martedì 5 novembre 2019

Furia di mostri (Recensione "ゴジラ対ヘドラ - Gojira tai Hedora")

È il 25 Gennaio del 1970. All'età di 68 anni il maestro nipponico degli effetti speciali Eiji Tsuburaya muore a causa di un infarto nella sua abitazione a Tokyo. Un epilogo che, purtroppo, era nell'aria già durante la lavorazione di Gojira, Minira, Gabara: Oru kaiju dashingeki (uscito all'estero come Godzilla's Revenge), decimo film della saga, nel quale il maestro, proprio a causa delle sue precarie condizioni di salute, svolse un lavoro prevalentemente supervisionale. A questo punto il boss della Toho, Tomoyuki Tanaka, si trova probabilmente di fronte alla più complicata decisione della sua carriera: proseguire senza quello che era, di fatto, l'uomo simbolo del successo della saga sia nella terra del Sol Levante che in tutto il resto del mondo, più ancora di Ishiro Honda, sarebbe stata un'operazione rischiosa, visto anche l'enorme successo che stavano riscontrando, a discapito delle pellicole cinematografiche, i tokusatsu, quei serial televisivi di fantascienza prodotti dalla Toho stessa, quali Ultraman e Zone Fighter.

Tuttavia, il pessimo eco che aveva lasciato (comprensibilmente, purtroppo) il precedente capitolo, rendeva obbligatorio il rilancio del personaggio sul grande schermo. Il desiderio più grande in casa Toho è quello di riavere in cabina di regia il maestro Honda, il quale, però, è costretto a rifiutare l'allettante offerta in quanto già a lavoro su quello che sarà il suo penultimo film, Atom, il mostro della galassia (Gezora Ganime Kameba - Kessen! Nankai no kaijuu). La scelta più ovvia ricadrebbe su Jun Fukuda, l'uomo che con il Figlio di Godizilla (Kaijū-tō no Kessen: Gojira no Musuko) aveva definitivamente spostato il target della saga verso un pubblico più giovane, infantilizzando, forse eccessivamente, il personaggio. 
Ma è durante l'Expo 70 di Osaka che Tanaka trova la soluzione di questo intricato enigma organizzativo: durante la manifestazione, il produttore rimane colpito dall'installazione audiovisiva Birth of the Japanese Islands, diretta da un giovane mestierante di nome Yoshimitsu Banno, che in passato aveva già collaborato nientemeno che con sua maestà Akira Kurosawa, assistendolo nella regia di quel capolavoro de Il Trono di Sangue (Kumonosu-jo, 1957). Un'esperienza sicuramente degna di nota, che riesce a consegnare al giovane cineasta le redini del nuovo film sul lucertolone atomico.

E così, quasi a sorpresa, il 24 Luglio 1971 esce nei cinema giapponesi Gojira tai Hedora, con Banno nel doppio ruolo di regista e sceneggiatore, Teruyoshi Nakano come curatore degli effetti speciali, Riichiro Manabe alla colonna sonora e, ovviamente, Tomoyuki Tanaka in veste di produttore.  E cosa ci troviamo davanti? Assolutamente uno dei film migliori della saga, un film diverso, visionario e autoriale, di un regista che ha voluto, anche coraggiosamente, fare un “Godzilla” a modo suo, seguendo la propria ottica e il proprio stile, in funzione di una sceneggiatura furbamente tradizionale.
Difatti il film presenta, apparentemente, quelli che sono gli elementi classici della sere: I combattimenti fra i due mostri, i militari che cercano inutilmente di opporsi alla loro foga distruttiva, il giovane protagonista che vede in Godzilla un punto di riferimento, e il messaggio ecologista, qui forse esasperato più che ogni altro capitolo. La profonda critica all'inquinamento è posta in essere (o se vogliamo essere precisi, “mostrificata”) da Hedorah, il quale non è una semplice rappresentazione simbolica del disagio, ma una vera e propria componente di esso. È qui forse che sta una delle novità più interessanti apportate da Banno. Se Godzilla, nel capolavoro del '54, era di fatto il simbolo del terrore dell'atomica, mentre Mothra la rappresentazione di una natura sfruttata e violentata dal superuomismo capitlista, Hedorah  non presenta alcun tipo di espediente metaforico, ma si tratta di una vera e propria massa di sporcizia, smog e rifiuti nata dall'irrefrenabile e spregiudicato inquinamento dei mari giapponesi.

Per Banno, quindi, la totale mancanza di ritegno che porta all'inquinamento è un fattore tanto grave quanto l'utilizzo dell'atomica. Un messaggio che questi vuole lanciare nella maniera più diretta e realistica possibile, aiutato anche dalla fotografia di Yochi Manoda che, grazie ad un sapiente utilizzo di colori saturi e spenti, portano allo spettatore una sensazione perenne di sporcizia, dandogli l'illusione di una Tokyo invasa da una densa ed infinita nebbia di smog. Una rappresentazione, questa, non poi così lontana dalla realtà, anche dei giorni nostri. 
Ma è dal lato della messa in scena che Banno tira fuori il meglio della sua inventiva: se prima di allora lo spettatore era abituato, sin dal terzo capitolo della saga, Kingu Kungu tai Gojira, ad un'atmosfera colorata e quasi cartoonesca, con questo film il cineasta 39enne  mischia le carte in tavola, realizzando una pellicola che oggi definiremmo dark, grazie, anche, ad una rappresentazione cruda della morte, ricorrendo, seppur minimamente, al gore, alternandovi una massiccia dose di sequenze folli e psichedeliche, accompagnate da curiose scene animate, che esaltano ancor di più il volto bizzarro e grottesco che il il film vuole presentare.   

Lodevole, a livello di tematica, è anche il profondo interesse che il regista ha nei confronti della gioventù studentesca giapponese dell'epoca, conferendoci un ottimo spaccato di quello che fu il sentimento ribelle che investì i ragazzi di tutto il mondo a cavallo tra gli anni 60 e 70. Ne sono esempi le scene in cui vediamo un gruppo di adolescenti distaccarsi dalle normali convenzioni sociali dell'urbanità, per protestare proprio contro l'inquinamento causa della nascita di Hedorah, che nel frattempo stava causando numerose vittime e profondi danni ambientali, oltre che quella in cui uno dei giovani protagonisti inizia ad essere vittima di strambe allucinazioni, dopo aver assunto un ingente quantità di acidi. 
Tutte scelte, queste, che non troveranno un'adeguata risposta da parte del pubblico, il quale si troverà a snobbare il film nelle sale, non comprendendo a pieno il suo anticonvenzionalismo. Una situazione che porterà, di fatto, la Toho all'immediato licenziamento in tronco di Banno, e al suo quasi totale allontamento dalla saga di Godzilla e dalle future produzioni della massima casa giapponese, nonostante un piccolo progetto ideato per il 2007 di cui abbiamo parlato qui, limitando, purtroppo, la carriera di un regista assolutamente promettente.

Articolo di Andrea Gentili.

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