giovedì 16 luglio 2020

Oltre il concetto della follia: Alienata con monomania dell’invidia - Orrori su tela

La follia, in qualsiasi ambito artistico – dalla letteratura, alla scultura, alla pittura, alla musica – risulta essere un tema trattato con un’incredibile frequenza e costanza. Il rischio che, naturalmente, si corre trattando con tanta ridondanza un tema è quello di scadere nel paradigma della banalità, di ripetere centinaia di volte le stesse cose, di riproporre continuamente le stesse riflessioni, le stesse osservazioni, in modo piatto e monotono. Ma la follia non lo ha mai permesso. Probabilmente grazie alle sue numerose sfumature, forse a causa dell’incredibile quantità di casi e della varietà che sottintende il termine stesso. 

La parola “follia” deriva dal termine onomatopeico latino follis, ossia “vuoto”, ed ha subito numerosi mutamenti di significato nel corso della storia: se in un primo momento, in epoca classica, designava la “voce del divino”, nel medioevo assunse significati ben diversi: il folle diventò l’individuo plagiato dal demonio, per cui bisognava liberarlo dal male tramite operazioni fisiche, in quanto si diffuse la dicotomia corpo-spirito secondo la quale un corpo guasto impediva allo spirito di esprimersi. In casi di insuccesso si prendevano mezzi ben più drastici: si eliminava il folle. Nel periodo rinascimentale, ancora, il termine muta di significato, e il folle diventa colui che, seguendo un sistema di valori originale e diverso dalle tendenze culturali, meritava il rispetto della collettività. Fu solo qualche secolo dopo, nella Francia settecentesca, che la follia diventò materia di studio scientifico, grazie all’intervento del medico Philippe Pinel e ad un approccio decisamente più laico e ortodosso rispetto alle drastiche incarcerazioni e alle torture subite dai cosiddetti “folli” nei secoli passati. 
Ritratto di Philippe Pinel
Non ci stupisce, dunque, se questo approccio scientifico alle malattie mentali ha suscitato l’interesse di varie élite di intellettuali illuministi, siccome evidenziava la contrapposizione netta e marcata tra il pensiero logico e razionale (che qualche secolo dopo sarà individuato da Freud come un’operazione dialettica costante ed equilibrata tra l’Es ed il Super-Io) tipico degli illuministi e il pensiero irrazionale ed illogico. Gericault, in particolare, si interessò così tanto all’argomento che realizzò un ciclo di ritratti dedicati a delle vere e proprie personificazioni delle malattie mentali, conosciuto da noi col nome di Ciclo degli Alienati

La serie di dipinti, originariamente composta da 10 quadri dei quali ci sono pervenuti solo la metà, manca di una datazione precisa, perché non siamo sicuri delle ragioni che hanno spinto l’artista a realizzarla. Si ipotizza sia stata l’influenza del suo amico alienista Georget, che gli presentò il celebre scienziato Esquirol introducendolo al mondo della nascente psichiatria moderna, ancora in fase di sviluppo e che mancava di fondamenta ideologiche ben precise. 
I cinque dipinti che ci sono pervenuti raccontano delle storie drammatiche, di sofferenza e di emarginazione sociale, quasi come se fossero una campagna di sensibilizzazione. Le malattie mentali che vengono analizzate sono la monomania dell’invidia, la monomania del furto, la monomania del gioco d’azzardo, la monomania del rapimento di bambini e la mania del comando militare. Cinque personaggi che, dunque, vengono catturati in momenti particolari, nei quali il loro volto quasi si deforma fisionomicamente al culmine della loro mania. La particolarità di questi quadri è che viene raffigurato solo ed esclusivamente il soggetto, viene abolito il contesto e l’ambiente circostante, dunque non sappiamo cosa abbia scatenato la mania in quel preciso istante in ciascuno dei personaggi: l’unica cosa che conosciamo è la loro espressione, i loro tratti mutati, i loro occhi iniettati di sangue.
 
Il quadro “Alienata con monomania dell’invidia”, realizzato nel 1822 e attualmente conservato al museo delle belle arti di Lione, infatti, raffigura una donna anziana dalla pelle pallida, macchiata, col viso solcato dalle rughe e dai capelli bianchi e disordinati. Il realismo impiegato nel raffigurare i dettagli del suo viso va a scemare nella parte inferiore del quadro, i suoi abiti infatti sono resi con una serie di pennellate che sembrano essere state eseguite con velocità, in modo grossolano ma che paradossalmente riesce a conservare un senso di profondità specialmente nella parte superiore della veste dell’anziana. Questo espediente, insieme alla mancanza totale di un ambiente, va a suggerire come il vero soggetto del quadro sia, appunto, il viso dell’anziana, il resto è tutto superfluo: Gericault vuole che l’interlocutore si concentri su quello, non vuole che sia distratto. 
L’anziana ha lo sguardo rivolto verso sinistra, come se stesse osservando qualcuno accanto a se, ed i suoi occhi stanchi e la sua bocca contratta lasciano trapelare tutta l’invidia che caratterizza la sua mania. Le pennellate diagonali dello sfondo suggeriscono la dinamicità del suo malessere: è spesso quiescente, ma quando si manifesta lo fa in modo piuttosto repentino, incontrollabile e violento. Il suo copricapo bianco, invece, suggerisce un senso di purezza, totalmente opposto alla sua mania dell’invidia. 

La suggestività del quadro, in effetti, sta nel riuscire a riconoscere quell’espressione. Tutti l’abbiamo vista, tutti la conosciamo. È dunque opportuno sottolineare quanto il concetto di “follia” intesa come una pazzia distruttrice e demolitrice abbia ormai un retrogusto retrogrado, un sapore di vecchio che non dobbiamo più tollerare. Esiste un vero e proprio stigma per quanto riguarda le malattie mentali, che induce le persone a vergognarsi o addirittura ad aver paura di chiedere aiuto nel momento in cui si ha la lucidità necessaria per riconoscere di avere un problema, nel timore di poter essere giudicati.  
La verità è che la normalità è il vero concetto folle, perché si basa sulla persuasione a conformarsi a dei canoni sorti arbitrariamente nella nostra società. Perché, in fondo, la normalità non esiste, e se esistesse sono sicura che quella sarebbe la vera follia.  

ARTICOLO DI
MANUELA GRIFFO

2 commenti:

Unknown ha detto...

Tanta roba. Complimenti.

Megan Walsh ha detto...

Ciao a tutti,è un sito fantastico!