venerdì 13 dicembre 2019

Re-Animator ed il cinema Lovecraftiano - Re-Animator Sviscerato: L'Ultimo Esperimento (Parte Seconda)

ATTENZIONE: Questo articolo è il decimo  ed ultimo della serie ed il quarto del capitolo dedicato agli altri innominabili esperimenti di Herbert West, rianimatore, consigliamo la lettura dei precedenti articoli (che potete trovare qui) per una comprensione ottimale del testo. Potete leggere qui la precedente parte.


Capitolo Quarto, Paragrafo Quarto
Ultimo Esperimento

Fatte le dovute premesse, vediamo di capire una volta per tutte se Re-animator sia davvero solo «un prodotto commerciale assai riuscito e che si spinge un po' troppo in là con l'umorismo e lo splatter, […] una versione cinematografica che smarrisce l'essenza più profonda della storia a cui si ispira» (Rosati 217), focalizzandoci sui tre punti  incriminati: l'umorismo, la violenza e la sessualità. Questo premettendo che i primi due erano già presenti nel racconto originale e che, casomai, è la loro esagerazione che va posta in discussione, e pure sarebbe da tenere ben conto di tutto ciò che abbiamo detto su ognuno di questi tre punti e su come tale esagerazione derivi più da una logica autoriale che commerciale.
Illustrazione di Kenpudiosaki
Partiamo con l'umorismo, che sappiamo essere presente nel film sotto forma o di una caustica comicità (Herbert West) o di un grottesco perturbante (i suoi esperimenti), rispetto all'ironia tematicamente molto simile ma meno costante e più sottile del racconto, che già prevedeva, per esempio, «un chirurgo decapitato e capace di rianimare i morti» (H.P. Lovecraft, Herbert West, rianimatore, in Tutti i racconti 1897 – 1922, G. Lippi (a cura di), cit., p. 270) e un Herbert West «che spesso pensava all'ironia della situazione: tanti cadaveri freschi e nessuno per le sue ricerche» (250); come direbbe Gordon, è solo “per mantenere la nostra sanità mentale” (Cfr. Commento del regista, nel blu-ray Re-animator, edito da Second Sight) e proprio per non finire come gli “eroi” di Lovecraft che siamo, in condizioni nel film volutamente perseguite, naturalmene portati a farci beffe della cosa che allo stesso tempo aborriamo: la morte, che è anche la vita, proprio come la risata è anche terrore e, se non si è distratti dalla ricerca di una pretenziosa e macchinosa fedeltà o dalle sicurezze del riso comune, l'umorismo del film non fa che rendercene ancora più consapevoli. «È raro che l'ironia sia assente anche dagli orrori più grandi» (H. P. Lovecraft, La Casa sfuggita, in Tutti i racconti 1923 – 1927, G. Lippi (a cura di), cit., p. 3), «[l]'humor è soltanto l'eco terrestre dell'abominevole risata di dei ciechi e folli», «[l]'umorismo non è nient'altro che il fischiettare, per darsi coraggio, dell'uomo lungo una strada buia» (Teoria 194-195): sono soltanto tre delle numerose affermazioni di Lovecraft sulla questione che non lasciano adito ad ulteriori dubbi riguardo a un sedicente “tradimento” dello spirito dello scrittore da parte di questo punto, alla luce della natura totalmente anticatartica e antiparodica che abbiamo sempre visto risiedere nel black humor assolutamente grottesco di Re-animator; ma il colpo di grazia definitivo a qualunque critica su di esso l'aveva in realtà già dato Worland nel precedente capitolo, quando dimostrava come Gordon avesse compreso alla perfezione, seppur manipolandole per i propri scopi, le concezioni estetiche di Charlie Chaplin, la cui comicità malinconica non a caso Lovecraft apprezzò dedicandole una poesia (Joshi 105).
