venerdì 15 novembre 2019

Il male dentro lo specchio (Recensione "Il signore del male")

...Hello?...Hello?...Hello?...Hello?...I've got a message for you, and you're not going to like it. Pray for death.”

Quando si parla dell'enorme importanza che ebbe la New Hollywood nella storia della settima arte statunitense, fra i vari Scorsese, Spielberg, De Palma, Coppola ecc...,  ci si dimentica spesso di un'altra figura fondamentale per il cinema americano ed internazionale: John Carpenter.

Ispirandosi in particolar modo al cinema classico di genere western e di fantascienza, ed unendovi spesso critiche taglienti al sistema politico ed economico statunitense, Carpenter mette in scena la sua idea di cinema, filtrando il tutto (quasi sempre) attraverso gli occhi di anti-eroi atipici, anticonvenzionali ed anarchici.
Sebbene non si possa ricodurre questo artisita esclusivamente ad un unico genere cinematografico, possiamo dire che quello che più lo rappresenta, o almeno che più lo ha reso noto in tutto il mondo, sia l'horror.

Il seme della follia”, “La Cosa”, ed “Halloween” sono film che sono entrati di diritto nell'Olimpo del cinema horror di tutti i tempi, ma è in un film in particolare che Carpenter, forse, ha raggiunto il perfetto equilibrio tra tutti quegli elementi attraverso i quali si riesce a trasmettere nello spettatore quella sensazione chiamata paura.
Nel periodo in cui il regista stava buttando giù le prime idee per la sua futura pellicola, Leon M. Lederman, vincitore del Nobel per la Fisica, stava progettando la costruzione di un enorme accelleratore di particelle da realizzare nel deserto di Dallas, per cercare di testimoniare l'esistenza della cosìddetta “Particella di Dio” (che verrà poi scoperta soltanto 20 anni dopo al CERN di Ginevra) e questo servì a Carpenter come fonte di ispirazione per il nuovo film che stava scrivendo: “Il signore del male, uscito nelle sale di tutto il mondo nel 1987, dove Carpenter ricopre, sulla carta, esclusivamente le vesti di regista, adottando lo pseudonimo di Martin Quatermass per il suo ruolo di sceneggiatore.

Ci troviamo a Los Angeles, dove un prete (interpretato dal fedelissimo Donald Pleasence) scopre, all'interno di una vecchia chiesa, una misteriosa stanza all'interno della quale si trova nascosto un antico cilindro contente uno strano liquido verde in regolare e continuo movimento. Decide quindi di invitare l'esperto metafisico Howard Birak (Victor Wong) ed una squadra di ricercatori ad indagare su questo misterioso fluido, che si rivelerà essere nientemeno che la materializzazione pura del Male. E così, per i nostri protagonisti, avrà inizio un terribile incubo.
Partiamo subito col dire che “Il signore del male” sia per la genialità del soggetto che per l'invadente sensazione di terrore che si respira per tutti i suoi 104 minuti, entra di diritto fra i migliori horror degli anni 80, così come gli altri due film della cosìdetta “Trilogia dell'Apocalisse”, ovvero i già citati “La Cosa” e “Il seme della follia”.

Grazie anche alla claustrofobica ambientazione principale, ovvero l'enorme chiesa abbandonata, all'interno della quale si svolgono la stragrande maggioranza degli eventi narrati, assisitamo ad un graduale declino verso un'atmosfera sempre più cupa e surreale. Carpenter preme forte sull'accelleratore e utilizza tutte le carte a sua disposizione in grado di spaventare lo spettatore, senza l'utilizzo di inutili e fastidiosi jumpscare, ma soltanto attraverso sequenze perfettamente ritmate e posizionate all'interno della storia: i vermi e gli scarafaggi, apparentemente evocati da un'oscura forza maligna, che appaiono improvvisamente sulle finestre ed i rosoni del santuario, le inquietanti scritte minacciose che tutto ad un tratto invadono gli schermi dei computer, i sinistri sogni premonitori in cui una figura oscura fuoriesce dal portone socchiuso della chiesa, ne sono dei chiari esempi, e dimostrano come questo cineasta, sulla scena da 15 anni, sia ancora in grado di creare una suspense assolutamente tangibile grazie ad una regia estremamente quadrata, dove la minacciosa grandezza della chiesa viene messa inrisalto da grandangoli rirpesi dal basso, dove le scene di maggior terrore non vengono nascoste, ma sbattute in faccia allo spettatore nella loro più completa crudezza, ricorrendo in maniera minima al fuori campo. 
Di grande impatto e funzionalità con le scene che questa accompagna, come in ogni migliore pellicola del regista newyorkese, è la colonna sonora, ovviamente composta dallo stesso Carpenter, veramente magistrale ed inserita in maniera assolutmante perfetta nei momenti più adatti, con i potenti ed oscuri synth spesso anche ripetitivi, che, come un ossesso, entrano di prepotneza nel cervello dello spettatore, testimonando ancora una volta che la paura nel cinema non passa esclusivamente dall'apparato visivo di chi guarda, ma anche da quello uditivo di chi sente, un aspetto sempre meno preso in considerazione negli horror moderni, in cui le musiche appaiono spesso anonime e senza aggiungere niente di più alle scene che queste accompagnano.

Un altro elemento piuttosto interessante è il fatto di come, sebbene il film faccia parte, indubbiamente, di quella frangia dell'horror definibile come “sovrannaturale”, i personaggi (che non dimentichiamoci, sono degli scienziati a tutti gli effetti) cerchino comunque di darsi una spiegazione palusibile e razionale di tutto quello che gli sta accadendo intorno. E' non è un caso, quindi, che spesso durante il film si parli, in maniera non superficiale, di metafisica, arrivando a rendere plausibili e credibili avventimenti quali possessioni demoniache e messaggi provenienti dal futuro, mettendo in evidenza, probabilmente, la vera forza della pellicola: voler far credere inconsciamente allo spettatore che ciò che sta vedendo, per quanto strambo e surreale possa sembrare, potrebbe accadere a chiunque in qualsiasi momento. E sta proprio qui la grandezza di Carpenter, il riuscire a farci immedesimare nei personaggi in maniera sempre più forte e più intima, anche al di fuori della sfera del “realismo”.
Ovviamente questo non significa che nel film venga spiegato ogni singolo evento che i protagonisti si trovano davanti ai propri occhi. Il vecchio John riesce a dosare alla perfezione anche l'elemento “misterioso”, lasciando il tutto alla libera interpretazione dello spettatore, ed un esempio lampante lo troviamo nel finale, forse ottimista, forse terribilmente pessimista, totalmente incerto, ma sicuramente perfetto, con l'ultima inquadratura che sembra dar forza a questa sua totale ambiguità, dove bastano una mano, uno specchio ed una sapiente scelta di montaggio per lasciare lo spettatore insonne a causa delle numerose domande irrisolte...

...ma anche della paura.

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