giovedì 7 maggio 2020

La Lirica dell'Orrore: la Morte a Teatro, sToccata e Fuga in Re minore

I temi della paura, del macabro, dell’orrore, della disperazione, del malessere, dell’inopportuno, del mistico, del funereo, del tetro e del raccapricciante non sono sconosciuti al grande teatro lirico. È difficile trovare un’opera dove almeno uno di questi elementi non sia presente, dove angoscia, dolore e morte non facciano mostra di sé, spesso epifania di un ineluttabile destino che investe i protagonisti. Al contrario di quanto molti pensino e sostengano, da molto tempo il teatro lirico non è più un affare elitario: è possibile in effetti trovare in rete, pubblicate nelle piattaforme multimediali maggiormente frequentate, molte delle più straordinarie rappresentazioni liriche teatrali registrate degli ultimi cinquant’anni. Esse non restituiscono certamente l’emozione e il sapore dello spettacolo dal vivo ma rappresentano, grazie alla loro facile reperibilità e fruibilità, un prezioso strumento per chi volesse iniziare a conoscere questo affascinante universo artistico. Se siete stanchi dei soliti film che sfornano cliché, se restate indifferenti alle prevedibilissime scene splatter o al cinema dal discutibile pathos, dovete necessariamente iniziarvi al Teatro Lirico. Non solo per il gusto inesauribile di conoscenza, per quel che rappresenta il teatro musicale, patrimonio dell’umanità, ma anche per apprendere curiosamente l’origine di tante suggestioni horror; non dimentichiamo che il teatro – e la Lirica in particolare – ha costituito per secoli l’unica grande forma di spettacolo fruita da tutti; era normale conoscere l’opera, canticchiarne i motivi musicali, identificarvisi. Se molte volte la musica è soltanto un semplice elemento “di contorno” della cinematografia, nel mondo lirico, invece, è la protagonista assoluta che detta la drammaturgia stessa. La musica, unica arte “invisibile”, riesce a penetrare nei più profondi recessi dell’animo, a toccare le corde di molti cuori ed accendere la tumultuosa passione della percezione della nostra esistenza.
Prima di iniziare la lunga retrospettiva delle opere per attinenza al tema più significative, bisogna ricordare una caratteristica propria al teatro musicale. La parola, il testo cantato, è di difficile decifrazione per via del canto stesso. Non vi mentirò: serve un orecchio allenato. Il grande fascino di questa forma d’arte è al tempo stesso il più grande ostacolo per chi si accinge ad approcciarvisi. Sia a causa delle lunghe intonazioni delle sillabe, sia a causa della legatura sillabica tra parole diverse, molte volte lo spettatore potrebbe perdere il filo del discorso. Sarebbe bene, dunque, prima di assistere a un’opera, leggerne il libretto, in cui sono racchiuse testo e didascalie della vicenda. Conoscere il testo è fondamentale per la comprensione dell’ascolto e degli eventi che si susseguiranno durante gli atti. Per comprendere appieno l’identità di una determinata opera lirica é richiesto uno sforzo ulteriore: la conoscenza dell’autore, dei riferimenti storici, della regia messa in atto e dei suoi allestimenti scenografici: il Teatro lirico è del resto una complessa macchina fatta di molteplici ingranaggi che devono funzionare perfettamente tra loro, affinché il risultato sia eccelso e non approssimato. Una medesima opera, riproposta nel corso degli anni, cambia pur rimanendo la stessa, fomentando la diatriba fra tradizionalisti, coloro che, più conservatori, sono attenti che la messinscena aderisca quanto più possibile al libretto e alle “suggestioni” musicali, e i “reazionari”, convinti che l’unico modo di vivificare l’opera sia quello di ribaltare i dettami degli autori pur di intrattenere il pubblico. La soluzione, spesso, non risiede in nessuno dei due casi. Mettere oggi in scena un’opera del repertorio, famosa, acclamata, capolavoro riconosciuto da pubblico e critica, è un procedimento abbastanza delicato che sempre, senza ombra di dubbio, non potrà che accontentare qualcuno e scontentare qualcun altro. L’obiettivo dovrebbe essere, in ogni caso, cercare di non tradire l’intenzione drammaturgica degli autori (librettista e compositore), puntando invece sul dare enfasi ai messaggi, alle tematiche e alle atmosfere di opere d’arte immortali.

