giovedì 3 ottobre 2019

Il Papa che uccideva pedofili: L'eroe che la Chiesa non si merita, ma quello di cui ha bisogno (breve analisi di "The Pope" di Brian Yuzna)

Si consiglia l'ascolto di questo brano durante la lettura.

Supereroi e figure ecclesiastiche: due tra i più artefatti e illusori modelli di una società falsa e ipocrita, che caparbiamente ammira e anela (anima e corpo) schemi comportamentali e ideologici che non gli sono propri, né mai lo saranno; e con le dovute eccezioni, prevalentemente solo nell'ambito supereroistico (ma tenendo sempre conto che le innumervoli declinazioni anche della sola dottrina cattolica sono costantemente votate a scansare questa e altre critiche), questi due esemplari di superuomo nietzschiano, mascherato e inquinato da un sistema di valori che non gli appartengono per definizione, non potevano non incorrere in alcune tra le più infime e discutibili performance artistiche e sociali tanto bramate e adorate dalle masse (non necessariamente le stesse, sia chiaro) che compongono tale società; così come Brian Yuzna, noto produttore (prima che regista e sceneggiatore) di alcuni dei più riusciti figli del New “New Horror” americano (i nostri beniamini “Re-animator” e “From Beyond” di Stuart Gordon, insieme al proprio celeberrimo “Society – The Horror”) non poteva non piegare per l'ennesima volta i biechi desideri delle suddette masse (purtroppo senza necessariamente rientrare nel raggio limitato della loro attenzione), che da buon produttore ha sempre tenuto in considerazione, alle proprie sovversive ed anticonvenzionali mire artistiche anche in quel suo ultimo tripudio elegantissimo di sessualità e violenza blasfeme che è il suo primo (e finora unico) romanzo edito nel 2015 (e persino da noi già l'anno successivo grazie alla Gremese), che va sotto il titolo di “The Pope”.
Il produttore-regista si era in realtà già cimentato in un cinefumetto ante-litteram e anti-eroico venato di blasfemmia, avendo diretto per la neonata e da lui stesso creata Fantastic Factory quel “Faust” tratto dall'omonima opera cartacea scritta da David Quinn (pure sceneggiatore del film) e illustrata da Tim Vigil, e che, pur fallendo nel riproporre un prodotto che avesse la medesima struttura narrativa e subtestuale anarchicamente deflagrante di un fumetto all'epoca (correva l'anno 2001) ancora in corso d'opera, riusciva quantomeno a regalare allo spettatore momenti di puro delirio geniale che ben si prestano a compendiare tanto la poetica del regista e del suo effettista di fiducia Screaming Mad George, quanto quella dell'opera cartecea di Quinn e Vigil; momenti che non possono non aver fatto rimpiangere agli amanti dei quattro differenti artisti la mancanza di un budget più elevato o di uno script più coerente per una pellicola quello che comunque, se paragonata al conato dilagante di cinefumetti contemporanei, non può non considerarsi un piccolo capolavoro mancato del genere più amato dai nerd del nuovo millennio (che rimandiamo per una recensione più approfondiata del “Faust” di Quinn e Vigil all 'ottimo video presente sul canale di Altroquando).
Contrariamente a “Faust”, in opposizione al confronto tra cinema e letteratura che continuiamo a proporre senza amor proprio in questa rubrica e contrariamente a quelle che erano le iniziali intenzioni di Yuzna a John Penney, sceneggiatore de “Il ritorno dei morti viventi 3”, di trarre un film e,  prevedibilmente, anche un fumetto dalla loro sceneggiatura poi divenuta “The Pope”, la controparte cinematografica di questo romanzo , a circa tre anni dal suo primevo tentativo di venire al mondo, continua a figurare tra le schiere di lavori morti sul nascere tanto di Yuzna, oramai fermo nell'ambito dei lungometraggi dal suo “Amphibious 3D” del 2011 (pure scritto da Penney), quanto di tutti i maestri dell'horror degli anni '80, archiviati come anziani in un'ospizio che attendono (perlomeno quelli rimasti) una morte che ci priverà per sempre della possibilità di godere di un loro nuovo capolavoro che non sia un disinteressato ed ennesimo riarrangiamento di qualche storico score fatto solo per rimediare un paio di spiccioli. 
