mercoledì 10 giugno 2020

Quando l'orrore viene dal profondo (Recensione "Up from the Depths")

Uscito in netto ritardo nelle sale cinematografiche, si tratta di un’altra operazione commerciale per sfruttare il successo del film di Steven SpielbergLo squalo” (1975). Quindi, ci troviamo dinanzi a un plagio probabilmente nato dopo che si seppe che sarebbe dovuto uscire il suo seguito “Lo squalo 2” (1978). 
Il regista, Charles B. Griffith, era il fedele sceneggiatore e amico di Roger Corman. Non a caso ha collaborato in parecchie pellicole di fantascienza di serie B, amichevolmente per non dire Z, anni ’50 come, per esempio “L’assalto dei granchi giganti” (1957), “La piccola bottega degli orrori” (1960) e “La creatura del mare fantasma” (1961). 

La pellicola in questione è “Up from the Depths” (1979), in italiano tradotto letteralmente sarebbe “Dalle profondità”. Si ritiene che sia un remake di “La creatura del mare fantasma” (1961). Griffith si trovava a dirigere il suo terzo film, ovviamente sotto la produzione di Corman, che glielo impose. Si dice che fosse per una punizione e che lo stesso Griffith ha sempre ricordato come una terribile esperienza quella di dirigere questo film. 
Viste queste premesse, il film non sembra essere nato sotto il migliore degli auspici come si poteva pensare inizialmente. Almeno, stavolta, si è pensato di realizzare un film che fosse diverso rispetto a tutti gli altri che copiavano palesemente e avevano la pretesa di essere anche seri. C’è una componente umoristica e a tratti grottesca che rendono il film una specie di parodia. Il fatto è che Corman quando vide il girato, omise la una buona fetta dell’umorismo che lo permeava, rendendolo un horror, anche se ci sono ancora tracce di umorismo (involontario). 

La storia parla di uno squalo preistorico, risvegliato da un terremoto sottomarino, che minaccia il turismo hawaiano. Niente di originale appunto, ma almeno hanno provato a differenziarsi dalle altre palesi copie. La struttura della sceneggiatura è pressoché medesima, ma se solo avessero avuto un budget maggiore e una scrittura più accurata, sicuramente sarebbe stato molto più godibile. Ciò che ne risulta è uno sviluppo privo di mordente e di tensione. 
Griffith dietro alla cinepresa cura una regia piuttosto scarna, statica e ordinaria. La fotografia è stata diretta in maniera abbastanza discreta con coloratissime scenografie. Non a caso la location scelta per l’ambientazione, Maui ma in realtà hanno girato nelle Filippine, direi che è stata davvero indovinata. La caratterizzazione dei personaggi è piatta e bidimensionale, se non inesistente come la recitazione, decisamente troppo teatrale. Tra gli attori c’è Sam Bottoms, Susan Reed e nei panni di un personaggio secondario R. Lee Ermey (in “Full Metal Jacket” (1987) interpretò il sergente Hartman). 

Arriviamo al piatto forte di questo tipo di pellicole: lo squalo. C’è da fare una premessa poiché, quello rappresentato nel poster promozionale è completamente diverso da quello che effettivamente si vede nella pellicola. È chiaro che gli effetti speciali essendo low budget, rendono lo squalo visibilmente finto. Ha, persino, un design che lo stesso regista ritiene sciocco visto che è provvisto di occhi da insetto. Se non fosse per il suo buffo aspetto e fosse stato realizzato meglio, sicuramente sarebbe stato più sopportabile vederlo anziché scoppiare in una fragorosa risata quando esso si palesa. Naturalmente, è certo che il punto di vista dello squalo è preso direttamente dal film di Spielberg, solo che qui il problema è che lo squalo in questione, essendo rozzo e artigianale, si è deciso di tenerlo il più nascosto possibile. Il che è, forse, un bene. In compenso, quello della locandina è indiscutibilmente migliore di quello che c’è nel film. Quindi, un insegnamento importante è che non bisogna mai giudicare un film dalla locandina (anche se questa regola vale per tutti i film, e non solo per questi). Da elogiare, invece, le ben curate e coordinate riprese subacquee. 
Bizzarra è la colonna sonora che spesso e volentieri è totalmente fuori luogo nei contesti in cui viene inserita. Parlando dell’aspetto sonoro della pellicola, c’è un aneddoto da raccontare: durante la post-produzione e il montaggio, tra l’altro effettuato nelle Filippine stesse, andarono perse le bobine dei dialoghi di presa diretta. Così si è dovuto doppiare tutto il film, ma il risultato finale è che troviamo un doppiaggio frequentemente fuori sincrono e fastidiosamente ridicolo. 

Uscito nelle sale statunitensi a giugno 1979 non ebbe il successo sperato, vista l’operazione di sfruttare l’onda del successo dei film sulla sharksploitation del periodo. Venne dimenticato fino al 2012 quando venne distribuito in home video. In Italia, malauguratamente, non arrivò né all’epoca e né recentemente, sicuramente perché si trattava, e si tratta ancora tutt’oggi, di un film sconosciuto, di nicchia. Ma mai dire mai, non possiamo far altro che aspettare che un giorno possa arrivarci. Personalmente, sarei felice di vederlo in italiano e di acquistarlo in DVD. 
“Up from the Depths” venne citato nel film di David Cronenberg “Videodrome” (1983) dove viene mostrato rapidamente il poster. Venne realizzato un remake di “Up from the Depths” chiamato “Demon of Paradise” (1987), un film ancora più sconosciuto. 

Quando si parla della sharksploitation anni ’70 si tende a dimenticare questo “Up from the Depths”. Si tratta senza dubbio di uno dei più sconosciuti, ed è un vero peccato poiché non vuole essere una pellicola che pretende. Vuole solo intrattenere nella sua breve durata (circa 85 minuti) e, perché no, divertire lo spettatore per l’ingenuità di come all’epoca tutti i registi potevano dilettarsi a realizzare un proprio ‘squalo’. Difatti, questo film è reso in maniera esilarante. Lo consiglio agli amanti del genere. 
ARTICOLO DI
LUIGI SANTOMAURO

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