Nel suo essere linguaggio universale, la musica si riveste di un manto dagli attributi magici, condividendo la radice del termine con le Muse, divinità protettrici delle Arti, figlie della Memoria. È proprio dall’universo mitologico classico che la drammaturgia delle prime opere trae la propria origine, affrontando spesso l’orrore. Anche per il linguaggio musicale dell’horror, la musica segue regole ben precise, e allo stesso tempo misteriose: la quasi totalità dei componimenti musicali che rievocano in noi le atmosfere delle tenebre sono quasi sempre scritte in Re minore, come ad esempio la celebre Toccata e Fuga per organo di Bach, o la sua Suite no.2 per violoncello, il Requiem di Mozart, il secondo movimento del Piano Trio Sonata di Beethoven che dà il nome all’intera composizione, Ghost, il quartetto d’archi di Schubert, Death and the Maiden, l’etude trascendentale no.4 di Listz, l’ouverture de L’Olandese Volante di Wagner, e quella tragica di Brahms, il prodigioso Concerto per Violino di Sibelius, sono solo alcuni dei piú lugubri e ingegnosi componimenti scritti con questa straordinaria chiave, largamente utilizzata anche recentemente per il cinema dal compositore Hans Zimmer nei film come Il Gladiatore, The Dark Knight, I Pirati dei Caraibi o Il codice da Vinci.
The Journey of Orpheus – José Gabriel Alegria Sabogal for Anathema Publishing Ltd.
Il Tema della Morte e della catabasi sono già presenti in uno dei piú antichi componimenti musicali della storia rappresentata sul palcoscenico e pervenutoci per intero, L’Orfeo di Claudio Monteverdi, opera del 1609 considerata punto di arrivo del melodramma ai suoi albori per l’uso delle voci e della musica, personificata fin da subito nel proemio. Piú avanti, nel 1624 nel madrigale Il Combattimento di Tancredi e Clorinda, musicato dalla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, compaiono per la prima volta nella storia musicale l’uso del tremolo e del pizzicato, oltreché l’onomatopea musicale – in questo caso il clangore delle armi durante la battaglia – la quale, introdotta in epoca rinascimentale dal francese Clément Janequin nelle sue chansons, imitava ironicamente la voce degli animali durante le battute di caccia. Celeberrimi infine i componimenti monteverdiani dell’VIII libro dei madrigali, i Madrigali guerrieri et amorosi del 1638, in cui il ricercato equilibrio tra musica e parole miravano a rendere nella più alta forma gli affetti in essi contenuti, con un costante uso del basso continuo e il contrasto tra la calma e la tranquillitá della Natura e i tormenti della mente umana. Il mito del semidio, del dialogo con le divinitá e la lezione orfica della capacità di rinuncia del passato non lascerà indifferenti i compositori e i librettisti successivi, i quali collaboreranno all’unisono contribuendo a diffondere sempre più l’opera – creazione tipicamente italiana che influenzerà tutta l’Europa in brevissimo tempo – e con essa la lingua italiana, il lessico del melodramma. È il caso di Pietro Antonio Domenico Trapassi, meglio noto come Metastasio, uno dei librettisti settecenteschi più celebri e richiesti che, ugualmente a Alessandro Scarlatti, prolifico compositore e fondamentale codificatore, innovarono il teatro musicale; il primo riconferendo importanza al testo, il secondo, ideando la sinfonia all’inizio dell’opera (potremmo dire l’ouverture moderna, all’epoca ancora sconosciuta) in forma tripartita, caratterizzata ovvero da un Allegro-Adagio-Allegro. Considerevole poi lo sviluppo e il sempre più massiccio utilizzo del recitativo accompagnato, di un recitativo ossia sostenuto da più strumenti, diversamente al precedente, unico basso continuo. E poi ancora moltissimi altri tra cui Vivaldi o Hasse, in cui scene oniriche si susseguono riprendendo il topos dell’eroe tragico in balia delle volubili passioni delle divinitá, le quali un po’ per gioco, un po’ per capriccio, costringono i vari protagonisti a subire sulla propria pelle (e psiche) il dramma della scelta tra due alternative, come nel caso di Alcide al Bivio, ossia Ercole costretto a dover scegliere se seguire Edonide, dea del piacere, o Aretea, dea della virtù e del coraggio; oppure come nel Sogno di Scipione dove il distruttore di Cartagine fronteggia prima la dea Fortuna e dopo la Costanza, in uno dei primi tentativi teatrali di rottura della quarta parete, nel cui finale la dea della Licenza elogia apertamente il mecenate della produzione artistica. Oggi, la riscoperta e la messinscena del melodramma sei-settecentesco sono caratterizzate spesso da un algido minimalismo delle scene contrapposto a dei costumi dai colori vistosi e sovente stravaganti, come nel caso dell’Eliogabalo di Francesco Cavalli, composta nel 1667 e che ha dovuto aspettare trecentotrentadue anni per la sua ripresa contemporanea, in cui il lascivo e decadente imperatore adolescente darà sfoggio del suo potere sulla XII casa con la sua “Rosa di sublime bellezza” prima di una brutale dipartita che lo colpirà.