Tuttavia, almeno questo “The Pope” è miracolosamente giunto fino a noi in un'edizione più che dignitosa, e le possibilità di confronto con il medium cinematografico non vengono ridotte dalla mancanza di una versione filmica dell'opera, che, caro Brian, noi qui attenderemmo, neanche tanto metaforicamente visto l'argomento, come la seconda venuta di Cristo; questo perchè il viaggio spirituale decisamente poco nirvanico compiuto dal protagonista del romanzo, e di cui non riveliamo il nome per evitare uno spoiler solo perchè possa rivelarlo anzitempo  l'opera stessa dopo avervi illuso di essere una sorta di slasher in cui scoprire l'identità dell'assassino solo alla fine, è narrato attraverso tutta una serie di espedienti e stilemi letterari riconducibili al linguaggio cinematografico, non inteso come legato alla mera forma tecnica di una sceneggiatura, ma piuttosto come indicatore di una tecnica narrativa estremamente evocativa e visiva, oltre che cosciente della possibilità di manipolare il punto di vista di una diegesi proprio come si potrebbe fare per l'inquadratura di una scena (anche se a volte si può intravedere nell'uso dei puntini sospensivi un vero e proprio tentativo di restituire l'effetto di un taglio di montaggio).
Già la stessa struttura fromale del romanzo, difatti, si presenta subito basata sul montaggio alternato tra la narrazione principale, che vede il nostro protagonista mascherato con una copia dei paramenti papali fare strage con una spada-crocefisso di tutti i preti pedofili che affollano la parrocchia cattolica (e seminario minore) di San Simone a Pacifica (Ca.), e citazioni da vari pseudobiblia, concetto cui da (in)fedele adattatore di Lovecraft al cinema lo scrittore non è estraneo,  che narrano, attraverso riferimenti a fatti e personaggi reali della Roma della fine del Quindicesimo Secolo, la nascita di un fittizio ordine religioso di fede cattolica chiamato “Ordine di Ottavio”, provvidenzialmente risorto durante l'ascesa al papato di Rodrigo Borgia e avente, guardacaso, come scopo la “purificazione” del Vaticano dal libertinaggio e delle iniquità che vi covavano; e fin dal primo di questi inserti storiografici, a cui si aggiungono pure alcuni frammenti di rescoconti processuali che sono ovviamente conseguiti alle gesta probe del nostro Papa omicida, vediamo che Yuzna (al contrario di Borgia) non prende prigionieri e in questo primo estratto da “La Dichiarazione Preliminare dell'Adepto”, di cui avremo un quadro completo solo a romanzo concluso e che viene posto a mo' di prologo, mette alla berlina (o, se preferite, sputtana) tanto il corrotto mondo ecclesiastico quanto quello laico, in fondo non poi così meno crudele e opportunista. 
Per tornare al discorso della scrittura estremamente “cinematografica” di Yuzna, l'autore non si risparmia quei dettagli espliciti e truculenti che da sempre caratterizzano il suo cinema («L'effetto era quasi comico nella sua grottesca assurdità» è il commento allo spettacolo offerto dal primo omicidio, continuando a portare avanti una rappresentazione artistica della vita nata fin da “Re-animator” dove orrore e grottesco sono due facce della stessa medaglia); ma quello che veramente colpisce e disturba anche il lettore più navigato nello splatter più viscerale è la genuina efficacia di queste scene che, lungi dall'essere ridotte ad una mera conversione in parole à la google translator della violenza visiva minando le potenzialità del differente medium in favore di un risultato  meramente “pornografico”, sono tanto concettualmente esplicite quanto stilisticamente potenti: come in altri momenti meno outrè del romanzo, il narratore entra ed esce repentinamente dai pensieri dei personaggi, che spesso, in punto di morte, ci rivelano la loro vera e meschina natura mentre sperimentano il trapasso