Come generalmente accadeva nel New Horror americano degli anni '80, l'esasperazione dell'umorismo si legava a doppio filo con quella della violenza: lo splatter; ma Re-animator costituisce un'eccezione, giacchè, come si era visto, pure questo ha la sua vera ragione d'essere in una logica granguignolesca dove gli uomini non sono altro che marionette non(-)morte i cui fili sono tenuti dai Grandi Antichi, che a loro volta non sono altro che le immutabili leggi dell'universo che regolano la vita (e la morte); come se non bastasse, perfino Rosati riconosce nello scrittore di Providence la presenza di un «rigetto del corpo/fisicità, con storie nelle quali esso viene persino privato [La cosa sulla soglia (1933; The Thing on the Doorstep) e L'ombra calata dal tempo (1934; The Shadow out of Time)], o ha un aspetto talmente orribile, da essere inconcepibile per la mente umana [L'estraneo]» (216), ma la sorpresa più grande viene da Curti quando dice che «in Lovecraft il Male è espresso dalla putrefazione e dal decadimento fisico: i fetori, la putredine, le suppurazioni e i fluidi corporei che accompagnano le manifestazioni delle entità mostruose irridono l'umana imprefezione e deperebilità celata sotto una carcassa di pelle ossa e muscoli» (R. Curti, Demoni e dei. Dio, il diavolo, la religione nel cinema horror americano, cit., p. 66), in quella che pare più una descrizione delle trasposizioni, da lui stesso poco considerate, di Gordon e Yuzna, piuttosto che dei veri e propri racconti originali di Lovecraft. 
Così, se prima si potevano ancora avere dei dubbi sul mero intento sensazionalistico di scelte registiche come il «raggelante dettaglio di un cotonfiocco introdotto nel foro sulla tempia [di un cadavere]» (R. Worland, The Horror Film: An Introduction, cit., p. 247), adesso esse potranno essere criticate soltanto minando alle fondamenta, costituite dal materialismo scientifico di Lovecraft da cui tutto ebbe inizio, dell'intera migliore produzione horror contemporanea: del resto, se la scienza è un metodo per arrivare alla verità, e la verità è che l'universo è puro caos dove l'uomo sussiste in una condizione di burlesca e insignificante caducità, l'inesorabile applicazione della ricerca scientifica da parte di West non può non avere come risultato il delirio più follemente sanguinario che si possa immaginare: The Cold (“Il freddo”), il secondo episodio di Necronomicon e l'ultimo di cui ancora non si era parlato, non poteva essere più semplicemente perfetto nell'adattare il futile tentativo del protagonista di Aria fredda (1924; Cool Air) di tenersi in vita oltre i limiti umani, attraverso pozioni varie ed un costante raffreddamento sotto lo zero dei propri spazi vitali, con un'identica logica splatter, che stavolta, vista l'umanità del medico interpretato da David Warner, non ha però nulla di umoristico o divertente. 
Allo stesso modo, Re-animator non poteva rifuggire dal mostrare il corrispettivo della scena cartacea dove, «dopo aver iniettato nuovo sangue, [West] aveva legato vene, arterie e terminazioni nervose che sporgevano dal collo e aveva chiuso l'orrida apertura con un ritaglio di pelle» (267): in tale maniera, per lui insolitamente esplicita, Lovecraft descrisse le operazioni chirurgiche condotte da West sul cadavere decapitato prossimo alla rianimazione. Lovecraft stesso verrebbe con difficoltà chiamato in causa in questo discorso, rimanendo pittosto ambiguo sul fatto se la narrativa che definiva della mera «paura fisica o del macabro naturale» (Teoria 468), che comprenderebbe tanto lo splatter postmoderno quanto certe opere di scrittori da lui comunque stimati come Il pozzo e il pendolo (1842; The Pit and the Pendulum) di Poe, le puntate nel Grand Guignol di Lord Dunsany (150) e soprattutto i «raccapriccianti orrori fisici» (360)  di Maurice Level (verso cui sembra nutrire un certo rispetto oltre che considerarli stavolta appartenenti ad un genere totalmente diverso, che definisce eloquentemente un cupo realismo “tutto francese”), sia totalmente inferiore o solamente diversa da quella che lui riteneva la più efficace e da cui prende il nome il suo saggio fondamentale, L'orrore soprannaturale in letteratura (1927; Supernatural Horror in Literature); aveva duramente affermato, all'inizio del saggio, che un tale tipo di narrativa rientrerebbe nei bassifondi dell'horror (sovrannaturale? Forse è di troppo questo aggettivo, ma anche qui le cose andrebbero chiarite perchè Lovecraft sembra identificare il proprio ideale di cosmic horror come la forma “più alta”, e quindi solo una sezione, dello stesso), rimanendo  non più chiaro ed esaustivo più di quanto riesca però ad essere caustico e sbrigativo:
«Tali opere hanno certamente una loro collocazione, alla stregua della storia di fantasmi tradizionale, o anche stravagante o umoristica, in cui il formalismo o il deliberato ammicco dell'autore cancellano l'autentica impressione di un'anormalità morbosa; ma tutto ciò non costituisce la letteratura del terrore cosmico nel suo significato più genuino. Il vero racconto sovrannaturale possiede qualcosa di più del delitto misterioso, delle ossa insanguinate» (317).