Nella transizione tra il periodo barocco, caratterizzato come detto dalla smisurata attenzione al dettaglio e dalle vocalità estreme – la bizzarra vocalità dei castrati in voga in Italia, per esempio – e il periodo romantico, si sviluppa il classicismo, più “razionale” ed equilibrato, di cui Mozart sarà uno degli esponenti massimi (oltre a Glück, Haydn, Rossini e Beethoven con il quale abbiamo già “tensioni” preromantiche). Mozart continuerá a musicare opere che alterneranno momenti di comicità e ilarità a momenti tragici e nefasti, degni di un Joker ante litteram, componendo partiture con arie virtuosistiche per soprani di coloratura, tangenti il limite delle capacitá umane. Tra i suoi macabri canonici esempi degni di nota possiamo ricordare il finale funesto dell’opera buffa Don Giovanni, nella cui scena quinta del secondo atto, tra urla fuori scena, il dissoluto viene punito da una statua che si anima per trascinarlo all’inferno. Del suo repertorio é l’intramontabile Flauto Magico, florilegio di simboli massonici nonché straordinaria drammatizzazione di una natura sì protagonista ma piegata al volere di forze soprannaturali, all’azione di strumenti musicali magici e incantatori. Tra draghi ed esseri mostruosi, celebre è l’aria della Regina della Notte, che ordina alla figlia di uccidere il suo acerrimo rivale in uno dei momenti vocali più rocamboleschi della storia della musica, anch’essa scritta in Re minore.
Modello per Regina della Notte di Danny Herró
L’epoca romantica non é esente dalla trattazione e dalla messinscena di eventi sempre piú crudi e nefasti, accompagnati da eccezionali sperimentazioni musicali e dall’affermarsi di nuovi canoni belcantistici di vigorosa potenza espressiva. Una delle prime novità nel modo di comporre musica, non solo stilisticamente ma anche nella scelta dei temi (il più delle volte tratti da ambientazioni e romanzi gotici) è stata la Lucia di Lammermoor (1835) di Gaetano Donizetti. Accoppiato al tenore contraltino (ovvero con una vocalità più estesa che toccava quasi il falsetto), il soprano drammatico d’agilità sostituì quello di coloratura; tra matrimoni forzati, malevole guide spirituali, promesse di matrimonio infrante, duelli, suicidi, uxoricidi e morte per disperazione, nella dissacrante profanazione del bel costume in cui la protagonista imbrattata nelle vesti col sangue del marito raggiunge acuti altissimi, accompagnata da cadenze al flauto, invece che dall’originale glassarmonica (o armonica a bicchieri) a cui Donizetti dovette rinunciare per le onnipresenti diatribe in produzione, e che ugualmente riescono a descrivere la pazzia e l’alterazione degli stati d’animo della protagonista in un glaciale distacco tra pensiero e realtà, tra tempo diegetico e tempo mimetico. Quest’aria compare, riadattata al grande schermo, in una delle scene del film di Besson Il Quinto Elemento, e interpretata, nello spazio siderale, da un alieno dalle pregiate doti vocali, dietro cui si nasconde la voce del noto soprano Natalie Dessay. La scena della pazzia non fu una novitá per il pubblico: durante il barocco era stata ben rappresentata da entrambi i sessi – si pensi all’Orlando furioso di Handel e a quello di Vivaldi – quale climax spettacolare per sfoderare le migliori doti interpretative e i le più funamboliche acrobazie tecniche dei virtuosi.
Modello per Lucia di Lammermoor di Danny Herró
Prima di arrivare all’esplosione vera e propria dell’opera romantica, di cui Giuseppe Verdi e Richard Wagner rappresenteranno i cardini, bisogna citare l’apporto che oltre a Donizetti, diede Vincenzo Bellini, la cui produzione operistica, celeberrima e sublime, dà avvio alla ricerca intimistica e all’approfondimento psicologico del personaggio. La musica di Bellini, che in determinati e improvvisi momenti si “dilata” enormemente, lascia meno spazio all’azione, come se conducesse lo spettatore direttamente nei vivi pensieri del personaggio di cui la musica rappresenta i flutti. Indubbio che in Bellini ci fosse una conoscenza approfondita della sinfonia, tralasciata in Italia per la supremazia del melodramma ed è proprio per questa ragione che il contributo e lo sviluppo della sua musica rappresentò un punto di svolta per tutti i compositori italiani. Dopo la fama di Bellini e l’enorme fortuna del già citato Gioachino Rossini – il cui stile e supremazia nel melodramma di Primo ottocento regnarono indiscussi nel panorama internazionale – fa la sua comparsa il giovane compositore Giuseppe Verdi. Talentuso e prolifico, affronta anch’egli i temi del lugubre. Il compositore di Busseto ha riproposto le tragedie shakespeariane del Macbeth e dell’Otello, rispettivamente nel 1847 e nel 1887. Nella prima il coro di streghe, durante un eccentrico rituale di necromanzia, é in grado di richiamare gli spiriti dei defunti che profetizzeranno il destino avverso di Macbetto; nell’Otello, la gelosia, come ben noto, spinge il protagonista al gesto disperato.
Macbeth - Philippe Bertrand Bashi.Buzuk
Un’altra negromante e chiaroveggente é presente nel 1859 in Un ballo in Maschera, Ulrica Arfvidsson, accusata di stregoneria, anch’ella fautrice della classica profezia macbethiana che preannuncia il tragico finale. Nel repertorio verdiano troviamo inoltre altri luttuosi eventi: la sepoltura da vivo del generale egiziano Radames, condannato per alto tradimento, dividerá la sua ultima dimora insieme all’amata che dà il nome all’opera Aida (1871); e ancora prima, nel 1853, la vita dissoluta della bella e dannata Violetta Valery é stroncata nel finale de La Traviata; e nel 1851, si presenta, per la prima volta nella storia dell’opera, il primo omicidio premeditato affidato a un sicario: Rigoletto, il buffone di corte, si rivolge agli specialisti del settore per uccidere il Duca di Mantova. L’enorme influenza di Verdi nel mondo dell’opera – divenuto famosissimo al pari del precedente Rossini in tutto il mondo – rivoluzionò ancora il modo di comporre per il teatro musicale; scardinò spesso i canoni e le forme dell’opera stessa per meglio affrontare e “caricare” le passioni e le vicende rappresentate, nonché i messaggi da rivolgere al pubblico, e propose un nuovo modo di interpretazione canora che restituisse pienamente la psicologia dei personaggi. In Verdi persino un recitativo assume un’altra valenza e ogni momento dell’opera prepara la tensione del momento successivo o ne smorza il lirismo; tutto in funzione della riuscita del dramma, in cui la recitazione, spesso inesplorata dai cantanti dell’opera, assumeva ora una importanza prima sconosciuta.