attraverso le emozioni più disparate, ma che Yuzna compila scrupolosamente come le pagine di un vasto schedario della psicologia umana che, una volta sfogliato, ci permette anche di scorgere tra le righe e in maniera più distaccata tutte le mutilazioni atroci infilitte a quei personaggi nella cui mente solo un 'attimo prima avevamo sbirciato, resa spaventosamente lucida in confronto alle sofferenze corporali dall'approssimarsi della dipartita; facendo il verso ai flussi di coscienza kinghiani e alle violenze carnali barkeriane, Yuzna dimostra uno stile assolutamente personale e consapevole nel maneggiare l'orrore fisico attraverso un medium in cui non può essere direttamente mostrato, e scene come quella in cui è descritto il cadavere dell'ennesimo prete pedofilo arso vivo in un falò da campeggio di chierichetti sono deliziosamente insostenibili; invece, meno deliziose (se non avete particolari tendenze sessuali) e più insostenibili sono proprio le scene di “tentata” pedofilia, dove l'impossibilità di essere più di tanto esplicito di Yuzna è ancora una volta un'esigenza commerciale che l'artista sfrutta senza ritegno per ottenere il risultato artistico che desidera, e il suo insistere sulla descrizione delle tendenze pedofile degli ecclesiastici del libro in modo ellittico e allusivo non fa altro che sottolineare il modo subdolo e circospetto con cui cercano di soddisfarle.
Ma in tutta questa sessualità e violenza sconsiderate che sembrano proprio uscite da uno dei film di quel malato Brian Yuzna, vi chiederete, i supereroi si può sapere che cazzo c'entrano? È presto detto: il protagonista non è un semplice serial killer dagli evidenti disturbi mentali, dovuti alla morte di una persona cara, e dalla sessualità repressa, dovuta alla rigida educazione cattolica; o perlomeno non solo: egli è divenuto, senza neppure accorgersene, un vero e proprio iniziato all'”Ordine di Ottavio”, e solo dopo aver, come ogni eroe che si rispetti (lui stesso paragona i Papi alla Justice League), intrapreso un percorso di crescita fisica e spirituale, qui ritualisticamente suddiviso in “Protocolli di Ascensione” il cui primo non può che essere la mortificazione, o il martirio come per ogni Santo operante miracoli che si rispetti, quando, in una scena descritta con un palese rimando alla tecnica del ralenty cinematografico, viene sodomizzato da un gruppetto di omofobi che lo credono un travestito – insomma, solo dopo questo bel viaggetto formativo che il nostro Papa Vendicatore compie, in puro stile “I guerrieri della notte” (o “Edmond” di Stuart Gordon, se preferite), attraverso i sordidi vicoli di una San Francisco notturna in cui si era incautamente spinto per giustiziare una delle proprie vittime, egli potrà finalmente dirsi capace di padronare l'”Arte Trasmutatoria”, un nome come un altro per indicare la telecinesi che gli permetterà, in un finale delirante e sanguinolento che esplode inaspettatamente ed esattamente come quello del capolavoro yuznaniano “Society”, di lanciare tutti i preti pedofili che vuole contro le pareti e fuori dalle finestre, oltre che far rifulgere la propria spada-crocefisso di mortale luce divina: a darci conferma del fatto che tutto il romanzo, in fondo, non sia nient'altro che la genesi di un supereroe, solo riletta nel modo più malato e sconveniente possibile, è lo stesso Brian Yuzna in qualunque intervista presente sul web dove abbia risposto ad una domanda sull'argomento (e dove ogni tanto ha pure ammesso di ritenere “La passione di Cristo” di Gibson un film dell'orrore; noi a dargli torto non ci teniamo).
