giovedì 15 agosto 2019

Non entrate in quella soffitta (Recensione "The Evil Clergyman") - Short Week

Il filone di cinema “lovecraftiano” (i più puristi scuseranno la licenza poetica, magari cercando anche di capire che niente può essere assolutamente ed irrepetibilmente identico alla logica di un autore se non l'opera di quell'autore medesimo) che nacque dopo il 1985 sulla scia di Re-animator di Stuart Gordon viene tuttora considerato il più strano e peculiare tipo di cinema che abbia mai tentato di riferirsi e rifarsi alle opere del Solitario Ma Non Troppo (così almeno una volta li facciamo contenti questi puristi) di Providence. E, tanto per le sue vicende distributive quanto per il testo da cui è tratto, parossismo di questa stranezza e peculiarità è senza dubbio il mediometraggio (stavolta dovrà essere chi si aspettava la recensione di un corto a scusarci) diretto da nientedimeno che il produttore della Empire Pictures Charles Band, giusto dopo aver prodotto From Beyond sempre di Gordon (e a tal proposito vada qui chi cercasse la recensione di un cortometraggio, così sono saldati i conti con tutti), e giusto quando la storica casa di produzione con cui, sotto lo sguardo vigile del padre Albert, aveva messo al mondo Ghoulies, Trancers, Dungeonmaster, Dolls, TerrorVision e, appunto, Re-animator fallisse per essere poi rianimata nella Fool Moon: The Evil Clergyman , ultimo dei tre episodi (i primi due erano sequel di Trancers e Dungeonmaster) che componevano il film antologico, ritrovato 25 anni dopo che il fallimento dell'azienda ne impedisse il rilascio, Pulse Pounders (1988).
Vero terzo capitolo del ciclo lovecraftiano di Gordon prima ancora di Dagon, rivede il ritorno non solo di Jeffrey Combs (ovviamente Herbert West) e Barbara Crampton (ovviamente “quella nuda” in Re-animator), ma persino di David Gale (l'acefalo e libidinoso dottor Carl Hill); tuttavia quello che veramente non può passare inosservato sebbene (solo apparentemente) dietro le quinte è il ritorno di Dennis Paoli alla scrittura, Mac Ahlberg alla fotografia e, in occasione del restauro, Richard Band all'inquietantissima colonna sonora. La combinazione di questi elementi dona un'alchemico potere ad una pellicola che, come un kammerspiel espressionista, si ambienta quasi totalmente nella mansarda dalla claustrofobica e onirica luce bluastra di una magione gotica cui si accede attraverso una scalinata a spirale che fa il verso proprio al Dracula di Browning che Lovecraft, ricordiamolo per farci due risate, detestava. Anche perchè, al contrario di Re-animator, qui non ci sarà proprio niente da ridere. E se il fatto che la Crampton interpreti l'amante rosa dal dolore del prete suicida che che era Combs, e che cominci a rivivere nel loro nido d'amore, la stessa mansarda in cui si è impiccato, il loro desiderio perduto in maniera via via sempre più ambigua e inquietante, dovesse essere portato a esempio quale ennesimo e sedicente tradimento dell'opera di Lovecraft da parte di suddetto filone cinematografico, pur mancando di Gordon (che Band, bisogna dirlo, sostituisce in maniera accettabile) o del fidato Brian Yuzna, consiglieremo al miscrednete una lettura, sia metaforica che letterale, più attenta del materiale originale.