Un’altra opera nera si deve a Arrigo Boito, in quale, già librettista dell’Otello di Verdi, narrando le vicende del Faust di Goethe nel suo Mefistofele (1868), renderà esplicite le istanze musicali operistiche avviate dai compositori precedenti, da Verdi e dall’allora meno noto, ma essenziale per un ulteriore sviluppo del melodramma, Wagner. L’indescrivibili solenni rapsodie del prologo e dell’epilogo segnano un marchio distintivo musicale ed intellettuale. Epici passaggi repentini dal pianissimo al fortissimo e imponenti e vorticosi cori angelici, accompagnati da trilli al flauto, fanno il loro debutto in Paradiso, dando voce alla volontà del Creatore, il quale accetta la sfida di uno stereotipato demone tedesco per chi dovrà ottenere l’anima di Faust. Sancito il contratto col demonio, lo strano duo approderà nel fantasmagorico sabba delle streghe di dionisiaca memoria. Viaggi nel tempo, quali probabili illusioni demoniache, giungeranno al termine della narrazione con i riesposti temi musicali del prologo, tra cadenze frenetiche e urla convulse sia del Bene che del Male.
Mefistofele - Philippe Bertrand Bashi.Buzuk
Non è certamente la prima volta che gli agenti del demonio ispirino creazioni musicali: si ricordi il sofisticato Trillo del Diavolo e la leggenda del suo compositore, Giuseppe Tartini, a cui nel 1713 sarebbe apparso in sogno il Maligno per dettargli la musica di questa partitura per violino solo, adornata con difficilissimi passaggi veloci e simutanei trilli ad arpeggiate triadi, eseguita al clarinetto dall’investigatore dell’incubo piú famoso della fumettistica italiana odierna, Dylan Dog.