"La casa" ("The Evil Dead", USA, 1981), regia di Sam Raimi
Mentre nell'introduzione al saggio Claudio de Nardi si limita a riverire passivamente le affermazioni dello scrittore guardando dall'alto in basso i «liquami dello splatter» (300), Joshi non si fa problemi ad ammettere che «alcune di queste regole non sono altro che giustificazioni a posteriori del suo stesso modo di scrivere» (56) e viene da sé che, come la stessa poca chiarezza di Lovecraft sembra confermare, esse tendano, soprattutto nella sfera formale, diegetica o stilistica, a costituire più un mezzo personale per raggiungere “l'atmosfera” che non l'atmosfera stessa, e che questa (la si definisca weird, cosmica o dell'orrore sovrannaturale, sempre tenendo conto che, anche nel pensiero di Lovecraft stesso, le tre definizioni tendono inevitabilmente a sovrapporsi ma anche ad allontanarsi; per quanto ci riguarda, una perfetta ed univoca schematizzazione dell'arte non esiste e non può esistere) possa assumere diverse forme espressive: abbiamo visto che lo splatter di Re-animator costituisce più un mezzo che la summa effettiva di quel che il film racconta, e sarebbe quindi da relegarsi tra quegli irrilevanti “eventi formali” che non vediamo perchè dovrebbero essere tenuti dai crititci in considerazione maggiore rispetto al senso di meccanicità della vita umana che essi producono, fermo comunque restando che il mezzo cinematografico non può non imporne la visione di contenuti, che vanno “codificati e decodificati”, cui si poteva alludere nel testo letterario: potrà non essere la forma migliore per rappresentare l'orrore cosmico “nel suo significato più genuino” che Lovecraft ritrovava in Poe, Blackwood, Hodgson e Arthur Machen, né pretendiamo che possa compendiare tutte le altre componenti dell'attributo “lovecraftiano” che, diciamocelo, troverà sempre la sua più completa e perfetta espressione solo nelle opere dello stesso Lovecraft, ma quella di Re-animator, oltre che di buona fattura cinematografica, ci pare anche abbastanza efficace nel riprodurne alcune delle più basilari e perturbanti implicazioni.
E adesso veniamo all'erotismo, che senza dubbio alcuno costituisce il principale e più controverso oggetto delle accuse di tradimento e misinterpretazione della materia originale lovecraftiana da parte di Re-animator. Mettendo da parte la comunque esatta affermazione di Gordon riguardo la necessità del cinema di mostrare qualcosa che nella letteratura può essere più facilmente alluso, come l'erotismo neppure accennato delle innominabili unioni de La maschera di Innsmouth o L'orrore di Dunwich, diamo per buono che questa presenza diegetica molto sporadica della sessualità in Lovecraft rientri pure essa tra le caratteristiche formali il cui fraintendimento o uso sconsiderato possa effettivamente snaturare il senso dell'opera originale, e cerchiamo piuttosto un legame sempre con il pensiero estetico dell'autore. Lovecraft aveva idee molto chiare sull'argomento e, diversamente da molti suoi critici e studiosi, dimostra un'impressionante onestà intellettuale quando afferma:
«Non mi piace l'arte geometrica modernista, la poesia imagista, l'enfasi sull'erotismo, la democrazia in ambito socio-politico – ma questo cosa significa? Sarebbe infantile da parte mia etichettare tutte queste cose intrinsecamente e universalmente “cattive” soltanto perchè esse sarebbero inadeguate nel mondo obsolescente che ha generato le mie opinioni» (480).
Nella medesima epistola identificò sette differenti tipologie della rapprsentazione erotica cercando di stabilire se costituiscano o meno una forma d'arte: realista, lirica, satirica, pornografica, figurativa, umoristica e didattica. Vediamo cosa ha da dire sul penultimo tipo, quello in cui Re-animator meglio si inserisce:
«è probabilmente il caso più dubbio e discutibile fra i sette che sto elencando. In assoluto, non penso che possiamo criticarlo più di tanto – ma qui possiamo muovere più facilmente obiezioni che nel caso della letteratura erotica seria, poiché sono coinvolte soltanto tenui sfumature dello spirito. Il nostro giudizio su un brano di arguzia audace deve sempre essere provvisorio e approssimativo – in quanto il brano nasce esclusivamente dall'atteggiamento estetico dominante nel luogo e nel momento. Naturalmente, c'è cattivo gusto nell'esagerazione di qualsiasi argomento qualora non sia richiesta dal racconto dal vero, e che possa urtare la sensibilità della maggioranza dell'eventuale pubbico. Al momento attuale, la moribonda epoca anti-erotica non è (a mio parere) estinta abbastanza da rendere l'arguzia della Restaurazione del tutto accettabile alla nostra vecchia generazione» (487-488).
