venerdì 26 febbraio 2021

Una storia ripescata (Recensione "Kaiju Raban" e "Il Mostro Marino")

Può capitare che un autore molto prolifico riprenda, dopo tanto tempo, alcuni cliché narrativi, tematiche se non addirittura trame intere già affrontate in opere precedenti. La storia che andremo a trattare oggi è proprio un caso di questi “riutilizzi”.

Pubblicata per la prima volta nel 1958, Kaiju Raban è una one-shot di circa 125 pagine scritta e disegnata da Shigeru Mizuki per conto della Toho. La storia è tuttora inedita in Italia ed è stata ristampate una sola volta in patria nel 2009 per conto della rivista Shogakukan. Questo fumetto è di fondamentale importanza per chi è fan dell’universo di Godzilla in quanto introduce per la prima volta una creatura ibrida, cosa che si ripresenterà solo trent’anni dopo con l’introduzione di Biollante nel film del 1989 “Godzilla vs Biollante” della Toho.


I protagonisti della storia sono due scienziati, Ichirou Mizuki e Jirou Ikawa: il primo proviene da una famiglia modesta, è di buon cuore e deve tutti i suoi successi alla sua mente brillante mentre il secondo è ricco, ha un pessimo carattere ed è invidioso dei successi del primo. I due organizzano una spedizione in Papua Nuova Guinea per recuperare un campione del sangue di Godzilla per studiarlo e trovare la formula per l’immortalità. La spedizione si conclude con successo quasi per miracolo: gli esploratori che accompagnavano i due scienziati sono morti per mano di Godzilla e Ichirou è stato ferito dagli indigeni dell’isola da un dardo avvelenato.

Mentre i nostri protagonisti si trovano sulla nave che li porterà a casa, Jirou escogita un piano per sbarazzarsi del rivale e poter prendersi così tutti i meriti. Inventando la scusa di aver trovato un antidoto al veleno infatti, inietta una piccola parte del sangue di Godzilla nel corpo di Ichirou credendo di ucciderlo ma il sangue non dà l’effetto sperato e lo scienziato si trasformerà in una creatura gigante, il cui aspetto ricorderà vagamente proprio Godzilla: Raban

Nonostante l’aspetto mostruoso però, Ichirou ha mantenuto la sua natura umana e, in un tentativo disperato di chiedere aiuto, si recherà nel centro abitato attirando l’attenzione dell’esercito, il quale chiederà a Jirou di trovare un modo per uccidere Raban prima che scateni il terrore in città. La storia affronta insomma il come l’invidia possa portare a terribili conseguenze e come l’uomo non debba servirsi della scienza per modificare la natura e porsi al di sopra di essa, in quanto essa troverà subito un modo per vendicarsi e ristabilire l’ordine.


Mizuki riprenderà la trama alla base di “Kaiju Raban” per una storia con protagonista Kitaro dei cimiteri, “Il mostro marino”, storia che è anche giunta in Italia grazie alla raccolta in due volumi della J-Pop. Pubblicata per la prima volta nel 1966 su Shonen Magazine, “Il mostro marino” è una delle storie più famose di Kitaro: Nel corso degli anni infatti la storia è stata adattata più volte nelle varie serie animate e nel 1996 è stato realizzato un film animato basato su di essa.

Le differenze più importanti che distinguono “Il mostro marino” da “Kaiju Raban” sono: la presenza dello Zeochronodon, un antenato delle balene caratterizzato da un folto pelo, al posto di Godzilla e i due scienziati protagonisti sostituiti rispettivamente da Kitaro e Shuichi Yamada, uno scienziato che considera il mondo degli yokai come un mucchio di stupide superstizioni. Anche Jirou aveva questo tratto caratteriale ma, se in “Kaiju Raban” questo era solo un elemento utile a marcare il contrasto con Ichirou, ne “Il mostro marino” questa caratterizzazione assume un significato diverso. Nonostante si trovi a dover collaborare con uno yokai come Kitaro, Shuichi continua a vedere il mondo degli yokai come inferiore e a bollare come superstizioni le storie che gli raccontano la sorella e la madre. Solo alla fine, quando scoprirà che Kitaro aiutò la sua famiglia in un momento di difficoltà, si ravvedrà e deciderà di aiutarlo a tornare alla normalità.

La storia quindi si arricchisce delle tematiche tipiche di Kitaro dei cimiteri. Lo scetticismo di Shuichi e la sua fede quasi cieca nella scienza rappresentano la modernità e le nuove generazioni che vogliono andare avanti e riporre fiducia nel futuro mentre Kitaro rappresenta la tradizione che andrebbe conservata e trasmessa per evitare di cadere nell’oblio. 

Per quanto riguarda i disegni, si nota come il tratto di Mizuki da semplice e a volte impreciso, diventi più curato e dettagliato oltre a un cambiamento per quanto riguarda l’impostazione delle tavole, infatti ne “Il mostro marino” assistiamo a una composizione più varia delle vignette, in particolare a un uso molto massiccio delle mezze splash page, le quali, soprattutto all’inizio, si rivelano utili per descrivere alla perfezione gli ambienti ostili e selvaggi della Papua Nuova Guinea; mentre in “Kaiju Raban” abbiamo un composizione più semplice.   

Nonostante la trama alla base delle due storie sia pressoché la stessa, sia “Il mostro marino” che “Kaiju Raban” meritano di essere lette e scoperte anche solo per notare come un autore come Mizuki sia capace di riutilizzare e reinterpretare un qualcosa di già visto.

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