Nel frattempo, in Germania, Richard Wagner rivoluzionava ulteriormente il concetto di opera lirica nelle sue Gesamtkunstwerk (Opera d’Arte Totale). Nel suo essere compositore, librettista e conduttore delle proprie opere e desiderando la convergenza di tutte le forme d’arte nel teatro, Wagner è diventato grande anticipatore dell’espressionismo e del simbolismo, spingendosi fino alla sovrapposizione della messa in scena dell’opera lirica con la ritualità sacra di una liturgia religiosa e culminando nella costruzione della sua Opera House in Baviera, il Bayreuth Festspielhaus, oggi sede del festival annuo a lui dedicato e organizzato dai discendenti del maestro. Lunghissimi recitativi hanno conferito alle opere wagneriane la categoria del “dramma musicale”. Elaborando il folklore nordico, Wagner ha realizzato opere che, incentrate sulla purezza dell’uomo e della natura, non nascondono la sua aggressività e la sua ferocia. La tetralogia de L’Anello del Nibelungo, iniziata nel lontano 1876, richiama il gusto preomerico delle titanomachie. Saranno le divinitá antiche, traslate al pantheon norreno dell’Edda poetica, a ordire le trame della stirpe dei mortali per sottrarre loro l’anello forgiato nell’oro del fiume Reno, anello in grado di conferire il mistico potere del dominio assoluto sulle civiltá. Ninfe dei fiumi, giganti mutaforma, valchirie, draghi, spade leggendarie e intramontabili incesti si concluderanno, dopo circa diciotto ore, nella distruzione del Valhalla, nel suo profetico e leggendario apocalittico Ragnaröck, per sancire la fine della vecchia era e l’inizio della nuova, il Götterdämmerung, il Crepuscolo degli dèi. L’uso costante del Leitmotiv, dei cromatismi accattivanti e il grande contributo alle arti visive, costituiscono il marchio di fabbrica, per così dire, del compositore tedesco. Con i continui accenni alla redenzione, Wagner ha voluto attribuire alla musica proprietà esoteriche, in grado di consacrare il palcoscenico con la sola rappresentazione artistica di un miracolo, come nel caso del Parsifal (1882), o in grado di aprire varchi tra due mondi, come nel Tannhäuser (1845).

Un compositore che ha fatto propria la lezione wagneriana per approdare a nuove concezioni musicali è Richard Strauss. Da istanze simboliste approderà al filone espressionista componendo i cosiddetti poemi sinfonici dalla delicatezza epifanica degna di una secchiata d’acqua gelida, come i suoi Death and Transfiguration (1890) e Also sprach Zarathustra (1896) il cui incipit fu usato da Kubrick nel suo 2001 Odissea nello spazio. I primi lavori di Strauss, tuttavia, furono proprio in campo operistico: ipnotica è l’eroticissima e sensuale Salomè (1905), in cui la bella principessa, ossessionata dal profeta Jochanaan, chiede e ottiene, dopo una sensualissima danza al cospetto del re patrigno, la testa del bramato prigioniero; grondante sangue, quel capo reciso verrà voluttuosamente baciato tra lo sgomento generale, ma la sua azione porterà il tetrarca a condannarla a morte.
Salomè -
Philippe Bertrand Bashi.Buzuk                      
Death and  Transfiguration -
José Gabriel Alegria Sabogal
La lezione wagneriana ricompare nel panorama italiano con Alfredo Catalani e la sua Lorelay (1890). La contrapposizione tra Amore Sacro e Amore Profano é il fulcro attorno a cui ruota l’azione scenica: Lorelay, sedotta e abbandonata, si appella alle divinità fluviali del Reno, promettendo loro fedeltá eterna, rinascerà trasfigurata per realizzare la sua vendetta, dissacrando il rito di nozze del suo malfattore in un tragico finale tra morte per disperazione della sposa e suicidio per annegamento del non più congiunto. Suo contemporaneo, Giacomo Puccini, aveva già proposto un tema simile ne Le Villi (1884): il connubio d’amore é spezzato per sempre durante l’intermezzo in cui un amore dimenticato evoca le fate vendicatrici, simili alle Erinni del mondo greco, che insieme al fantasma della malcapitata, ancora una volta morta di crepacuore, forzano l’abietto rampollo a danzare fino alla sua morte. Puccini visse una vita molto intensa e pregna di tragedie ed é forse per questo che nelle sue opere traspare un solido trasporto per la morte e le sue brutalità. Come in Tosca (1900), dove l’eroina è costretta dapprima a prestare orecchio alle urla – fuori scena – dell’amato torturato, per poi commettere – in scena – l’indomito delitto al fine di evitare un abuso sessuale. Si getterà quindi dalle mura di Castel Sant’Angelo.
ToscaPhilippe Bertrand Bashi.Buzuk
Anche in Turandot, ventisei anni dopo, la principessa cinese, come una sfinge edipica, sfida i pretendenti alla sua mano, proponendo tre tortuosi enigmi da risolvere, pena la decapitazione. Torture e suicidi anche qui onnipresenti contornano una storia che si fa specchio dell’inadeguatezza della classe dirigente di fronte al conflitto intimo dell’ossimoro catulliano.