Descrivendo l'infausta scena, Worland ci autò a vedere come essa coinvolgesse ben più di “tenui sfumature dello spirito”: il terrore dello stupro nella recitazione della Crampton è palpabile, eppure la grottesca assurdità degli eventi e la regia di Gordon creano un senso di ambiguità per cui lo spettatore non sa se rimanere scandalizzato o meno. Dunque, già in questo il film prescinde qualunque giudizio negativo imputabile ad un effetto scandalizzante che, inoltre, andrebbe esclusivamente ricondotto all'“atteggiamento estetico dominante del luogo e del momento”: Re-animator, pure figlio del proprio tempo, non avrebbe potuto scandalizzare chiunque alla sua uscita nelle sale più di quanto non cesserà di “urtare la sensibilità” di qualcuno in futuro, mettendo così in discussione la stessa definizione di “cattivo gusto” e ponendo lo spettatore nell'impossibilità di decidere dove cominci e dove finisca il vago limite oltre il quale si dovrebbe ricadere in una “esagerazione” che lo produca. Perchè in verità (sottolineamo questo punto tanto fondamentale per Lovecraft) non c'è  modo di definirlo, tanto più se il mondo reale non è non meno una farsa di un mondo fittizio dove le teste tornano in vita e si mettono a parlare. Il grande potere di Re-animator è trascendere un buon gusto che non esiste, creare un limite che esso stesso supera, perchè un buon gusto e un limite non possono esistere nell'insensata visione cosmica e materialista che Lovecraft aveva dell'esistenza, solo che perfino lui pare dimenticarlo, tenendo probabilmente l'arte in una considerazione maggiore di quella in cui teneva la vita (e chi può biasimarlo). Ma abbiamo visto che lui stesso considerava l'arte come inevitabilmente connessa alla verità, e Re-animator coraggiosamente e spregiudicatamente rivela una verità che raramente è stata esposta, se non dai più grandi teorci della provocazione, agli occhi increduli degli uomini, una verità che neppure l'ormai talmente accettata da essere sconosciuta ai più “arguzia della Restaurazione” riuscì a rivelare durante gli ultimi rantoli dell'epoca anti-erotica in cui era parsa tanto inaccettabile: che qualsiasi cosa prima o poi può diventare accettabile, che nessuna cosa al mondo detiene un effetto sovversivo per sempre, ma Re-animator nella sua inarrestabile opposizione, come quella del reagente contro la morte, contro di tutto e contro di tutti, durante la quale ogni volta che viene domato e ucciso torna in vita, si ribella anche a quest'immutabile verità, e vuole rimanere inaccettabile in eterno, perchè, in un altrettanto inaccettabile paradosso che non vuole morire e che lo rende effettivamente tale, non accetta neppure sé stesso, negando che qualcosa che non sia “del tutto accettabile” sia mai esistito o che mai potrà esistere.