Le implicazioni del romanzo sono fin troppo evidenti e spaventosamente deprimenti: qualunque sistema di pensiero, per quanto secoli e secoli di adattamento possano averlo reso infinitamente più malleabile rispetto ai tempi dell'Inquisizione, si ponga come anche solo lontanamente dogmatico, nei suoi precetti o nei suoi preconcetti, non può non essere altro che il seme di una potenziale teocrazia, ed un mondo dove davvero dovesse esistere un'entità anche solo lontanamente riconducibile al Dio cristiano, con tutte le interpretazioni che Tommaso D'Aquino (che pure si ritaglia una citazione una volta tanto veritiera in “The Pope”) possa avergli apportato, resterebbe un mondo dove a difendere il Bene dalle innumervoli abiezioni del genere umano non potrà non esserci che un ordine di devoti psicopatici, dei veri e propri Solomon Kane dai poteri sovrumani che si pongono come eroi solo in quanto strenui oppositori del Male (il caprone nero à laThe Witch” che tenta il protagonista nel “Terzo Protocollo”), non importa se attraverso un male (stavolta con la minuscola) ancora più grande; e non importa se la Vergine Maria o la bella da salvare trovano entrambe corpo in una novizia disgraziata messa in cinta dallo stesso monsignore della parrocchia in cui dovrebbe prendere i voti, o se chi, come il padre della sventurata madre del protagonista (e probabilmente lo stesso Yuzna), pensa che «[m]angiamo, cachiamo […] e tutto il resto è solo sesso in una forma o nell'altra» meriti di essere messo a tacere per sempre non meno di quanto meriti l'empio sacerdote. Il Fine giustifica i mezzi.
Come detto all'inizio, il mondo supereroistico non esce meno illeso di quello cattolico/religioso (o fondamentalista per i più scassacazzo) da una seria analisi dell'opera di Yuzna, in cui perfino la questione del simbolo che tanta importanza deteneva nella pipistrellescha trilogia di Christopher Nolan qui perde tutta la sua ideologia autoriferenziale, divenendo più simile ad un mezzo per «la comprensione innata dell'origine mistica e miracolosa dell'esistenza», secondo la definizione data da uno psichiatra che cerca di spiegare le azioni e motivazioni del Papa assassino e del suo identificare con i paramenti papali il lasciapassare di un'autorità superiore: una concezione fortemente simbolista e che non può non ricordare, viste le continue incursioni cinematografiche di Yuzna nell'opera lovecraftiana (ormai onnipresente in questa rubrica), quella di simbolo quale squarcio del velo che nasconde la vera e orrenda natura del mondo presente nel fondamentale racconto di Arthur Machen “Il Grande Dio Pan”, dove uno dei personaggi, appunto, «ricorre all'immagine del velo, e aggiunge che essa è simbolo» (“Il Grande Dio Pan”, Tre Editori, 2016, p. 110): proprio come la tiara, la tonaca, il mantello, l'anello piscatorio e il crocefisso sono in “The Pope” simboli della reale esistenza, oltre il velo di indifferenza dei poveri miscredenti come noi, di Dio, la qual cosa non porterebbe ad una presa di coscienza meno orribile di quella cui porta della realtà orrorifica simboleggiata dal dio Pan o dalle derivative entità lovecraftiane: perchè se Dio esistesse (e diamo per scontato che non sia così, non essendo questa la sede per tali speculazioni), «se un caso simile fosse possibile, la nostra terra sarebbe un incubo» (Ibidem, p. 22).
L'unica scappatoia da questa desolante realtà governata dal Dio cristiano, peggiore di qualunque racconto orrorifico, ci viene data dallo stesso fittizio psichiatra che citavamo prima, cui Yuzna la affida, anticipando il tema che di M. Night Shyamalan avrebbe poi proposto in “Glass” (2019), quando, chiamato a testimoniare, il medico afferma che quella del protagonista potrebbe benissimo trattarsi di una schizofrenia causata dal prematuro smascheramento, poi sfociato in una «fantasia di supereroi».
Ora sta a voi comprare come dei veri Soldati di Cristo questo stramaledetto romanzo, sperando che così facendo si possa un giorno vederne una versione cinematografica, e sta a voi decidere quale delle due decisamente poco allegre alternative del romanzo vi sembra quella corretta.

Essere salvati da un Papa psicopatico o non essere salvati affatto. 

Forse è proprio vero che quei due stronzi vestiti di frasche non devono averci lasciato molta scelta.

Articolo di Donato Martiello

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