In Francia fu la volta del compositore Jacques Offenbach, che nel 1880, ovvero pochi mesi prima della morte, terminerà la sua ultima opera fantastique senza mai vederla rappresentata, I Racconti di Hoffmann. Nel prologo la Musa della poesia si incarna nel miglior amico del protagonista per sottrarlo ai piaceri della vita, sicché possa dedicarsi unicamente alla composizione artistica. La storia si dirama su tre eventi del passato del personaggio principale, sviluppati in altrettanti tre atti, ognuno dei quali vede il protagonista alle prese con un amore disperato e impossibile. Nel primo si strugge per un automa, il primo robot interpretato da un soprano apparso sulle scene sotto forma della bambola meccanica Olympia: essa ha bisogno della ricarica analogica nel bel mezzo della sua aria più famosa, per poi venire demolita e mutilata a fine atto. Il secondo amore é stroncato proprio dal canto. Hoffmann ragguaglia la bella e cagionevole Antonia di non spossare le sue corde vocali, ma la gracile degente riproduce la sua ultima nota sotto il malevolo influsso del Dottor Miracle, capace di procurare alla sfortunata la visione della madre defunta. Il terzo atto, ambientato a Venezia, raffigura un complotto mirato a sottrarre il riflesso allo specchio del giovane scalognato, ingannato dall’amante di turno che alla fine muore per aver ingerito erroneamente il veleno a lui destinato. L’epilogo si chiude tra i fumi del vino quando la Musa si rivela al poeta che a sua volta le promette eterna e unica devozione. 

Suoi compatrioti e contemporanei furono Léon Boëllmann e Camille Saint-Saëns, il primo celebre organista, autore dell’intramontabile Suite Gothique (1895), una maestosa composizione per organo che termina al quarto movimento di Toccata con una geniale cadenza picardiana; il secondo noto anche per la sua Danse macabre (1874), poema sinfonico di tradizione allegorica medievale basato sulla danza in cui la Morte stessa, personificata di norma da uno scheletro, invita al ballo i rappresentanti di tutti i ceti sociali dinanzi a un sepolcro: in questo contesto, la musica si fa vanitas, memento mori, per ricordare la condizione universale di ogni essere umano al cospetto dell’Oscura Signora. 

Dalla fine del XIX secolo, periodo in cui si erano sperimentati nuovi approcci musicali, alla musica del Novecento si susseguono numerose altre sperimentazioni orientate spesso, soprattutto dopo le già citate istanze espressioniste, alla volontà di lasciarsi alle spalle il passato. Come accade anche per tutte le arti, ci si ostina, in altri termini, a indagare linguaggi inediti, che non avessero legame alcuno con “ciò che era stato prima”, determinando, nella maggior parte dei casi, una rottura totale non solo con il passato, spesso percepito (e purtroppo) come qualcosa da distruggere, ma anche e soprattutto con il pubblico. La musica, come la pittura o la scultura, diventano sempre più “concettuali”, “chiuse”, gradualmente incomprensibili e prive di empatia: una cesura netta che si apre come ferita viva, generata dall’epoca dei grandi conflitti mondiali e dei totalitarismi, dalla crisi dell’identità, del pensiero e del senso dei diritti umani. Il trauma colpisce l’umanità e l’arte tradizionale non riesce a offrire un linguaggio funzionale a esprimere l’abisso dell’orrore in cui era piombata. 