Se qualcuno ancora credesse che dalla sottotrama romantica tra Dan e Meg, seconda per critiche solo a quella erotica nell'ambito delle pellicole tratte da Lovecraft, ci si debba aspettare un “ammorbidimento” di questo inesorabile pessimismo meccanicista e disfattore di ogni certezza e preconcetto e che ci ha mostrato la nostra fagilità mentale con il grottesco, fisica con lo splatter e morale con il sesso, basta ritornare al punto della pellicola dove ci eravamo interrotti, ovvero alla sequenza concettualmente identica all'inizio-finale de La casa delle streghe, dove la casa viene (ri)messa in vendita (così come i racconti di Lovecraft erano soliti fare uso di una narrazione a ritroso degli eventi partendo da un finale già noto al narratore):
«la sanguinosa scena finale in cui Dan taglia con un'ascia il braccio del cadavere ustionato che sta strangolando Meg mantiene il ritmo incalzante riproponendo l'introduzione di Dan [che cercava di salvare  una paziente] nel reparto di rianimazione dove con altri medici tentano invano di rianimarla. Quando Dan usa il reagente [fig. 15], lo schermo diventa nero tranne per il fluido verde che lentamente scompare iniettato dalla siringa, un efficace impiego dell'animazione che, accompagnata dal ritorno del tema di Psyco e dall'urlo di Meg, fa calare il sipario» (Worland 251);
sequenza ispirata al finale del romanzo di Stephen King Pet Sematary (1983; Id) per aperta ammissione del regista. E sebbene Worland ritenga che «lo scioccante spettacolo della comicità oltraggiosa e dei macabri effetti alla fine allontanino dopo tutto Re-animator da un finale troppo cupo» (Ibidem), noi, per la prima e ultima volta, siamo in totale disaccordo con il critico: perchè se la forza motrice di Herbert West era costituita da un «anormale zelo scientifico nel prolungare la vita [che] era degenerato in semplice curiosità morbosa, in un gusto del colore macabro, […] in un'infernale e perversa devozione a tutto ciò che di ripugnante e mostruosamente anomalo esiste al mondo […], calmo e soddisfatto» (Lovecraft 256) come un bambino davanti alle sue bravate incarnata dal «viso infantile dalla mascella contratta per la tensione e lo sguardo penetrante» (Worland 246) di Combs, tale forza motrice pure lo rende fascinosamente istrionico e surreale; ma è Daniel Cain, il “tipo normale” in cui tutti si riconoscono dentro (e fuori) la pellicola, che non riesce pur con tutta la sua lucidità contrapposta alla follia (o e solo consapevolezza?) di West ad affrontare la scomparsa di una persona cara, non riesce, seppur conscio delle conseguenze, a impedirsi riusare il reagente, come se fosse veramente una droga, non riesce a porre la razionale visione di ciò che è reale sopra l'illusione di quello che vorrebbe che lo fosse (e che questo sia uno degli elementi fondamentali della letteratura weird lo dice Lovecraft stesso), riportare davvero in vita i morti, diversamente da West a cui in fondo interessa solo provare le sue teorie e godere sadisticamente dei suoi innominabili esperimenti.
Non riesce a non rimanere intrappolato in un disvelamento concentrico della propria ideologica devozione alla salvezza altrui in qualcosa di peggiore perfino delle distruttive ma insensate ricerche del mad doctor: «la difficoltà che si incontra nel cercare di non essere egoisti, nel cercare di resistere alla corruzione del cuore umano. […] Il voler piantare l'ago con il reagente nel collo della tua innamorata defunta pur sapendo che poi sarebbe tornata in vita come un mostro» (P. Zelati, American Nightmares. Conversazioni con i maestri del New Horror americano, cit., p. 499), questa la logica “commerciale” del produttore Brian Yuzna (talmente commerciale che non ha all'attivo un film da quasi dieci anni), dove perfino l'amore si rivela quale egoistico bisogno dell'altro nell'ostinato e illusivo rifiuto di Daniel della fragilità di Megan di fronte alla malattia e alla morte; tutto ciò è, dunque, solo un “tradimento” grotowskiano della forma dell'opera originale, cogliendone, quale che sia la visione di Rosati o di altri, la “vera essenza” e che un regista tanto di cinema che di teatro (a cui peraltro adesso si dedica esclusivamente e per cui ha realizzato perfino un'irresistibile versione musical on stage di questa sua opera prima) come Stuart Gordon non poteva non applicare (si pensi in ultimo luogo a quello che dice a proposito della trasferibilità temporale delle storie di Lovecraft per rispondere alle critiche sul non averle ambientate negli anni '20, dimostrando ancora una volta una comprensione della modernità anzitempo del corpus lovecraftiano maggiore di quella di tanti fan e critici).
Come Daniel Cain, nessuno riuscirà mai veramente accettare, se non a costo della propria sanità mentale, che «dietro le quinte della vita c'è qualcosa di funesto che fa del nostro mondo un'incubo» (Ligotti 161), a cui la morte ci permette di essere spettatori e allo stesso tempo, in un paradosso perturbante, ci dirige come attori: un'imperscrutabile recita cosmica in cui ci rivediamo come le scomposte marionette di un Grand Guignol grottesco e sanguinario, su cui solo il calare del sudario e sipario della morte stessa potrebbe misericordiosamente porre la parola fine.
Forse.
Articolo di Donato Martiello, estratto dalla sua tesi "Re-animator: dal Frankenstein di Mary Shelley al moderno cinema lovecraftiano" per il Corso di Laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo (DAMS) - Cinema, Televisione e Nuovi media di Roma, anno accademico 2018/2019, relato dal professor Christian Uva.

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