Quest'opera è in realtà il contenuto di una lettera che Lovecraft scrisse nel 1933 a Bernard Austin Dwyer, che lo pubblico come “racconto postumo” nel '39 sulla rivista Weird Tales che sempre era stata l'indesiderata vetrina dei racconti del Sognatore, ed è, appunto, a sua volta il contenuto di un sogno descritto per filo e per segno (come spesso faceva) da HPL (o Ec'h-Pi-El, come spesso si firmava) all'amico di penna, come potete leggere in Oniricon. Sogni, incubi e fantasticherie , a cura di Pietro Guarriello, in cui figura pure un'introduzione del 1994 scritta dal più grande scrittore lovecraftiano vivente S. T. Joshi che, ironicamente, parla di «vaghe notizie su una versione cinematografica!». Tornando al sogno-racconto, da noi intitolato >Il prete malvagio (tra le varie pubblicazioni dell'opera dell'autore lo trovate in una di quelle recentemente edite nella solita Oscar Draghi ), è uno dei tanti esempi di come l'immaginazione di Lovecraft, pur non avendo nei sogni la medesima coerenza che si impegnava a infondere nei racconti, si rivela chiaramente come la sorgente comune di entrambi riproponendo schemi neanche troppo insoliti, tra cui uno in particolare che si può ritrovare tanto nei viaggi astrali di Crowley quanto nella freudiana perdita del Sè, e che Lovecraft ha riporoposto diverse volte e in diverse forme nella sua opera (le prese di coscienza di un corpo in balia di una genetica “malata” de L'Estraneo, La Maschera di Innsmouth e Arthur Jermyn ,come pure i viaggi interstellari dei cervelli “scorporati” dentro dei cilindri in Colui che Sussurrava nelle Tenebre): la perdita del proprio corpo e, più nello specifico, l'alienazione della propria personalità e coscienza (apparentemente) individuale da esso, un attimo prima di cadere nel baratro della misericordiosa follia: il prete del sogno è, per l'appunto, una sorta di stregone che ricorda l'Ephraim Waite de La Cosa sulla Soglia e che, come lui che in tal modo protraeva oltrenatura la durata della propria esistenza, parrebbe relegare la coscienza di altri nel proprio corpo per rubare quello che originariamente apparteneva loro; tale è, infatti, il destino dell'Io del sogno raccontato da Lovecraft, che incautamente decide di rimanere solo nella soffitta dove il chierico studiava la magia nera, e questo è il solo elemento narrativo e chiaro della sua escursione notturna.
Nonostante tale limitazione, però, Paoli dimostra di saper inglobare con sagacia perfino i più piccoli e solo apparentemente insignificanti elementi dell'esperienza onirica lovecraftiana, che divengono la fonte principale di suggestione e atmosfera tanto nell'interpretazione di un sogno quanto nella sua rielaborazione cinematografica proprio in quanto tali: l'apparizione fugace di un gruppo di vescovi derivante dal tempo che Lovecraft doveva spendere immerso nelle macabre suggestioni che riempivano i periodi storici segnati dalla Santa Inquisizione e dalla caccia alle streghe (un film che pare abbia invece apprezzato fu proprio La Stregoneria attraverso i Secoli), spesso al centro dei suoi racconti, diviene lo spettrale monito del vescovo interpretato da David Warner (che, per rimanere nell'ambito, rivedremo in The Unnamable II. The Statement of Randolph Carter e Necronomicon di Yuzna) che intima, nel modo più goticamente classico che ci sia prima di fluttuare  nell'aria come i fantasmi di Bava o i posseduti di Raimi, alla Crampton di stare alla larga dalla persistente coscienza dell'uomo che l'ha assassinato quando venne a comunicargli la scomunica, svelando la metà martoriata del proprio volto in un ottimo utilizzo di luci e ombre. Ma la donna soccombe ancora al fascino postmorte («Ha una morbosa ossessione per il sesso e per la morte»  le diceva poe-scamente la padrona dello stabile nella prima scena, e come darle torto) di un Jeffrey Combs subdolamente piacente come non mai, e che incarna alla perfezione «l'impressione di essere più intelligente della media, ma la sua espressione celava un che di sottilmente proprio come accadde per il personaggio di West, sebbene non Combs non condivida l'aspetto formale di nessuno dei due (biondo Herbert West, scuro di pelle il Prete Malvagio: un altro punto a favore dell'infedeltà letteraria).