Ciò nonostante il passato non smette di offrire suggestione e ispirazione pure dinanzi alle nuove sperimentazioni artistiche e, nel nostro caso, musicali. Uno dei casi più degni di nota é lo stretto legame tra la musica classica e il genere Goth, tanto che in Inghilterra e Germania prima, Francia, Italia e altri Paesi dopo, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, si sviluppa un circolo di compositori Underground neoclassici e tonali, ispirati alla musica medievale, rinascimentale, barocca o lirico-sinfonica, dai celebri austro-londinesi Dead Can Dance – il cui contralto, Lisa Gerrard, è diventata più famosa nel 2000, per aver composto, insieme a Zimmer, la colonna sonora del Gladiatore di Scott – all’ensemble italiano Camerata Mediolanense, fondato dalla musicologa milanese Elena Previdi nel 1994, che ha messo in musica testi di Dante, Petrarca o di grandi poeti del passato. Altri contributi provengono dal Metal, che addirittura assume declinazioni diverse a seconda delle suggestioni incamerate, Gothic metal, Symphonic metal etc.: in ogni caso, seppur a un primo ascolto si avverte di essere lontano dalle melodie tradizionali e accademiche, come sostenuto da molti teorici musicali compaiono larghe istanze in termini di sentimenti, struttura e creatività assimilabili alla musica colta. I lunghi ed interminabile assoli di chitarra ricordano le prodezze cromatiche dei virtuosi del violino, come Vivaldi e Paganini con i suoi Capricci, di cui appropriazione ed adattamento hanno consentito lo sviluppo di nuovi linguaggi armonici e melodici. L’uso del tritono, quale dissonanza armonica e melodica, riportato in auge proprio dai primissimi gruppi metal sposando la leggenda medievale che voleva questo intervallo medievale bandito dai repertori classici perché in grado di richiamare il diavolo. L’uso di molti tecnicismi, oltre l’amore per la teatralità, manifesta in molti casi la firma dell’artista.
György Ligeti – Volumina, frammenti dello spartito
Un altro artista che ha alimentato la ricerca contemporanea nella seconda metà del Novecento è il compositore austro-ungarico György Ligeti. Conosciuto al grande pubblico per aver partecipato alle colonne sonore dei film di Kubrick, creò, come egli stesso le definiva, delle micropolifonie, capaci di evocare intense e lugubri emozioni e caratterizzate da dissonanti linee musicali. Con il suo Volumina (1961) per solo organo, contraddistinto dai possenti blocchi sonori continui ed imperterriti, Ligeti dimostra di aver fatto propria la lezione delle estetiche musicali novecentesche più radicali attraverso un’insolita maniera di compilare la partitura. La sua unica opera per il teatro lirico è l’ennesima apocalisse, questa volta in salsa trash, decadente e surreale, l’eclettica ed ambigua Grand Macabre (1978).

Il minimalista statunitense Philiph Glass e la sua opera in tre atti Akhnaten (1983) concludono la nostra indagine. Il faraone egiziano Akhenaton (Amenhotep IV della XVIII dinastia) fonda il primo culto monoteista solare conosciuto nella storia. Al funerale del padre si mette in scena una danza funebre per la deposizione delle spoglie, con testo rigorosamente tratto dal Libro dei Morti egiziano e da altri reperti archeologici.

Se dal medioevo le rappresentazioni artistiche si eseguivano nelle chiese e per le strade dei borghi, é a teatro che esse si definirono e divennero fruibili per un pubblico sempre più ampio. La recitazione, l’arte dell’interpretazione dei sentimenti, delle passioni umane non poteva che affinarsi in questo luogo, uno spazio di azione mimetico dove non é ben accetto l’errore, dove una scena non può essere tagliata durante la sua rappresentazione, dove l’esperienza dal vivo continua a vivere nella nostra memoria che decreterà la sua apoteosi o il suo oblio, dato che, come recita l’epigrafe sul pronao del Teatro Massimo di Palermo:
L'arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l'avvenire.
Teatrino settecentesco di Oliviero
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