sabato 25 gennaio 2020

Un lupo mannaro campano - un racconto di licantropia nella letteratura latina

Credereste mai a chi vi racconta dell'esistenza di un testo che narra di un classico uomo-lupo, a cui cinema e letteratura ci hanno ormai abituati... Scritto nel I secolo dopo Cristo?
Dello scrittore e politico romano Gaio Petronio Arbitro sappiamo molto poco. Generalmente si fa coincidere la sua misteriosa figura con quella di tale Gaio Petronio Nigro, di cui parla il celebre storiografo Tacito nei suoi "Annales", definendolo come letterato "arbirtro dell'elegenza" presso la corte dell'Imperatore Nerone. Intorno al 65 d.C, una volta accusato di aver preso parte alla congiura dei Pisoni ai danni del trono neroniano, sarebbe stato costretto a mettere in pratica il suicidio stoico (come fecero altri illustri esponenti della letteratura romana quali Seneca, o il nipote Lucano).
Sotto il suo nome ci sono giunti i frammenti di un'opera, probabilmente molto più estesa di quanto ci è pervenuto, che prende il nome di Satyricon ("Cose riguardanti i Satiri") in cui si narrano vicende amorose comico-satiriche di carattere licenzioso, che spaziano da amori omosessuali infedeli, a perverse orge, fino ad inganni e insidie che i personaggi si tendono tra loro. La trama di questo antico romanzo gira intorno a un giovane chiamato Encolpio e alle disavventure che corre assieme al ragazzo che ama, Gitone, e al suo infido amico Ascilto. Le sfortunate vicende che Petronio narrerà nel corso della storia sarebbero da ricondurre, secondo il suo lacunoso antefatto, alla divinità fallica Priapo che si sarebbe sentita oltraggiata da un atto sacrilego che il protagonista avrebbe compiuto nei suoi confronti.

Secondo i critici il Satyricon non sarebbe altro che un ribaltamento del romanzo greco (data la presenza in esso di alcuni temi propri di questa corrente letteraria, totalmente rovesciati di senso) in cui si vanno ad estrapolare e mettere in ridicolo più momenti iconici di opere come "Iliade", "Odissea" o "Eneide". L'unico elemento del Satyricon di cui si può parlare con certezza è la sua profonda vena realistica: infatti, attraverso il racconto, Petronio ci restituisce un'immagine viva e tangibile della Roma del tempo, che va a punzecchiare con lo scopo di denunciarne eccessi e degredazione. L'episodio centrale dell'opera (e quello che siamo riusciti meglio a ricostruire) riguarda la cena che si tiene in casa di un rozzo liberto chiamato Trimalchione, di cui Petronio Arbiter va a criticare la bassezza culturale e la vacua ostentazione delle ricchezze che si è guadagnato, una volta superata la sua condizione di schiavitù
Una scena dall'omonima trasposizione dello scritto di Petronio, a opera di Federico Fellini (1969)
Parallelamente alla tendenza realistica che questo racconto assume, l'autore dispiega uno spiccato gusto per il fantastico che è dato dall'inserimento nel mezzo della narrazione di superstizioni e racconti mitici. Questo è il caso del singolare e inquietante estratto di cui parleremo. Nel Satyricon 62, durante la cena in casa di Trimalchione, l'amico liberto Nicerote racconta a tutti i convitati di una macabra peripezia che gli capitò durante un viaggio di notte a Capua, mentre era in compagnia di un soldato:

<< C'era invece un soldato, forte come l'Orco. Ce la svignammo al canto del gallo; c’era una luna che sembrava mezzogiorno. Arriviamo in mezzo a un cimitero: il mio uomo si mette a farla tra le tombe, io mi siedo canticchiando e mi metto a contare le lapidi. Poi mi volto verso il mio compagno, e vedo che quello è lì che si spoglia e lascia tutti gli abiti sul ciglio della strada. Mi sentivo il cuore in gola; stavo immobile come fossi morto. Quello allora si mise a pisciare tutto intorno alle vesti e di colpo si trasformò in lupo. Non pensate che stia scherzando; non mentirei per tutto l’oro del mondo. Ma, come stavo dicendo, una volta diventato lupo, incominciò a ululare e si dileguò nella boscaglia. Io sulle prime non capivo più dove fossi; poi mi avvicinai ai suoi abiti per prenderli; ma quelli erano diventati pietra. Chi non poté morire di paura se non io stesso?  
Illustrazione di Mont Subdury per "The Werewolf Howls" da Weird Tales (n. 36, vol. 2, pag. 38, novembre 1941)
Strinsi la mano alla spada, e andai infilzando le ombre, finché non raggiunsi la villa della mia amica. Entrai che parevo uno spettro, a momenti schiattavo, il sudore mi colava tra le natiche e avevo gli occhi di un morto; ce ne volle per riprendermi. La mia Melissa dapprima si meravigliò perché ero ancora in giro a quell’ora, e fece: “Se arrivavi un po’ prima, ci davi una mano; un lupo si è introdotto nella fattoria e da vero macellaio ci ha massacrato tutte le bestie. Però non l’ha fatta franca, anche se è riuscito a fuggire, un nostro servo gli ha trapassato il collo con la lancia”.  

A sentir questo, non potei più chiuder occhio e sul far del giorno, via di corsa alla casa del nostro Gaio, come un oste rapinato; e una volta che giunsi in quel posto, dove gli abiti erano diventati pietra, non altro trovai altro che sangue. Come poi tornai a casa trovai il mio soldato stravaccato sul letto come un bue, mentre il medico gli curava il collo. Compresi che era un lupo mannaro e da allora in poi non sarei più riuscito a dividere il pane con lui, nemmeno se mi avessero ammazzato. Gli altri al riguardo la pensino come vogliono. Quanto a me, se mento, possano i vostri numi tutelari stramaledirmi >>.
Uno dei lupi mannari visti ne ''L'Ululato'', di Joe Dante (1981)
La paura ancestrale per il lupo (che caratterizza da sempre l'uomo) dunque ha portato la civiltà a partorire il mito del mannarismo ben prima dei tradizionali licantropi che abbiamo potuto conoscere...i è un topos ben radicato nella nostra storia, le cui origini si vanno a perdere nell'alba dei tempi.

Articolo di Lorenzo Spagnoli

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