Questo fascino diabolico non poteva non prendere una piegha erotica fra le mani di Paoli, tanto più che, proprio come nel sogno di Lovecraft, il Prete Malvagio si accinge ad impiccarsi di nuovo, ma l'interesse che lo spettatore onirico da al suo proposito pare essere sufficiente a completare lo scambio, anche se le attenioni date dal personaggio della Crampton a quello di Combs sono ben diverse e, di conseguenza, è una fellatio all'uomo che sta ancora oscillando dal cappio a sigillare il patto: lo scambio mentale è avvenuto, e il corto termina con il prete-stregone che lascia la mansarda nel corpo della Crampton (nel sogno di HPL assistevamo solo al finale riconoscimento della mutazione del proprio aspetto in quello del suo aguzzino, cosa che non avviene nel film visto che la donna si impiccherà a sua volta prima dello scmabio), sotto gli occhi dell'attonita padrona di casa (personaggio che pure deriva vagamente da quello che nel sogno conduceva il Sognatore dentro e fuori dalla soffitta). Un finale tragico a dir poco, ma che non si risparmia una vena di brutale ironia quando, quasi a scherno dell'atto sessuale che ha forzato psicologicamente l'amata a compiere, Combs si estrae un pelo dalla bocca dopo aver dato un repellente bacio di blasfemo sodalizio al vero pezzo forte di questo delirio onirico di trenta minuti, che abbiamo volutamente riservato per la fine: il demone familiare da incubo del Prete Malvagio, un ratto dalla faccia umanoide interpretato dal compianto David Gale (a cui il film è dedicato), truccato nuovamente dall'altrettanto compianto John Carl Buechler sempre più attratto dalle forme della giovane attrice, e a atal proposito vorremmo aggiungere a chi ancora pensi a tutta questa componente sessuale come fuori luogo che uno dei più grandi artisti viventi, il geniale Alan Moore, sarebbe molto probabilmente in disaccordo: nel quarto albo del suo >Providence il personaggio che fa il verso a Asenth Waite de La Cosa sulla Soglia, incarnazione femminile dello stregone lovecraftiano Ephraim, che, in una tripla usurpazione e violazione dell'intimità altrui, stupra il proprio stesso corpo (peraltro quello di una bambina) dopo aver scambiato la propria coscienza con quella dello sventurato protagonista, per provarvi all'interno di nuovo i piaceri della carne dopo un'attesa probabilmente durata secoli; un'intelligentissima e nerissima rilettura, sia da parte di Paoli che di Moore, a dimostrazione della violenza sessuale quale peggiore forma di sottrazione dell'identità (che per Paoli comincia proprio con sessualità: vedere l'intervista fattagli da Paolo Zelati in American Nightmares edito da Profondo Rosso) e annichilimento totale dell'individuo.
Il film, insomma, ha un tono che più tragico e malinconico non si può, e con l'inganno e lo stupro viene ricompensato l'amore sconveniente della Cranpton per un giovane sacerdote (sì, il film riesce a toccare anche tematiche del genere), mentre il famiglio rimane, a chiosare con un'ultima grottesca inquadratura, tramortito in una trappola a molla e mentre, in un ennesimo rimando ad uno dei più belli racconti di Lovecraft (pure citato in Re-animator 2 e adattato molto liberamente da Christophe Gans in Necronomicon), I Topi nel Muro continuano a far udire il proprio trapestio: a tal proposito, Stuart Gordon avrebbe poi adattato nel 2005 proprio il racconto I Sogni nella Casa Stregata per la serie tv Masters of Horror e da lì verrà il soggetto del prossimo articolo sui “mostri invisibili”.

Siamo davvero curiosi di sapere se riuscirete ad intuire di quale episodio possa trattarsi.


Articolo di Donato Martiello

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