martedì 17 marzo 2020

L'origine della donna senz'espressione (Recensione "The Expressionless")

Con l'imporsi dell'internet come il maggior veicolo d'informazione e comunicazione, era inevitabile che nascesse un folklore tipico di esso, una mitologia digitale. Leggende urbane, miti e racconti che si sono prepotentemente imposti nella cultura popolare proprio a partire dalla loro pubblicazione digitale, sfociando, spesso e volentieri, nell'orrore, in quelle che sono comunemente note come "creepypasta". Il loro successo, causato dalla rapida diffusione e dalla fruibilità elevata, garantirono, in poco tempo, che numerosi di questi miti si traducessero in film o videogiochi, basti pensare al franchise di "Slender Man", tra titoli videoludici di culto, webseries e lungometraggi anche ad alto budget (ma non di grossa qualità, sfortunatamente), o a "Channel Zero", una serie antalogica che raccoglie trasposizioni di diverse creepypasta.
Una dei "fortunati" racconti a ricevere un trattamento live action fu, nel 2013, "The Expressionless", un breve racconto virale che, rapidamente, si diffuse sul web in tutto il mondo riscuotendo un grosso successo. Il racconto originale, spacciato come reale (trope tipico delle creepypasta), narra di un particolare paziente che si recò un giorno, nel 1972, in un ospedale. Di seguito, per chi, per quanto improbabile, non abbia familiarità con la storia in questione, una sua traduzione originale e rivista per il sito:  

Nel giugno del 1972, una donna si recò al Cedar Senai Hospital senza nulla addosso se non un abito ricoperto di sangue. Il fatto in sé non dovrebbe esser ritenuto troppo sorprendente, dopotutto capita spesso che le persone abbiano incidenti nei paragi e si rechino all'ospedale più vicino per cure mediche. Vi furono, però, due elementi che fecero vomitare e scappare in preda al terrore chi la vide.

Il primo fu che non si trattava esattamente di un essere umano. Ricordava qualcosa di vagamente simile ad un manichino, pur mantenendo movenze e destrezza di un normale umano. Il suo volto era liscio come quello di un bambolotto, senza sopracciglia e ricoperto dal trucco. Aveva i resti di un gattino tra i denti. Le sue mascelle erano strette innaturalmente intorno ad un punto nel quale i denti stessi non potevano essere visti; il sangue dell'animale continuava a colare sul suo vestito e sul pavimento. Aprì poi la bocca, tirò fuori la carcassa, la gettò via e collassò.

Da quando mise piede all'entrata dell'ospedale fino a quando non venne trasportata in una sua stanza e preparata per esser sedata, restò completamente impassibile, senza alcuna espressione ed immobile. I dottori pensarono che immobilizzarla fino all'arrivo delle autorità fosse la cosa migliore e lei non protestò in alcun modo. Non riuscirono ad avere alcuna sorta di reazione da lei e, la maggior parte dei membri dello staff, si sentì a disagio nel mantenere il contatto visivo con lei per più di qualche secondo.

Quando lo staff secondario tentò di sedarla, però, si oppose con forza bruta. Due dottori, un uomo ed una donna, la tenevano bloccata, mentre il suo corpo si dimenava sul lettino mantenendo la stessa espressione impassibile.

Posò poi i suoi occhi sul dottore e fece qualcosa d'inusuale. Sorrise.

A quella vista, la dottoressa la lasciò andare e urlò dal terrore. Nella bocca della donna non vi erano denti umani, ma lunghe zanne affilate. Troppo lunghe da permettere ad una bocca umana di chiudersi senza recare alcun danno...

Il dottore la fissò per qualche istante prima di chidere: "Cosa diavolo sei?"

Ella inclinò innaturalmente il suo collo verso la spalla, emettendo un rumore che sembrava indicarne la rottura, per osservarlo, continuando a sorridere.

Vi fu una lunga pausa, la sicurezza venne allertata e si poteva udire mentre percorreva il corridoio.

Come l'uomo la sentì, lei scattò in avanti, azzannando la parte anteriore della gola, strappandogli la giugulare e lasciandolo cadere per terra, ansimante, mentre il suo stesso sangue lo soffocava.

Poi si alzò e si chinò sulla sua vittima, avvicinando pericolosamente la faccia alla sua.

"Io.. sono... Dio..."

Mentre il panico riempiva i suoi occhi, lei, tranquillamente, si alzò e si allontò, avvicinandosi agli agenti della sicurezza. L'ultima cosa che il dottore vide fu lei che li assaliva uno ad uno.

La dottoressa sopravvissuta all'esperienza la battezzò "La senz'espressione".

