lunedì 9 marzo 2020

La tragicità del lupo (Recensione "L'uomo lupo")

Anche l'uomo che ha puro il suo cuore, ed ogni giorno si raccoglie in preghiera, può diventar lupo se fiorisce l'aconito, e la luna piena splende la sera

Nel 1941, nelle sale statunitensi, uscì un film che sarebbe stato capace di imprimere in maniera indelebile la figura dell’uomo lupo nell’immaginario popolare e, soprattutto, nella storia della cinematografia, l’arcinoto “L’uomo lupo” (“The Wolf Man”) di George Waggner, ennesimo classico dell’orrore sfornato dall’infermabile Universal che si sarebbe garantita un pantheon di mostri che sarebbero divenuti i capisaldi di tutto il genere: come abbiamo già analizzato, infatti, altre creature ebbero vita grazie alle produzioni Universal, tra cui Dracula, il mostro della laguna nera ed la creatura di Frankenstein. Nonostante gli immensi successi riscontrati da questi prodotti, dai loro predecessori, e da parte dei loro successori, però, il destino dell’uomo lupo non fu altrettanto roseo, almeno non inizialmente. 
Il primo tentativo dell’Universal di assicurarsi un uomo lupo tra le proprie fila di creature dell’incubo, infatti, risale al 1935, ben 6 anni prima del rilascio del film che tutti noi conosciamo, con un piccolo fiasco, “Il segreto del Tibet” (“Werewolf of London”), diretto da Stuart Walker. La pellicola, interpretata da Henry Hull nel ruolo dello sventurato botanico Glendon, divenuto un mostro affamato di carne umana durante la Luna piena a seguito di un viaggio in Tibet alla ricerca di un misterioso fiore e di un attacco da una creatura misteriosa, fu un flop sia a livello di critica che di botteghino: sin dalla produzione, con il rifiuto di Bela Lugosi per il ruolo di Glendon e dell’attore di quest’ultimo per il pesante trucco ideato da Jack Pierce, fino allo sforamento del budget di, addirittura, 36mila dollari, una cifra enorme per l’epoca, equivalente a oltre 697mila dollari di adesso. 
Il progetto di un licantropo su schermo sotto Universal venne ripescato, però, grazie a Curt Siodmak, romanziere di fantascienza di origine ebrea, sfuggito dagli orrori della Germania nazista. L’uomo rese l’uomo lupo un prodotto della sua cultura, introducendo nella sua figura elementi originari della sua religione, come la stella a cinque punte che compare nella mano di colui che è “maledetto” da un uomo lupo. La nuova storia narra di Larry Talbot (Lon Chaney Jr.), un giovane gentiluomo che, a seguito di un attacco da parte di un uomo lupo (Bela Lugosi) in una comunità di zingari dove si era recato per farsi leggere le carte dalla cartomante Maleva (Maria Ouspenskaya) assieme alla sua ragazza (Evelyn Ankers) ed una loro amica (Fay Helm), ucciderà l’aggressore con un bastone da passeggio con un lupo raffigurato sopra, finirà per divenire lui stesso una creatura maledetta e succube dell’influsso del Demonio, incapace di controllare i propri istinti animaleschi e costretto ad una terribile metamorfosi, curata, nuovamente, dall’iconico trucco di Jack Pierce, finalmente possibilitato ad usare i prostetici che aveva ideato anni prima nella loro interezza, senza alcuna limitazione.
La Luna piena, in questo film, non gioca alcun ruolo nella metamorfosi di Talbot, nonostante verrà implementata nel crossover con Frankenstein di qualche anno dopo, seppur in chiave diversa da quella abituale e che numerosi altri registi hanno usato: essa servirà, infatti, non a far trasformare Talbot, bensì a riportarlo in vita dalla tomba. Nonostante questo, è indubbia l’influenza che la pellicola ha avuto per cineasti come John Landis o Joe Dante per i loro capolavori “Un lupo mannaro americano a Londra” e “L’ululato”. 

Altro elemento iconico nel cinema è il poema che, nonostante possa sembrare antico, fu in realtà scritto da Siodmak e che divenne fisso in (quasi) tutte le apparizioni dell’Uomo Lupo nei film successivi dell’Universal e non solo, pur ricevendo le dovute modifiche, come l’aggiunta della figura della Luna piena, appunto. La scrittura di Siodmak fu, in generale, fondamentale per il successo dell'epoca, divenuta una vera e propria metafora della condizione degli ebrei in quell'epoca: condannati ad esser cacciati a causa di una maledizione (segnata da una stella a cinque punte) che non potrà mai esser spezzata, ma che, tantomeno, mai potrà far trovare loro pace se non tramite la loro esecuzione. L'uomo lupo, da semplice spauracchio, diviene, insomma, simbolo degli oppressi, un eroe tragico, tanto quanto il suo fato, inevitabile, contro cui si oppone la sua stessa natura, acquisita, certo, ma impossibile, una volta ottenuta, da annichilire. 
Un'altra delle particolarità della pellicola, per giunta, sta proprio nei suoi sequel: l’attore Lon Chaney Jr, infatti, fu il solo attore di mostri classici Universal a interpretare lo stesso personaggio per tutti i film in cui egli compariva nella decade del 1940, cosa che rese lo stesso attore molto orgoglioso di se stesso e che lo portò, inesorabilmente, ad affezionarsi alla creature che lo aveva accompagnato per una decade nella sua carriera, arrivando a definirlo, affettuosamente, “il suo bambino” in numerose interviste, probabilmente consapevole dell’impatto che la sua interpretazione ebbe per le future comparse del mostro, ancora adesso spesso interpretato sulla falsariga del suo. 
Nel 2010, la pellicola, ebbe un remake, “The Wolfman”, diretto da Joe Johnston e con Benicio del Toro nel ruolo protagonista che, però, si rivelò un flop sia di pubblico che di critica, nonostante la vittoria del Premio Oscar per il miglior makeup, segnando la fine delle apparizioni della creatura nelle produzioni Univeral, escludendo “Werewolf: The Beast Among Us” che, originariamente, sarebbe dovuto essere uno spinoff proprio dell’opera di Johnston. 
Nonostante gli anni, non curante della Luna piena che brilla alta nel cielo, tra ululati e urla di terrore, il capolavoro di Siodmak e Waggner, però, continua ad ispirare numerosi artisti nelle loro interpretazioni di uno dei mostri più iconici di sempre, rivoluzionato per sempre proprio da quella pellicola del 1941, capace di dare nuova linfa ad un mito tanto antico quanto conosciuto e di sostituirsi, quasi, alle narrazioni originali. E, per abbattere questo Uomo Lupo, non basterà un bastone o, tantomeno, un misero proiettile d’argento.

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