sabato 1 febbraio 2020

Fatalità Femminile - Le Femmes Fatales nel cinema

La figura della cosìdetta femme fatale ha sempre suscitato grande fascino nelle menti dei registi di tutte le generazioni cinematografiche, dal passato al presente. Questi personaggi, quelli cioè di signore ammalianti, maliziose, spietate e spesso doppiogiochiste, hanno trovato il proprio spazio già nei primi decenni di vita della settima arte. Nel 1926 Fritz Lang gira il suo capolavoro più celebre, Metropolis, dove una giovane e bellissima donna, Maria, viene rapita dal professor Rotwang, che utilizza la sua bellezza come aspetto per la sua ultima creazione: il robot HEL, che ben presto inizierà ad aizzare gli operai a ribellarsi violentemente contro il perfetto sistema della cittadina, ammaliati dalla sua bellezza venerea. 
È interessante vedere come la presenza di questi specifici personaggi vada ad infrangere, in un certo senso, la quarta parete, uscendo indirettamente dalla diegesi del film ed influenzando lo spettatore (maschile e non) verso una precisa interpretazione iniziale degli eventi. Nel magnifico noir La signora di Shanghai del Maestro Orson Welles, il personaggio di Elsa, interpreato dalla leggendaria Rita Hayworth, ne rappresenta un esempio lampante, diventando inizialmente il desidero sentimentale del protagonista Michael (interpretato da Welles stesso), bellissima "alleata" di quest'ultimo, arrivando a fuorviare lo spettatore, che inizialmente vede in lei un personaggio pulito ed innocente, salvo farsi smentire nella parte finale del film, in cui lo stesso regista riesce a creare intorno donna un aura cupa e sinistra, come nella scena dell'acquario, dove Welles decide di posizionare la figura Elsa di fronte ad una vasca contenente numerosi squali maculati, suggerendo un paragone fra la donna ed i grossi pesci "ebbri del proprio sangue e famelici delle proprie carni" come recita l'ultimissima battuta del film. 
Più chiara ed immediata agli occhi dello spettatore è la caratterizzazione del personaggio di Barbara Stanwyck in un altro noir, il capolavoro di Billy Wylder La fiamma del peccato del 1944, dove interpreta Phyllis, donna senza scrupoli con l'intento di uccidere il marito inscenando un fatale incidente in modo da intascarsi conseguentemente la grossa somma dell'assicurazione. 
Grazie alla sua spietata sensualità riesce ad avvicinarsi l'assicuratore Water Neff, irremediabilmente innamorato di lei, che la aiuterà nell'organizzare il crudele omicidio. Come abbiamo accennato precedentemente, la figura della femme fatale/dark lady ha abbracciato il cinema degli anni passati così come il cinema dei nostri giorni. Nel notevole Gone Girl di David Fincher, il personaggio di Amy (Rosamund Pike) rappresenta sicuramente uno dei più convincenti esempi di fatalità femminile, che va anche a ricollegarsi e, in un certo senso, omaggiare, la crudeltà delle bellissime donne dei vecchi noir dei tempi della golden-age, che abbiamo affrontato sopra: bella, mentalmente instabile e apparentemente freddissima nel compiere i suoi atti, arrivando a macchiarsi, letteralmente, di sangue senza mostrare il benché minimo segno di rimorso. Molto recentemente, all'interno dell'immensa cultura pop cinematografica, ha fatto la sua comparsa il personaggio di Harley Quinn, protagonista femminile dal pessimo Suicide Squad ed interpretata dalla bellissima Margot Robbie. Grazie anche all'enorme presa che questa figura ha provocato nei confronti dello spettatore, spesso, occasionale, il 6 febbraio verrà distribuito nelle nostre sale Birds of Prey, interamente concentrato sulla figura della villain DC, del quale andremo a parlare durante questa particolare settimana dove constateremo minuziosamente in che modo nel mondo del cinema anche la femminilità sia in grado di uccidere e di far paura.
Articolo di Andrea Gentili

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