Non vi furono altri suoi avvistamenti.


Il cortometraggio, della durata di 5 minuti, scaturito dal racconto e diretto da Michael Gallagher e con Denna Thomsen nel ruolo della titolare entità, segue, fedelmente, il mito su cui si basa, senza apportare alcuna modifica o alterazione. Almeno non per quanto riguarda la storia in sé, bensì per quanto riguarda l'aspetto fisico della donna, per ovvie ragioni, più umana. Difatti, quando si pensa di questa particolare leggenda urbana, viene nella mente, spesso e volentieri, prima del racconto stesso, la foto allegata alla sua pubblicazione originale, presumibilmente da ritrovarsi su creepypasta.com, nel 2012.
La foto in questione raffigura un manichino di una donna poggiato su un lettino da due infermieri. La fotografia, considerata inquietante a causa di un fenomeno mentale noto come "Uncanny Valley" (che abbiamo già trattato in relazione dell'adattamento di "L'uomo della sabbia"), è rapidamente divenuta virale e, pe antonomasia, collegata al racconto dell'autore Tom Lever. Quest'ultima viene anche, spesso, spacciata come una prova della veridicità dei fatti narrati, spesso in congiunzione con la reale esistenza dell'ospedale menzionato, situato a Los Angeles. Se ciò non bastasse, se si dovesse fare qualche ricerca, risulterebbe che, in effetti, la foto non è un'alterazione digitale e, anzi, circola proprio dal 1972, anno nel quale sarebbe ambientato il racconto. Eppure, questa non ha nulla a che fare con il macabro: attingendo dalla ricerca del portale "Unexplained Mysteries", viene a gala come, essa, sia in realtà sta estratta dalla pubblicazione del '72 "Assignments”, del fotografo Antony Armstrong‑Jones, conte di Snowdon. La foto, dal titolo originale di “Student nurses with a waxwork patient“ ("Studenti d'infermieristica con un paziente di cera"), scattata nel 1968 nonostante la sua pubblicazione successiva, non ha, dunque, nulla a che vdere con il macabro racconto con cui è stata affiliata in tempi recenti.
Tornando al breve film, questo si presenta come un evento raro nel contesto di trasposizioni delle creepypasta, essendo, agli effetti, di ottima manifattura, nonostante una recitazione un tantino piatta, ironicamente, da parte del cast di supporto. La creatura, seppur umanizzata, resta perturbante, lasciando percepire come, in lei, qualcosa sia sbagliato, in particolare nel momento in cui, con uno spasmo, caccià dalla gola i resti della sua vittima felina. Meno convincente, seppur comunque discreta, la sua espressione impassibile, più simile ad una di rabbia e quindi, più che inquietante in senso freudiano, spaventosa in quanto indice di potenziale minaccia imminente. Minaccia che, agli effetti, si concretizza nel suo attacco al dottore dove, seppur con una buona realizzazione della scena in sé, i denti affilati, altro elemeto fondamentale del design dell'essere, vengono meno, sostituiti da semplici denti nerastri, probabilmente a causa di problematiche con la loro realizzazione, comprensibili in vista del budget ridotto della produzione targata TotallySketch, gli stessi che produrranno, poi, "Smiley".
La sola aggiunta che il cortometraggio porta è un inutile scambio di battute tra la dottoressa ed il dottore prima che quest'ultimo entri nella stanza della donna, dove lei ammette la sua paura e chiede di potersene andare a seguito della fuga di un'altra infermiera terrorizzata. Una scena irrealistica, del tutto inutile e poco funzionale, aggiunta, probabilmente, per rafforzare l'idea suggerita dal racconto che lo staff non avesse il coraggio di guardarle e, forse, per aumentare la durata del già breve cortometraggio. In ogni caso, resta palese come la figura in scena della donna senza espressione sia inquietante e carica di un'aurea perturbante, probabilmente anche grazie ai suoi occhi, che sembrano scrutare dritti dentro l'anima dello spettatore. 
Nello stesso anno, il successo della creepypasta, le garantì, inoltre, una conversione in ambito musicale con l'omonimo singolo dei Manipulator, un pezzo caratterizzato dalle percussioni dei tamburi frenetica, dal suo riff elaborato e dai diversi tipi di growl e urli adottati dal cantante, assolutamente violento e aggressivo. 

In conclusione, è importante porre alla vostra attenzione come, la frase finale "Non vi furono altri suoi avvistamenti", non debba in alcun modo rincuorarvi: essi vengono registrati solo nel momento in cui qualcuno sopravvivi per narrarli.  

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