuttavia, facendo ovviamente riferimento alla versione integrale priva di censure, questo lato riflessivo del film non sovrasta eccessivamente il suo lato intrattenente, mediato come in ogni slasher che si rispetti, dalla violenza omicida del protagonista.
Partendo dall’ascia, che diventa il mezzo identificativo dell’uomo, così come il coltello da cucina per Michael Myers o il machete per Jason Voohrees, il nostro killer sembra seguire una sorta di codice morale nelle sue esecuzioni. Partendo dal suo saccente collega di lavoro, trovato a violentare la ragazza della quale il protagonista si era innamorato, per poi passare alla ragazza stessa, secondo l’uomo caduta in tentazione e quindi profonda peccatrice non più degna di vivere, il nostro Babbo Natale diventa metafora di quello tradizionale, andando in giro per la città di notte a decidere chi sono i buoni e chi i cattivi, come nella scena in cui una bambina lo scambia per il vero Babbo Natale, il quale decide di porle simbolicamente uno dei suoi strumenti di morte concedendole quindi di vivere.

Un film quindi sicuramente "povero" alla base che tuttavia rappresenta un'operazione notevole all'interno del folto genere dello slasher e che al momento della sua uscita suscitò un grande scalpore nella società cattolica americana, che decise di boicottare la pellicola portandola ad essere rimossa dalle sale appena una settimana dopo la sua uscita.
 
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lunedì 3 febbraio 2020

Nancy non dormire - un'analisi di "A Nightmare on Elm Street"

Se l'archetipo dello slasher, "Halloween" (1978) di John Carpenter, aveva la sua Laurie Strode interpretata da Jamie Lee Curtis; Wes Craven con il suo "A Nightmare on Elm Street" (1984) andrà a creare e inserire nel pantheon dell'horror una delle final girl più iconiche e tenaci di tutte: Nancy Thompson.
Data la formazione di Craven e la sua iniziale propensione per i racconti rosa, più che per quelli del terrore, il regista decise di concentrarsi per la sua storia su tutti quegli aspetti più intimisti dei suoi personaggi che non solo lo affascinavano, ma riteneva che avrebbero avvicinato di più ad essa anche il pubblico. Partendo da dei fatti di cronaca nera riguardanti le improvvise morti nel sonno di alcuni uomini del sud-est Asiatico e dalle disavventure che visse con un bullo nella sua infanzia, Craven iniziò a plasmare quello che sarebbe poi diventato il suo classico. All'uscita di "Nightmare", molti dei più grandi esponenti dell'horror contemporaneo (film oggi considerati alla stregua dei capolavori dell'espressionismo tedesco anni '30, o dei mostri della Universal) erano già usciti: i primi due morti viventi di Romero, "L'Esorcista", "Rosemary's Baby" (trattato qua), "La Casa", il già citato "Halloween" (che abbiamo analizzato qui), "Shining", "Non aprite quella porta", la saga di "Venerdì 13" etc. Craven si ispirò in particolar modo al modello Carpenteriano, piuttosto che a quello della saga di Jason Voorhes, riprendendone la struttura e il punto focale su una figura femminile forte e decisa.

Per altri aspetti invece Craven ne prese le debite distanze, infatti come disse in un'intervista del 2014: "Un sacco di assassini indossavano maschere: Leatherface, Michael Myers, Jason. Volevo che il mio cattivo avesse un maschera, ma fosse anche in grado di parlare, schernire e minacciare. Quindi decisi di renderlo ustionato e sfigurato".
Oltretutto il regista riteneva che il suo killer non dovesse brandire un fin troppo gettonato coltello, bensì un'arma del tutto nuova, il che lo portò infine a ripiegare sull'iconico guanto artigliato. È così che nasce Fred Krueger, l'uomo nero del XX secolo, colui in grado di mietere vittime nel momento in cui sono più indifese: nei loro sogni. Uno spirito vendicativo e mostruoso che, dopo essere stato brutalmente giustiziato dai genitori della città di Springwood, torna a infestare il sonno dei loro figli. Una figura terrorizzante, loquace e maliziosa che gioca sadicamente con coloro che tormenta. Un personaggio conottato da un forte sottotesto riguardo alla violenza carnale (non a caso nella versione originale della sceneggiatura non era un semplice assassino di bambini bensì un molestatore, dettaglio poi successivamente modificato per evitare controversie) definito dal suo creatore come la personificazione del fallimento delle figure genitoriali e adulte. Un personaggio dal carattere primitivo e ctonio, un padre che uccide e divora i suoi figli come Crono.  Un killer spietato e diabolico, talmente tanto da risultare quasi irresistibile per noi amanti del genere.

A un personaggio così perfettamente costruito, così solido, Craven contrappone un gruppo di ragazzi. Un quartetto di tipici teenager americani degli anni '80, ben lontani dalla tipica carne da macello che giovani attori portavano in scena nei film slasher di quegli anni. Nonostante nè Nancy, nè il fidanzato Glen, nè Tina, nè Rod siano personaggi particolarmente approfonditi, o tantomeno interpretati efficacemente, con il poco con cui li tratteggia (e soprattutto per come lo metto in scena) Craven riesce a dare un grande respiro a questo quartetto, a renderlo concreto e credibile: un gruppo di adolescenti con le loro divergenze e con i loro momenti di comunanza.
Ma quindi perché Nancy è così importante, se non è un personaggio carismatico nè così ben interpretato da Heather Langenkamp? Perchè  è un personaggio coraggioso e pragmatico, una liceale sedicenne che si ritrova di punto in bianco priva del sonno, con i suoi migliori amici brutalmente uccisi e i genitori che la trattano come una povera pazza.  Nonostante  rimasta sola e sull'orlo della pazzia, si fa forza e inizia a osservare il suo aguzzino, a studiarne il modus operandi e ad affrontarlo apertamente, architettando delle sofisticate trappole per combatterlo senza esclusione di colpi in entrambi i piani esistenziali su cui opera.

Dunque non è stata solo la genialità del suo concept, o la maestria registica di Craven (di cui ricordiamo le meravigliose ed elaborate transizioni dalla realtà al mondo dei sogni) a rendere "Nightmare" un classico moderno; ma anche una serie di piccole scelte prese in corso d'opera che hanno reso la fatica del regista qualcosa di più del solito, mediocre film horror degli anni '80 e che ci hanno permesso non solo di tifare per Nancy ma anche di conservare per gli anni a venire il ricordo di quella giovane sola, indifesa e addormentata nella sua vasca da bagno...
Articolo di Lorenzo Spagnoli